lunedì 30 ottobre 2017

Pallido alla luce della lampada ombreggiata


Pallido nella leggera luce della lampada,
Sul letto di fiori reclinati,
Come la luna di notte imbalsamata,
Nelle nuvole d'amore dormiva!
Era la vergine del mare, nel fango freddo
Con la marea delle acque imballate!
Era un angelo tra le nuvole dell'alba
Che nei suoi sogni si è bagnato e dimenticato!
Era più bello! Il seno pestando ...
Gli occhi neri aprono le palpebre ...
Le forme nudo nel letto scivolano ...
Non ridere di me, mio ​​bel angelo!
Per voi - le notti che ho visto piangere,
Per voi - nei miei sogni morirò sorridendo!
 
Álvarez de Azvedo

Se morissi domani



 
Se sono morto domani, 
Chiudi i miei occhi mia triste sorella;
Mia madre, mi manchi, vorrei morire.
Se sono morto domani!
Quanta gloria mi sento nel mio futuro!
Che agosto arriva e che mattina!
Avevo perso piangere queste corone
Se sono morto domani!
Che sole! che cielo blu! Quanto dolce!
Svegliatevi alla natura più deliziosa!
Non mi amava tanto nel petto
Se sono morto domani!
Ma questo dolore di vita che divora
L'ansia di gloria, l'ansia dolorosa ...
Il dolore toracico sarebbe stato almeno silenzioso
Se sono morto domani!
 
 Álvarez de Azvedo

Álvarez de Azvedo




Manoel Antônio Álvares de Azevedo
(San Paolo, 12 settembre 1831Rio de Janeiro, 25 aprile 1852)
è stato uno scrittore, poeta e saggista brasiliano della seconda metà del romanticismo.
È famoso per scritto Noites na Taverna; il libro parla di incontri di ragazzi in una taverna durante la notte; in una di queste essi raccontano delle storie d'orrore, ognuna delle quali ha per protagonisti esseri fantasmagorici. Da giovane studiò a Rio de Janeiro e, compiuta la maturità, andò a San Paolo, per continuare i suoi studi nella Facoltà di Diritto do Largo di San Francisco. Álvares era famosissimo per il suo modo di scrivere ma, su forte influenza di lord Byron, la figura della morte cominciò ad affacciarsi nella sua vita. Sebbene non avesse compiuto nessun lavoro gravoso, sviluppò una tubercolosi quando era ancora molto giovane, in seguito ad una caduta da cavallo. All'epoca non c'erano modi di combattere la malattia, quindi il poeta morì a solo 21 anni. L'ultima opera che scrisse fu la poesia Se morissi domani.

domenica 29 ottobre 2017

Pier Capponi


 

Piero (Pier) Capponi
(Firenze, 18 agosto 1446Soiana, 25 settembre 1496)

 
è stato un condottiero e politico italiano.
Era inizialmente destinato ad una carriera d'affari, ma Lorenzo de' Medici, che apprezzava le sue abilità, lo inviò come ambasciatore presso varie corti, compito che assolse egregiamente. Alla morte di Lorenzo (1492), cui successe il meno capace figlio Piero, Capponi divenne uno dei capi della fronda contraria ai Medici che due anni dopo riuscì a cacciare Piero de' Medici da Firenze. Capponi fu nominato capo della repubblica, e si dimostrò un accorto statista, in particolare nelle negoziazioni con Carlo VIII di Francia, che aveva invaso l'Italia nel 1494, e presso il quale si era rifugiato anche Piero. Proprio riguardo all'arrivo di Carlo VIII e del suo esercito a Firenze è legato l'aneddoto più famoso riguardo a Piero Capponi. I fiorentini erano disposti a ricompensare Carlo con una grande somma di denaro per il suo sostegno, ma non vi era accordo sull'entità. Di conseguenza Carlo presentò un ultimatum alla Signoria e, ricevutone un rifiuto, minacciò dicendo: allora noi suoneremo le nostre trombe. A questa minaccia rispose deciso Capponi: e noi faremo suonare le nostre campane, manifestando l'intenzione della città di resistere. Allora Carlo, che non poteva accettare la prospettiva di una lotta ad oltranza, fu costretto a moderare le sue richieste e concluse un trattato più equo con la repubblica. Quando le truppe francesi lasciarono la Toscana, Pier Capponi guidò l'esercito di Firenze a domare i focolai di rivolta alimentati dai pisani. Fu ucciso il 25 settembre 1496 durante l'assedio al castello di Soiana. Una statua di Pier Capponi venne posta nell'Ottocento in una nicchia esterna della Galleria degli Uffizi accanto ad altri condottieri fiorentini (Francesco Ferrucci, Giovanni dalle Bande Nere e Farinata degli Uberti), ai tempi dell'ultimo discendente di Pier Capponi, lo scrittore e statista Gino Capponi.

