Professore presso l'Istituto Pasteur di Parigi, presidente della fondazione mondiale per la ricerca e prevenzione dell'AIDS, ha scoperto nel 1983 il virus dell'HIV, insieme alla dottoressa Françoise Barré-Sinoussi e al dottor Robert Gallo, e ha vinto il Premio Nobel per la medicina 2008.
Si laurea nel 1955 in scienze e dopo la morte per tumore del padre,
decide di iscriversi alla facoltà di Medicina dove si specializza in
Oncologia. Dopo aver completato il dottorato di ricerca in medicina all'Università di Poitiers, nel 1967 cominciò le prime ricerche nell'ambito della virologia, dedicandosi in particolar modo allo studio dei meccanismi di replicazione dei virus a RNA e successivamente dei virus a RNA oncogeni (capaci di indurre tumore), analizzando specialmente le modificazioni biochimiche che avvengono all'interno delle cellule da essi infettate. Nel 1972 fu quindi nominato capo dell'Unità Oncologica Virale dell'Istituto Pasteur e, nel 1974, direttore del CNRS (Centro nazionale di ricerca scientifica). Nel 1982
il dottor Willy Rozenbaum, medico dell'Hôpital Bichat di Parigi, gli
chiese di mettere la propria competenza al servizio di una ricerca sulla
possibile causa retrovirale di una nuova, misteriosa sindrome: l'AIDS. Attraverso una biopsia al linfonodo
di uno dei pazienti di Rozenbaum nel 1983, il gruppo di ricercatori
guidato da Montagnier fu in grado di scoprire il virus, a cui fu dato il
nome di LAV (lymphadenopathy-associated virus, ovvero virus associato a linfoadenopatia). L'anno successivo un gruppo di studiosi statunitensi guidato dal dottor Robert Gallo, capolaboratorio all'Istituto Nazionale del Cancro (NCI, National Cancer Institute) di Bethesda, Maryland, confermò la scoperta del virus, ma ne modificò il nome in virus T-linfotropico umano di tipo III (HTLV-III).
Di lì a poco nacque un'accesa disputa internazionale tra Montagnier e
Gallo su chi dei due potesse fregiarsi della paternità della scoperta,
disputa che finì a favore dello studioso francese. Nel 1986 Montagnier riuscì a isolare un secondo ceppo del virus HIV, chiamato HIV2 e maggiormente diffuso in Africa,
e fu insignito del premio Albert Lasker per la ricerca medica. In
seguito Montagnier si impegnò in progetti di prevenzione dell'AIDS e
nella ricerca di un vaccino efficace contro questa patologia, collaborando con diversi virologi, tra cui l'italiano Vittorio Colizzi.
Gli ultimi studi di Montagnier evidenziano quanto un sistema
immunitario efficiente sia fondamentale per evitare di contrarre virus,
HIV incluso, e quanto sia invece fragile il sistema immunitario delle
popolazioni che seguono un'alimentazione scorretta, esposte per questo
ad una maggior possibilità di contagio.Nell'ottobre del 2014, Montagnier
sigla un accordo di collaborazione con l'R.C.C.S Neuromed per portare
avanti alcuni studi di ricerca sulle neuroscienze. In un'intervista del
14 marzo 2010, Luc Montagnier rilascia alcune dichiarazioni accolte
con sorpresa e cautela dalla comunità scientifica, nelle quali afferma
come sarebbe possibile, a suo dire, eradicare il virus dell'HIV agendo
in modo simultaneo su più fronti: con un corretto schema nutrizionale,
eliminando lo stress ossidativo, migliorando le misure igieniche, instaurando una corretta flora intestinale. Montagnier è attivamente impegnato nello studio e nella ricerca sull'efficacia dei rimedi omeopatici.
Tali studi sono stati accolti molto negativamente dalla comunità
scientifica, poiché nessuna prova è stata finora addotta che possa
avallare una qualsiasi efficacia dell'omeopatia; più precisamente, gli
esperimenti svolti hanno dimostrato un'efficacia pari all'effetto
placebo. Per tali sue ricerche, relative sia all'omeopatia sia alla memoria dell'acqua sia all'autismo, Montagnier ha ricevuto alcune aspre critiche tanto da fare definire i risultati dei suoi studi come scienza patologica. Nel 2011 una sezione della rivista scientifica Journal of Physics (la Conference Series che gode di una blanda peer review) ha pubblicato uno studio di Luc Montagnier e altri intitolato DNA waves and water,
nel quale viene illustrato come alcune sequenze di DNA potrebbero
indurre segnali elettromagnetici di bassa frequenza in soluzioni acquose
altamente diluite, le quali manterrebbero poi “memoria” delle
caratteristiche del DNA stesso. Una scoperta che, se fosse confermata,
potrebbe aprire nuove prospettive in tema di omeopatia.
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