giovedì 30 aprile 2020

IL POVERO E IL PIÙ POVERO


 
Un tale che era stato ricco di molti beni, diventato assai povero al cambiar della sorte, solo e digiuno andava per una via, cercando d'ingannare la fame vecchia già di due giorni con dei lupini. «Al mondo» diceva «c'è qualcuno più infelice di me, che, pieno di ricchezze nel mio tempo felice, son costretto a saziarmi con un crudo legume?» Per caso si voltò
e vide alle sue spalle un vecchio raccattare

le bucce dei lupini: saziava una fame

peggiore con un cibo più vile. Stupefatto
per l'insolito caso, fu saggio d'improvviso
e disse un detto vero, frutto di sua esperienza:

«Scontento della tua sorte, guardati dietro».
 
Giovanni Mazza

Le quattro stagioni


Largamente sparge l'inverno i suoi doni nevosi:
sot
to molta neve dormono i campi,
e candida neve corona la vetta del Vesuvio che arde d'interno fuoco.

Soffiano gelidi venti, scroscia dalle nubi la pioggia; soffrono uomini e cose. Vadano altri a giochi e a teatri: io resterò
nella mia cara casa.

Ardono al fuoco i resti salmastri di una nave sfasciata: la fiamma ha odore di mare.
Oh, dammi, cara, dammi bicchieri di vecchio vino,

e porgimi Virgilio

oppure Orazio; mentre a sera infuria il vento
e tu
prepari una cena frugale, riprenderò le forze col vino e berrò ai larghi fiumi
della musa latina.

Viene la primavera: lieti ai campi
tornano i fiori, e il cielo ilari uccelli.

e dolci brezze accarezzano il mare

parso di vele.
 
Ah, vivono gli antichi dèi! Nell'aria la siringa di Pan odo suonare,
e vedo vergini ninfe che colgono

candidi gigli.
 
Non vive forse in me poeta il tenue
soffio della latina musa? Un satiro

bicorne ride da una cava elce
 sonoramente.
La feroce canicola ci obbliga,
Marco, a lasciare la città infocata,
cercando il fresco nell'ombra degli alberi o lungo le marine risonanti.
 
Ti attende, o giovane, la gaia spiaggia, e le risa sfrontate dei compagni,
le ragazze abbigliate alla maniera

delle Nereidi ed i facili amori.
 
lo che il decimo lustro ho già compiuto,
amo invece la divina quiete
della campagna, e il vino oblio di vita,
ed il tuo miele dolcissimo, Orazio.
 
 
L’oscilante bilancia porta l’autunno, dalle tempie coronate di pampini
Cominciano a velarsi di nebbia i colli e i campi

di mestizia i cuori.
 
Uno stormo triste di gru, traversando in lunga fila il cielo, fugge dai nostri lidi. Ma lui allegro dona rose e frutti, e ai grappoli ordina
di farsi rosseggianti.
 
E mentre pigia coi piedi l'uva raccolta dalle viti,
e purpureo scorre

il succo - e i fauni gridano: «Evoè, Bacco, vieni!»

così ammonisce il saggio:
 
«O morituro, non accorciare con le pene i tuoi
brevi anni, se un dio te lo concede; il vecchio Bacca infatti sa scacciare i nuovi affanni,
e quello nuovo i vecchi»
 
Giovanni Mazza

Giovanni Mazza


 