12 sett. Il Santissimo nome di Maria


 
 
Nella storia dell'esegesi ci sono state diverse interpretazioni del significato del nome di Maria:
1) "AMAREZZA"
questo significato e` stato dato da alcuni rabbini: fanno derivare il nome MIRYAM dalla radice MRR = in ebraico "essere amaro". Questi rabbini sotengono che Maria, sorella di Mose`, fu chiamata cosi` perche', quando nacque, il Faraone comincio` a rendere amara la vita degli Israeliti , e prese la decisione di uccidere i bambini ebrei.Questa interpretazione puo` essere accettata da noi Cristiani pensando quanto dolore e quanta amarezza ha patito Maria nel corredimerci:Voi tutti che passate per la via, considerate e osservate se c'e` un dolore simile al mio dolore...Inoltre il diavolo, di cui il Faraone e` figura, fa guerra alla stirpe della donna, rendendo amara la vita ai veri devoti di Maria, che, per altro, nulla temono, protetti dalla loro Regina.
2) "MAESTRA E SIGNORA DEL MARE"
Secondo questa interpretazione il nome di Maria deriverebbe da MOREH (ebr. Maestra-Signora) + YAM (= mare): come Maria, la sorella di Mose`, fu maestra delle donne ebree nel passaggio del Mar Rosso e Maestra nel canto di Vittoria (cf Es 15,20), cosi` "Maria e` la Maestra e la Signora del mare di questo secolo, che Ella ci fa attraversare conducendoci al cielo" (S.Ambrogio, Exhort. ad Virgines)Altri autori antichi che suggeriscono questa interpretazione: Filone, S. Girolamo, S. Epifanio.Questo parallelo tipologico tra Maria sorella di Mose` e Maria, madre di Dio, e` ripreso da Ps. Agostino, che chiama Maria "tympanistria nostra" (Maria sorella di Mose` e la suonatrice di timpano degli Ebrei, Maria SS. e` la tympanistria nostra, cioe` dei Cristiani: il cantico di Mose` del N.T sarebbe il Magnificat, cantato appunto da Maria: questa interpretazione e` sostenuta oggi dal P. Le Deaut, uno dei piu` grandi conoscitori delle letteratura tergumica ed ebraica in genere: secondo questo autore, S. Luca avrebbe fatto volontariamente questo parallelismo.
3) "ILLUMINATRICE, STELLA DEL MARE"

Secondo questa interpretazione il nome di Maria deriverebbe da: prefisso nominale (o participiale) M + 'OR (ebr.= luce) + YAM (= mare): Cosi` S. Gregorio Taumaturgo, S. Isidoro, S. Girolamo .Alcuni autori ritengono che S. Girolamo in realta` non abbia interpretato il nome come "stella del mare", ma come "stilla maris", cioè: goccia del mare. La presenza della radice di "mare" nel nome di Maria, ha suggerito diverse interpretazioni e/paragoni di Maria con il "mare":Pietro di Celles (+1183) Maria = "mare di grazie": di qui Montfort riprende: "Dio Padre ha radunato tutte le acque e le ha chiamate mare, ha radunato  tutte  le grazie  e le ha chiamate Maria"
"tutti i fiumi entrano nel mare"; S. Bonaventura sostiene che tutte le grazie (= tutti i fiumi) che hanno avuto gli angeli, gli apostoli, i martiri, i confessori, le vergini, sono "confluite" in Maria, il mare di grazie.S.Brigida: "ecco perche` il nome di Maria e` soave per gli angeli e terribile per i demoni" 