(Torre del Greco, 30 aprile 1877Napoli, 12 novembre 1943)
è stato un poeta italiano. È uno dei più interessanti poeti in latino del Novecento, cinque volte insignito della magna laus nel prestigioso Certamen poeticum Hoeufftianum di Amsterdam.
si laurea in lettere presso l'Università di Napoli. Esordisce a venticinque anni come poeta in lingua pubblicando un volumetto di versi (Prime rime, 1902).Segue un lungo silenzio, che dura venticinque anni, e che sarà interrotto nel 1927, quando Mazza ricomincia a scrivere versi, ma solo in latino. Compone in quell'anno Quattuor anni tempora (“Le quattro stagioni”) e Retina, seu Herculanei excidium (“Resina, o la distruzione di Ercolano”), che vengono pubblicati nel 1928 e che daranno inizio a un periodo di intenso lavoro poetico, che riempie gli ultimi quindici anni della sua vita, durante i quali compone l'intero “corpus” dei suoi Latina carmina: sette opere pubblicate in vita e cinque rimaste inedite fino al 1988, quando vedranno la luce nel volume Poesie latine e italiane, che raccoglie l'intera sua produzione. Queste le opere premiate con la magna laus ad Amsterdam: nel 1928, Quattuor anni tempora (“Le quattro stagioni”); nel 1930, Italia renata (“L'Italia rinata”) e Fabularum liber primus (“Primo libro delle favole”); nel 1931, Ver lacrumosum (“Primavera di lacrime”); nel 1933, Caelestia (“Fenomeni celesti”).Ottenne anche la “menzione d'onore” al Certamen Ruspantinianum di Roma, nel 1934 per Fabularum liber alter (“Secondo libro delle favole”) e per Caelestia (già premiato ad Amsterdam) e nel 1940 per Sic labitur aetas (“Così scorre il tempo”).Nel 1904 sposa Maria Antonetta Iesu, dalla quale ha avuto sette figlie. Ha insegnato materie letterarie nella Scuola di Avviamento di Torre del Greco. Muore  dopo una vita difficile, negli anni ancora più difficili della guerra.

Duccio Galimberti


 
Tancredi Achille Giuseppe Olimpio Galimberti, detto Duccio
(Cuneo, 30 aprile 1906Centallo, 4 dicembre 1944),

è stato un avvocato, antifascista e partigiano italiano.
Medaglia d'Oro al Valor Militare e Medaglia d’oro della Resistenza,
fu proclamato Eroe nazionale dal CLN piemontese.
Fu la figura più importante della Resistenza in Piemonte. Figlio di Tancredi  e di Alice Schanzer, studiosa e poetessa di origini austriache, gli vennero imposti i nomi di Tancredi, Achille, Giuseppe, Olimpio, ma per tutta la vita sarebbe stato, appunto, Duccio. Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza a Torino, esercitò l’attività di avvocato e continuò a svolgere studi inerenti a problemi giuridici.  Quando giunse il momento della chiamata obbligatoria alle armi, decise di svolgere il servizio di leva come soldato semplice, perché per poter frequentare il corso di allievo ufficiale avrebbe dovuto iscriversi al partito fascista. Mazziniano fervente, negli anni tra il 1940 e il 1942 tentò di organizzare gli antifascisti cuneensi. Nel 1942 fu tra gli organizzatori del Partito d'azione nella sua città, raccogliendo attorno a sé personaggi di antiche convinzioni democratiche e un gruppo di giovani maturati agli ideali dell'antifascismo. Galimberti venne clamorosamente allo scoperto dopo la destituzione di Mussolini: il 26 luglio del 1943 si affacciò alla finestra del suo studio che dava sulla Piazza Vittorio (divenuta negli anni successivi piazza Galimberti in suo onore) e arringò la folla. Intervenne la polizia fascista e le persone accorse ad ascoltarlo vennero disperse a colpi di manganello. Nello stesso giorno parlò in un comizio a Torino.  Gridò: «Sì, la guerra continua fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista!». Queste frasi gli causarono subito un mandato di cattura delle autorità badogliane, che fu revocato soltanto tre settimane dopo. L’8 settembre lo Studio Galimberti a Cuneo si trasformò in centro operativo per l’organizzazione della lotta armata popolare, dopo che Galimberti non riuscì a convincere il Comando militare di Cuneo ad opporsi in armi all’avanzata dell’esercito tedesco che stava calando dal Brennero in tutta la penisola. Tre giorni dopo Duccio, con altri dieci amici si recò in Valle Gesso, dove costituì il primo nucleo della banda partigiana Italia Libera. Duccio dimostrò rilevanti capacità di organizzazione e conduzione della lotta partigiana. Egli si occupava tra l’altro del reclutamento di nuovi partigiani vagliando la validità "morale" dei nuovi arrivati. L’umanità di Galimberti traspariva dal suo tratto, dal suo sorriso, dalla sua saggezza, ed anche dal suo disagio di fronte alle crudeltà, quali erano le rappresaglie ritenute indispensabili sui tedeschi e i fascisti che avessero infierito sulla popolazione civile. Quando il 13 gennaio 1944 i tedeschi investirono in forze la posizione di San Matteo, furono contrastati dalla tattica elastica dei partigiani, i quali riuscirono a far fallire il loro piano. Nel gennaio del 1944 Galimberti venne ferito durante un rastrellamento e curato sommariamente da una dottoressa, ebrea polacca, sfuggita ai nazisti e riparata tra i partigiani. La gravità delle ferite lo costrinse ad andare all’Ospedale di Canale. Dopo un periodo di cure trascorso in un rifugio nelle Langhe, venne nominato comandante di tutte le formazioni Giustizia e Libertà del Piemonte e loro rappresentante nel Comitato militare regionale. Si trasferì a Torino dove iniziò ad esercitare l’incarico della direzione militare regionale. Galimberti cominciò in tal modo un'opera incessante e rischiosissima di organizzazione, entrando a far parte dei Comando regionale dei Corpo volontari della libertà. In seguito ad una delazione, venne arrestato il 28 novembre 1944, in una panetteria di Torino che era il recapito del Comando partigiano. I frenetici tentativi delle forze della Resistenza di operare uno scambio di prigionieri con i tedeschi furono inutili: Galimberti era una figura importantissima per i partigiani resistenti e, per i nazisti e i fascisti, una preda troppo ambita per lasciarla sfuggire. Quattro giorni più tardi, nel pomeriggio del 2 dicembre, un gruppo di fascisti dell’Ufficio politico di Cuneo andò a Torino per prelevarlo dal carcere. Fu trasportato nella caserma delle brigate nere di Cuneo: qui Galimberti venne sottoposto a interrogatorio e ridotto in fin di vita dalle sevizie, ma nonostante questo i fascisti non riuscirono ad ottenere alcuna informazione riguardante le formazioni partigiane della montagna cuneese. Il mattino del 4 dicembre, fu caricato su un camioncino e trasportato nei pressi di Centallo dove venne ucciso con una raffica di mitra alla schiena.
Medaglia d'Oro al valor militare

Inviato: 30/04/2011 14:23

Er Sogno Bello



- Macchè! - je disse subbito er dottore -
Qui nun se tratta mica d'anemia!
E' gravidanza, signorina mia:
soliti incertarelli de l'amore! -

Pe' Mariettina fu na stretta ar core:
- Sò rovinata! Vergine Maria!
Madonna Santa, fate che nun sia!
Nun potrei sopportà 'sto disonore! -

Ma appena vidde ch'era proprio vero
corse da Nino. - Nun è gnente! - dice -
se leveremo subbito er pensiero.

Ce vò la puncicata. Domattina
te porto da 'na certa levatrice
che già l'ha fatto a un'antra signorina. -

La sera Mariettina agnede a letto
coll'occhi gonfi e con un gnocco in gola,
e s'anniscose sott'a le lenzola
pe' piagne zitta, senza da' sospetto.

Poi pijò sonno e s'insognò un pupetto
che je diceva: "Se te lascio sola,
povera mamma mia, chi te consola
quanno t'invecchierai senza un affetto?"

E, sempre in sogno, je pareva come
se er fijo suo crescesse a l'improviso
e la baciava e la chiamava a nome...

Allora aperse l'occhi adacio adacio
e s'intese una bocca, accanto ar viso,
che la baciava co' lo stesso bacio.


Era la madre. - Mamma, mamma bella! -
E se la strense ar petto. - Amore santo!
Che t'insognavi che parlavi tanto
e facevi la bocca risarella?

Però ciai l'occhi come avessi pianto...
Dimme? che t'è successo? - E pe' vedella
più mejo in faccia, aprì la finestrella
e fece l'atto de tornaje accanto.

S'intese un fischio. - Mamma! questo è lui
che sta aspettanno sotto l'arberata...
Dije che vada pe' li fatti sui.

Anzi faje capì che se l'onore
se pò sarvà con una puncicata
preferisco de dajela ner core.

Trilussa

Proverbio del giorno

Buongiorno a tutti


Ho ascoltato un Virologo e mi è piaciuto ciò che ha detto.
Queste sono le sue parole:- Il Virus è SUBDOLO per 10 gg se siamo contagiati non abbiamo sintomi ma SIAMO CONTAGIOSI. Lui non interessa se riapriamo o no, giustamente l'economia deve ripartire!  Allora se volete aiutare NOI e VOI Chi deve uscire per lavoro o altra cosa importante ESCA chi non ha motivi importanti per uscure STIA a CASA.