4) PIOGGIA STAGIONALE
Secondo questa interpretazione il nome di Maria deriverebbe da MOREH (ebr. PRIMA PIOGGIA STAGIONALE)Maria e` considerata come Colei che manda dal cielo una "pioggia di grazia" e "pioggia di grazia essa stessa".Questa interpretazione, che C. A Lapide attribuisce a Pagninus, viene in parte ripresa da S. Luigi di Montfort nella Preghiera Infuocata: commentando  "pluviam voluntariam elevasti Deus, hereditatem tuam laborantem tu confortasti" (Una pioggia abbondante o Dio mettesti da parte per la tua eredita`), il Montfort dice:"Che cos'e`, Signore, questa pioggia abbondante che hai separata e scelta per rinvigorire la tua eredita` esausta? Non sono forse questi santi missionari, figli di Maria tua sposa, che tu devi scegliere e radunare per il bene della tua Chiesa cosi` indebolita e macchiata dai peccati dei suoi figli?" Maria, pioggia di grazie, formera` e mandera` sulla terra una pioggia di missionari
5) ALTEZZA
Secondo questa interpretazione il nome di Maria deriverebbe da MAROM (ebr. ALTEZZA, EXCELSIS): questa ipotesi e` sostenuta, tra gli antichi dal Caninius, e, tra i moderni, da VOGT, soprattutto in base alle recenti scoperte dei testi ugaritici, che hanno permesso la comprensione di molte radici ebraiche.Luca 1:78 per viscera misericordiae Dei nostri in quibus visitavit nos oriens EX ALTO questo versetto, in base al testo greco e alla retroversione in ebraico, puo` essere tradotto:ci ha visitati dall'alto un sole che sorge: Cristo e` il sole che sorge che viene dall'alto (il Padre) oppure ci ha visitati un sole che sorge "dall'alto" = da Maria
***
Di tutti queste ipotesi, qual e` quella giusta? forse la Provvidenza ci ha lasciato nel dubbio perche' nel nome di Maria possiamo trovare nel contempo tutti i significati che l'analogia della fede ci suggerisce.
 
Autore: Don Alfredo Morselli

"Oeuvres"



Quando Vecchia sarete,la sera,alla candela,
seduta presso il fuoco,dipanando e filando,
ricanterete le mie poesie,meravigliando:

Serva allor non avrete ch'ascolti tal novella,
vinta dalla fatica già mezzo sonnecchiando,
ch'al suono del mio nome non apra gli occhi alquanto,
e lodi il vostro nome ch'ebbe sì buona stella.

Io sarò sotto terra,spirto tra ignudi spirti,
prenderò il mio riposo sotto l'ombre dei mirti,
Voi presso il focolare una vecchia incurvita,

l'amor mio e 'l fiero sprezzo vostro rimpiangerete,
Vivete,date ascolto,diman non attendete:
cogliete  fin da oggi le rose della vita.
 
Pierre de Ronsard

"Les Amours"



Dolcezza,andiamo a vedere se la rosa
che stamane aveva dischiuso
la sua veste di porpora al sole
ha perduto stasera
le pieghe della sua veste purpurea
e il colorito simile al vostro

Ahimè,vedete come in si breve spazio,
dolcezza,ella ha,al suolo,
lasciato cadere le sue bellezze!
O natura veramente matrigna
poi che un tale fiore non dura
che dal mattino fino a sera!

Dunque,credetemi,dolcezza,
finché la vostra età fiorisce
nella sua più verde freschezza,
cogliete,cogliete la vostra giovinezza:
come a questo fiore,vecchiezza,
farà appassire la vostra beltà
 