Io la penso come lui. Vi auguro una buona giornata e vi dico e spero di sbagliarmi enormemente che le cose andranno peggio prossimamente.
Spero tanto di essere contraddetta in pieno.
Lucia 

mercoledì 29 aprile 2020

Moriremo lontani




Moriremo lontani. Sarà molto
se poserò la guancia nel tuo palmo
a Capodanno; se nel mio la traccia
contemplerai di un’altra migrazione.

Dell’anima ben poco

sappiamo. Berrà forse dai bacini
delle concave notti senza passi,
poserà sotto aeree piantagioni
germinate dai sassi...

O signore e fratello! ma di noi

sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni:

«nessun vincolo univa questi morti

nella necropoli deserta».
 
Cristina Campo

Amore, oggi il tuo nome


 
Amore, oggi il tuo nome
al mio labbro è sfuggito
come al piede l'ultimo gradino...

ora è sparsa l'acqua della vita
e tutta la lunga scala
è da ricominciare.

T'ho barattato, amore, con parole.

Buio miele che odori
dentro diafani vasi
sotto mille e seicento anni di lava -

ti riconoscerò dall'immortale
silenzio.
 
 Cristina Campo

Cristina Campo


 
 pseudonimo di Vittoria Guerrini 
(Bologna, 29 aprile 1923Roma, 11 gennaio 1977)

è stata una scrittrice, poetessa e traduttrice italiana.
Nacque unica figlia del Maestro Guido Guerrini, musicista e compositore originario di Faenza, e di Emilia Putti, nipote di Enrico Panzacchi. Per una congenita malformazione cardiaca, che rese sempre precaria la sua salute, Cristina crebbe isolata dai coetanei e non poté seguire regolari studi scolastici. Fino al 1925 i Guerrini vissero presso la residenza del professor Putti, nel parco dell'Ospedale Rizzoli di Bologna. Successivamente la famiglia si trasferì a Parma, e dal 1928 a Firenze, dove Guido Guerrini fu chiamato a dirigere il conservatorio Cherubini. L'ambiente culturale fiorentino fu determinante nella formazione di Cristina Campo, a cominciare dall'amicizia con il germanista e traduttore Leone Traverso, da lei chiamato affettuosamente "Bul", al quale, per qualche tempo, fu legata anche sentimentalmente (il loro carteggio è stato pubblicato nel 2007 dalla casa editrice Adelphi con il titolo Caro Bul. Lettere a Leone Traverso 1953-1967). Margherita Pieracci Harwell, la letterata che avrebbe curato la pubblicazione delle opere postume della Campo. La sua natura solitaria la portò a rifuggire da riconoscimenti e apprezzamenti (preferì firmare con nomi fittizi le poche opere pubblicate in vita), dimostrandosi sempre indifferente alle strategie e alle esigenze del mercato letterario. Di sé amava dire: "Ha scritto poco, e le piacerebbe aver scritto meno". Cristina Campo fu eccellente traduttrice, soprattutto di autori di lingua inglese. La traduzione era da lei concepita non come semplice riproduzione del significato, ma come reviviscenza, nella propria lingua, della spiritualità dell'autore, operazione che richiede sintonia e intuizione profonda. Nei primi anni Cinquanta lavorò alla compilazione di un'antologia di scrittrici, Il Libro delle ottanta poetesse, concepita come "una raccolta mai tentata delle più pure pagine vergate da mano femminile attraverso i tempi", non venne tuttavia mai pubblicata. Nel 1955 si trasferì a Roma, dove il padre fu chiamato a dirigere il conservatorio di Santa Cecilia e il Collegio di Musica. In questa città, verso la quale ebbe sempre un rapporto controverso. Al 1958 risale l'incontro per lei fondamentale, con lo studioso e scrittore Elémire Zolla, con il quale visse fino alla morte. Negli ultimi anni di vita ebbe un intenso scambio epistolare con il filosofo Andrea Emo, che come lei visse appartato e la cui opera solo di recente è stata scoperta e pubblicata postuma. Nel 1956 presso l'editore Vanni Scheiwiller di Milano apparve il suo primo libro, la raccolta di poesie Passo d' addio. Nel 1962 uscì da Vallecchi il volume di saggi Fiaba e mistero, in parte confluito nel libro successivo, Il flauto e il tappeto, pubblicato nel 1971 da Rusconi. L'ultimo decennio della sua vita la vide emarginata dalla scena culturale. Così Elémire Zolla ricorda quegli anni: «Durante la vita Vittoria non fu menzionata da nessuno di coloro che oggi si sentono liberi di parlarne. Non desidero valutare i loro criteri di silenzio e se mai volessi dichiararli, sarei portato molto lontano, dove non desidero andare. Fece eccezione Calasso, che osò scriverne un necrologio per il Corriere della Sera». La Campo fu tra i fondatori della prima associazione di Cattolici tradizionalisti, Una Voce. Sulla rivista Conoscenza religiosa, diretta da Elémire Zolla, apparvero gli ultimi scritti della Campo, tra i quali vanno ricordati lo stupendo saggio Sensi soprannaturali e le poesie ispirate alla liturgia bizantina. Cristina Campo morì a Roma nel 1977, a 53 anni. Si ritiene che parte delle sue carte sia andata perduta.