Pierre de Ronsard

Pierre de Ronsard




Pierre de Ronsard
Couture-sur-Loir, 11 sett. 1524Prieuré de Saint-Cosme, 27 dic.1585
è stato un poeta francese.
Conosciuto come Il principe dei poeti, è celebre anche per la partecipazione al movimento poetico la Pléiade.
Nacque nel castello della Poissonnière, nei dintorni del villaggio Loir-et-Cher. Le origini della stirpe dei Ronsard sono da ricercarsi nelle province slave a sud del Danubio. Baudouin de Ronsard o Rossart diede vita al ramo francese della famiglia nella prima metà del XIV secolo. Pierre è il figlio minore di Loys e Jeanne de Chaudrier; anche se la famiglia non apparteneva direttamente alla nobiltà, vi intratteneva dei legami molto stretti, tanto che la sconfitta di Pavia di Francesco I obbligò il padre di Ronsard, che rivestiva il ruolo di maître d'hôtel, a partire poco dopo la sua nascita. Ronsard ricevette un'educazione in casa durante l'infanzia e, una volta raggiunti i dodici anni d'età, venne mandato al Collegio di Navarra a Parigi. Pare che il giovane Ronsard non abbia apprezzato affatto il rude stile di vita di questa scuola d'impronta medioevale. Per quanto privo d'esperienza, divenne prima paggio del Delfino del re di Francia, Francesco, e poi del fratello Carlo, duca d'Orléans. Quando Madeleine di Francia sposò Giacomo V di Scozia, Ronsard fu preso a servizio del re e rimase tre anni in Gran Bretagna, per rientrare poi in Francia nel 1540 e riprendere il suo ruolo al seguito del Duca d'Orleans. Tale posizione gli permise di viaggiare, prima nelle Fiandre e poi nuovamente in Scozia. Ben presto venne promosso ad un ruolo di maggior peso e divenne segretario del seguito di Lazare de Baïf, il padre del suo futuro amico e collega della Pléiade, Antoine de Baïf. Con lo stesso ruolo fece parte del seguito del cardinale di Bellay-Langey. La famosa querelle con François Rabelais avvenne proprio in quel periodo. La sua promettente carriera diplomatica fu bruscamente interrotta da un attacco di sordità che nessun medico fu in grado di risolvere. Ronsard decise quindi di dedicarsi agli studi. Scelse di frequentare il Collegio di Coqueret, il cui rettore era Jean Dorat, professore di greco ed ellenista convinto (successivamente sarà membro della Pléiade), che Ronsard conosceva poiché era stato il tutore di Antoine de Baïf, che andò con Ronsard; Joachim du Bellay, secondo di sette fratelli, li raggiunse ben presto. Muretus (Marc-Antoine Muret), appassionato di latino, il cui ruolo nella creazione della tragedia francese sarà rilevante, studiava presso il collegio di Coqueret, all'epoca. Il periodo di studi di Ronsard durò sette anni e il primo manifesto del nuovo movimento letterario che auspicava l'applicazione dei principi classici venne stilato dall'amico Du Bellay nel 1549: Défense et illustration de la langue française. La Pléiade (o "La Brigata", come si chiamava all'inizio) era nata. Era composta inizialmente da sette scrittori: Ronsard, Du Bellay, Baïf, Rémy Belleau, Pontus de Tyard, Jodelle e Jean Dorat. L'anno successivo, nel 1550, Ronsard pubblica le sue opere raccogliendole nelle prime quattro raccolte delle Odi. Nel 1552, il quinto volume delle Odi fu pubblicato contemporaneamente a Les Amours de Cassandre. Le due opere scatenarono una vera polemica nell'ambiente letterario. Un aneddoto illustra le rivalità e le critiche dell'epoca: si dice che Mellin de Saint-Gelais, esponente di punta dell'École Marotique, leggesse in maniera burlesca degli stralci dei poemi di Ronsard davanti al re per prendersene gioco. Sennonché Margherita di Francia, la sorella del re, e futura duchessa di Savoia, prese dalle mani di Mellin il libro e si mise a leggere l'opera di Ronsard, restituendo ai poemi tutto il loro splendore: alla fine della lettura, tutta la sala era affascinata ed esplose in un caloroso applauso. Ronsard era stato accettato come poeta. La sua gloria fu repentina e smisurata e non subì battute d'arresto. Tra il 1555 e il 1556 pubblicò gli Hymnes, dedicati a Margherita di Savoia. Finisce gli Amori nel 1556 e poi compose una collezione di Opere complete che, secondo una leggenda, sarebbero state volute da Maria Stuarda, sposa di Francesco II nel 1560. Nel 1565 vedono la luce le Élégies e l'Abrégé de l'art poétique français. Il rapido susseguirsi di diversi sovrani non incise sul trattamento riservato a Ronsard. Dopo Enrico II e Francesco II, anche Carlo IX viene affascinato dal poeta. Gli vengono anche riservati degli spazi all'interno del palazzo. Questo patrocinio reale però ha degli effetti negativi sull'opera di Ronsard: la Franciade, commissionata da Carlo IX, non raggiunge il livello delle altre opere dell'autore, per via dell'opinabile scelta del re di utilizzare il decasillabo piuttosto che il verso alessandrino. La morte di Carlo IX non intaccò il favore ottenuto a corte. Ma, per via dei crescenti problemi di salute da cui era affetto, Ronsard scelse di passare i suoi ultimi anni di vita lontano dai fasti di palazzo, alternando i soggiorni nella sua casa di Vendôme o nella non lontana abbazia di Croix-Val a visite all'amico Jean Galland, intellettuale del Collegio di Boncourt, a Parigi. Pare che Ronsard disponesse anche di una casa in Faubourg Saint Marcel. Gli ultimi anni della sua vita non furono tra i più felici. Subì la perdita di diversi amici e il suo stato di salute peggiorò. Diversi sovrani stranieri, tra cui Elisabetta I d'Inghilterra, gli inviarono doni. Malgrado la malattia, le sue creazioni letterarie rimasero comunque eccellenti, tanto che alcuni dei suoi ultimi scritti sono reputati tra i migliori. Il 27 dicembre 1585 Ronsard venne sepolto nella chiesa di Saint Cosme a Tours.

11 sett. Sant Elia lo speleota


Sant' Elia Speleota
Abate
Reggio Calabria, 863 - 960

Emblema: Abito monacale, Pastorale

Sant’Elia Speleota (così chiamato per distinguerlo dall’omonimo profeta e da S. Elia Juniore) nacque da ricchi genitori, Pietro e Leonzia. All’età di diciotto anni, la madre Leonzia gli propose di sposare una nobile giovinetta e di metter su famiglia. Elia, però, rifiutò la proposta e fuggì di casa andando prima a Taormina di Sicilia, a far penitenza, e poi si diresse in pellegrinaggio a Roma. Qui, nelle vicinanze della città eterna, prese l’abito monastico di S. Basilio Magno (forse nell’abbazia di Grottaferrata). Tornato a Reggio di Calabria, Elia fuggì di nuovo, stavolta col monaco Arsenio, diretto a Patrasso in Oriente. Nel frattempo i Saraceni irruppero in Calabria fecendo stragi e schiavi. Al ritorno da Patrasso, Sant’Elia Speleota (=abitatore di grotte), insieme ai monaci Cosma e Vitale, si ritirò a condurre vita di penitenza nella grotta di Melicuccà. Qui, ben presto, gli abitanti dei paesi vicini, attratti dalla sua fama di santità, venivano a visitarlo, ascoltarlo, a ricevere da lui conforto e incoraggiamento. L’11 settembre del 960, quando aveva già 97 anni, Elia morì. Fu sepolto nel sepolcro che lui stesso aveva scavato nella grotta con le sue mani. Lì, il suo corpo rimase sepolto fino al 2 agosto 1747 quando furono scoperte le sue ossa. In quell’occasione, come attesta l’atto pubblico rogato dal notaio Fantoni Carmelo il 12 agosto di quell’anno, Antonio Germanò, giovane di Melicuccà gravemente ammalato, alla sola vista delle ossa di sant’Elia guarì istantaneamente.
Il santo viene festeggiato l’11 settembre.
Autore: Francesco Roccia

sabato 28 ottobre 2017

La Nonna



Tra tutti quei riccioli al vento,
tra tutti quei biondi corimbi,
sembrava, quel capo d'argento,
dicesse col tremito, bimbi,
sì... piccoli, sì...
E i bimbi cercavano in festa,
talora, con grido giulivo,
le tremule mani e la testa
che avevano solo di vivo
quel povero sì.
Sì, solo; sì, sempre, dal canto
del fuoco, dall'umile trono;
sì, per ogni scoppio di pianto,
per ogni preghiera: perdono,
sì... voglio, sì... sì!
Sì, pure al lettino del bimbo
malato... La Morte guardava,
La Morte presente in un nimbo...
La tremula testa dell'ava
diceva sì! sì!
Sì, sempre; sì, solo; le notti
lunghissime, altissime! Nera
moveva, ai lamenti interrotti,
la Morte da un angolo... C'era
quel tremulo sì,
quel sì, presso il letto... E sì, prese
la nonna, la prese, lasciandole
vivere il bimbo. Si tese
quel capo in un brivido blando,
nell'ultimo sì.

Giovanni Pascoli

I passeri a un bimbo.