Pedro Vargas


Pedro Vargas Mata, nato Pedro Cruz Mata,
meglio conosciuto come Pedro Vargas,
(San Miguel de Allende Guanajuato, Messico, 29 aprile 1906
Città del Messico
, 30 ottobre 1989),
è stato un tenore e attore messicano, appartenente alla cosiddetta Età dell'Oro del cinema messicano.
Nonostante la sua preparazione operistica, si dedicò al canto popolare, ottenendo riconoscimenti internazionali, oltre ad essere uno dei principali interpreti di Agustín Lara. Era conosciuto con i soprannomi di «L'usignolo delle Americhe», «Il tenore continentale» e «Il samurai della canzone». Come attore fece parte dell'Età d'oro del cinema messicano e partecipò a più di 70 film. Era il secondo dei dodici figli di José Cruz Vargas e Rita Mata, una coppia di umili contadini. All'età di sette anni cantava nel coro della chiesa della sua città, il maestro del coro fu il primo a riconoscere il suo talento e a dargli lezioni di canto. Nel 1920, all'età di 14 anni, arrivò a Città del Messico e subito iniziò a cantare nei cori di diverse chiese e ad offrirsi per delle serenate. Fu nel Colegio Francés de La Salle dove, dopo averlo ascoltato, gli fu offerta una borsa di studio per completare la scuola superiore, le lezioni di piano ed il solfeggio. Rimase nella scuola fino a quando non ebbe finito il liceo. In seguito il maestro José Pierson gli avrebbe anche offerto gratuitamente l'alloggio e lezioni di tecnica vocale. Mentre si trovava lì incontrò Jorge Negrete, Alfonso Ortiz Tirado e Juan Arvizu. José Mojica lo raccomandò più tardi ad Alejandro Cuevas; l'insegnante, dopo averlo ascoltato, si offrì di dargli lezioni gratuitamente. Ebbe l'opportunità di partecipare all'opera Cavalleria rusticana il 22 gennaio 1928, su raccomandazione del maestro Jose Pierson al Teatro Esperanza Iris. Ricevette l'offerta di viaggiare in una tournée con l'Orquesta Típica di Miguel Lerdo de Tejada (ora Orquesta Típica di Città del Messico) negli Stati Uniti, come cantante di musica popolare, che accettò. Nella sua prima visita a Buenos Aires registrò per l'etichetta RCA Victor due canzoni delle sue: "Porteñita mía" e "Me fui", con l'accompagnamento musicale del pianista José Agüeros e del violinista Elvino Vardaro. Il 12 settembre 1931 sposò María Teresa Campos Jáuregui, originaria di una famiglia di Querétaro, un matrimonio che durò fino alla morte dell'artista e dal quale vennero i suoi quattro figli. Fu uno degli interpreti migliori e di maggior successo del compositore Agustín Lara, così come di molti altri compositori di tutta l'America latina, che gli permisero di viaggiare attraverso diversi paesi di questo continente, principalmente Argentina, Colombia, Perù e Venezuela. Con un vasto repertorio che comprendeva canzoni liriche come "Jinetes en el Cielo", canzoni rancheras come "Allá en el Rancho Grande", bolero come "Obsesión", cantate a due voci con Beny Moré e temi nostalgici come "Alfonsina y el mar", Pedro Vargas ricevette dal pubblico la qualifica "Usignolo delle Americhe". Pedro Vargas morì per complicazioni del diabete durante il sonno, a seguito di un arresto respiratorio, il 30 ottobre 1989, a Città del Messico, all'età di 83 anni.