 
Ci desti due bricie, ieri.
Si tornò; ma tu non c'eri.
Si picchiò; ma tu eri al gioco.
E' poco, due bricie, è poco!
 
Poco, Pin! Poco, Pin!
perchè non ce l'hai rese?
Dai un dì, non dai un mese!
Dai agli altri, a noi non dai!
Il bene non basta mai!
No, mai, Pin! No, mai, Pin!...
 
G. Pascoli.

LA CAPINERA


Il tempo si cambia: stasera
vuol l’acqua venire a ruscelli.
L’annunzia la capinera
tra li àlbatri e li avornielli:
tac tac.
Non mettere, o bionda mammina,
ai bimbi i vestiti da fuori.
Restate, che l’acqua è vicina:
udite tra i pini e gli allori:
tac tac.
Anch’essa nel tiepido nido
s’alleva i suoi quattro piccini:
per questo ripete il suo grido,
guardando il suo nido di crini:
tac tac.
Già vede una nuvola a mare:
già, sotto le goccie dirotte,
vedrà tutto il bosco tremare,
covando tra il vento e la notte:
tac tac.

G. Pascoli

NEVICATA


Nevica: l’aria brulica di bianco;
la terra è bianca, neve sopra neve;
gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco:
cade del bianco sopra un tonfo lieve.

E le ventate soffiano di schianto
E per le vie mulina la bufera:
passano bimbi: un balbettìo di pianto;
passa una madre: passa una preghiera.
 
Giovanni Pascoli

La mia sera



Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c'è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!
Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell'aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell'umida sera.
E', quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d'oro.
O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell'ultima sera.
Che voli di rondini intorno!
Che gridi nell'aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l'ebbero intera.
Nè io ... che voli, che gridi,
mia limpida sera!
Don ... Don ... E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra ...
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch'io torni com'era ...
sentivo mia madre ... poi nulla ...
sul far della sera.


Giovanni Pascoli

A nanna

 

A nanna

Come un rombo d'arnia suona
tra il cricchiar della mortella.
Nonna, è detta la corona:
nonna, or dì la tua novella.

Ella dice, ell'è pur buona,
la più lunga, la più bella:
- Sola (o Dio: bubbola e tuona!)
sola va la reginella.

Ecco un lume, una stellina,
ma lontanamente, appare.
Via, conviene andare andare.

Va e va.- Ma ciondolare
già comincia una testina;
due sonnecchiano; cammina
che cammina,

e le son tutte arrivate:
sono in collo delle fate.


La buona novella



Mossero: e Betlehem, sotto l'osanna

de' cieli ed il fiorir dell'infinito,
dormiva. E videro, ecco, una capanna.
Ed ai pastori l'accennò col dito
un Angelo: una stalla umile e nera,
donde gemeva un filo di vagito.

E d'un figlio dell'uomo era, ma era
quale l'agnello. Esso giacea nel fieno
del presepe, e sua madre una straniera
sopra la paglia. Era il suo primo, e il seno
le apriva: e non aveva ella né due
assi: all'albergo alcun le disse: "E' pieno".

Nella capanna povera le sue
lagrime sorridea sopra il suo nato,
su cui fiatava un asino ed un bue.
Noi cercavamo. Quei che vive...entrato
disse Maath. Ed ella con un pio
dubbio: Il mio figlio vive per quel fiato...

- Quei che non muore... - Ed ella Il figlio mio
morrà (disse, e piangeva su l'agnello
suo tremebondo) in una croce...Dio
Rispose all'uomo l'Universo: E' quello!
 
Giovanno Pascoli

Sera d’ottobre


Lungo la strada vedi su la siepe
ridere a mazzi le vermiglie bacche:
nei campi arati tornano al presepe
tarde le vacche.

Vien per la strada un povero che il lento
passo tra foglie stridule trascina:
nei campi intuona una fanciulla al vento:
Fiore di spina!…

Giovanni Pascoli

La Befana

 
La Befana
Viene viene la Befana,
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! La circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.
Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello
ed il gelo il suo pannello
ed il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.
E s’accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano.
Che c’è dentro questa villa?
Uno stropiccìo leggero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Che c’è dentro questa villa?
Guarda e guarda...tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
guarda e guarda...ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! tre calze e tre lettini.
Il lumino brilla e scende,
e ne scricchiolan le scale;
il lumino brilla e sale,
e ne palpitan le tende.
Chi mai sale? Chi mai scende?
Co’ suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampada di chiesa.
Co’ suoi doni mamma è scesa.
La Befana alla finestra
sente e vede, e s’allontana.

Passa con la tramontana,
passa per la via maestra,
trema ogni uscio, ogni finestra.
E che c’è nel casolare?
Un sospiro lungo e fioco.
Qualche lucciola di fuoco
brilla ancor nel focolare.
Ma che c’è nel casolare?
Guarda e guarda... tre strapunti
con tre bimbi a nanna, buoni.
Tra la cenere e i carboni
c’è tre zoccoli consunti.
Oh! tre scarpe e tre strapunti...
E la mamma veglia e fila
sospirando e singhiozzando,
e rimira a quando a quando
oh! quei tre zoccoli in fila...
Veglia e piange, piange e fila.
La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.
La Befana sta sul monte.
Ciò che vede è ciò che vide:
c’è chi piange e c’è chi ride;
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sull’aspro monte.
 
Giovanni Pascoli

Novembre



Gèmmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore.
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante

di nere trame segnano il sereno.
E' vuoto il cielo, e cavo al pié sonante
sembra il tirreno.
Silenzio intorno: solo alle ventate,

odi lontano, dai giardini e orti,
di foglie un cader fragile.E' l'estate
fredda dei morti.
G.Pascoli

C’è un Nonno

 
 
 
 
 
C’è un Nonno

C’è un nonno in disparte
che gioca alle carte,
le gioca da solo:
nessuno lo vuole.

C’è un nonno in giardino
che beve del vino,
lo beve da solo:
nessuno Io vuole.

C’è un nonno per strada
non so dove vada,
cammina da solo:
nessuno lo vuole.

C’è un nonno che dorme
speriamo che in sogno
qualcuno ci sia in sua compagnia.

(R. Piumini)

LE CANDELINE ACCESE

 

LE CANDELINE ACCESE

Le candeline accese
sui rami dell'abete
sembrano tutte liete
di vegliar da vicino
il dolce sonno di Gesù Bambino.
I gingilli d'argento
le belle arance d'oro,
chiedono fra di loro
scampanellando piano
Ci toccherà la sua piccola mano?
Gli angiolini di cera
dalle manine in croce
sussurrano con voce
quasi di paradiso:
Se avessimo soltanto un suo sorriso!
E la stella cometa
che vide tutto il mondo
dice con un profondo
sospiro di dolcezza:
Non vidi mai quaggiù tanta bellezza!
 

Roberto Piumini

AUTUNNO



AUTUNNO
Quando la terra
comincia a dormire
sotto una coperta
di foglie leggere,
quando gli uccelli
non cantano niente.
Quando di ombrelli
fiorisce la gente,
quando si sente
tossire qualcuno,
quando un bambino
diventa un alunno.
Ecco l’autunno!
Roberto Piumini

Roberto Piumini



Roberto Piumini è nato a Milano il 14 marzo 1947pubblicato libri di poesie, poemi, fiabe, racconti, romanzi,  testi  teatrali presso più di trenta  editori  nel  campo della  letteratura  per ragazzi. Ha pubblicato due romanzi, tre libri di racconti presso Einaudi, due raccolte di racconti,un Canzoniere presso il Melangolo, e una  traduzione  integrale  in  versi  dei Sonetti di Shakespeare per Bompiani.Molti suoi libri sono tradotti all'estero. È autore di testi di canzoni e  teatro musicale e dei  testi di La musica opera didattica di Sergio Liberovici. È  traduttore  di testi poetici e teatrali inglesi e americani. È  stato autore e conduttore  delle trasmissioni  radiofoniche  Radicchio e Il  mattino  di  Zucchero, e  tra  gli  autori  del  programma televisivo L'albero azzurro.

Giorno caldo


L’estate si dona,
largo è il favore.
Di me disteso si orna
la quercia mai stanca
di chiamare l’acqua.

Quest’albero ricco
mi fa grata l’erba e l’ombra,
a me ritorna nel suo fiato
caldo un volto innamorato,
si piegava sul mio collo,
due fiori cresciuti nel sonno.

Libero De Libero

Se vai.......