La grande Madre Teresa



Non possiamo parlare finchè non ascoltiamo ...
Quando avremo il cuore colmo, la bocca parlerà,
la mente penserà.

Amiamo..
non nelle grandi ma nelle piccole cose fatte con grande amore.
C'è tanto amore in tutti noi. Non dobbiamo temere di manifestarlo.

Le parole gentili sono brevi e facili da dire,
ma il loro eco è eterno

è meglio accendere una candela piuttosto che maledire l'oscurità.

La gioia è la speranza di una felicità eterna.

La gioia è preghiera, perché loda Dio: l'uomo è creato per lodare.

La gioia è una rete d'amore per catturare le anime.

Madre Teresa

Detto del giorno



3 cose...........


Santa Caterina


speriamo di no!!!!!


CATERINA Auguri !

 
Oggi 29 aprile chi ha questo nome festeggia l'onomastico.
Il nome femminile deriva dal greco kataròs e signifca 'pura'. Il nome è tra i più diffusi nel mondo e numerose furono le donne illustri che lo portarono, tra cui regine, imperatrici e ben otto sante. L'onomastico si festeggia il 29 aprile in memoria di Santa Caterina da Siena, Terziaria Domenicana, morta nel 1380. La Santa è Patrona d'Italia, Roma, Siena, delle lavandaie, dei corrieri e degli infermieri. Numerosi i derivati del nome, quali: Càtera, Catrina, Rina, Catia, Katia.
 
Diffusione: In Italia ci sono circa 317.253 persone di nome Caterina. Suddivisione: Sicilia (14%), Piemonte (15%), Lombardia (12%), ..

Caratteristiche: vitale e piena di brio, con lei è impossibile annoiarsi: è una persona piena di nuove idee creative che si manifestano spesso durante tutto l'arco della giornata. Talvolta ama estraniarsi dalla realtà alla ricerca di sogni talvolta difficilmente realizzabili.

Curiosità: Caterina da Siena è una delle personalità più importanti che hanno portato quest'elegante nome, ma non ovviamente l'unica. Infatti numerose religiose e sovrane si sono chiamate Caterina, come la consorte di Francia, Caterina de'Medici, Caterina II di Russia, Caterina Sforza, Caterina d'Aragona, principessa del Galles e regina d'Inghilterra.

Significato: saettante, pura
Onomastico: 29 aprile (santa Caterina da Siena);
Origine: Greca
Segno corrispondente: Pesci
Numero fortunato: 2
Colore: Rosso
Pietra: Rubino
Metallo: Mercurio
Varianti femminili: Catterina, Catarina, Catrina, Catalina, Cattalina
Varianti maschili: Caterino, Catterino, Catrino, Catalino, Cattalino
Varianti estere / Femminili: Catherine, Caron, Trinette (francese); Katherine, Kathleen, Katie, Kate, Kitty, Kay (inglese); Catalina, Catuca, Catufa, Catuja, Catunga (spagnolo); Katrin, Katharina, Kathe, Ina (tedesco).

Santa Caterina da Siena




Vergine e dottore della Chiesa,
patrona d'Italia
Patronato: Italia, Europa (Giovanni Paolo II, 1/10
Etimologia: Caterina = donna pura, dal greco
Emblema: Anello, Giglio

Lo si dice oggi come una scoperta: "Se è in crisi la giustizia, è in crisi lo Stato". Ma lo diceva già nel Trecento una ragazza: "Niuno Stato si può conservare nella legge civile in stato di grazia senza la santa giustizia". Eccola, Caterina da Siena. Ultima dei 25 figli del rispettato tintore Jacopo Benincasa e di sua moglie Lapa Piacenti, figlia di un poeta. Caterina non va a scuola, non ha maestri. Accasarla bene e presto, ecco il pensiero dei suoi, che secondo l’uso avviano discorsi di maritaggio quando lei è sui 12 anni. E lei dice di no, sempre, anche davanti alle rappresaglie. E la spunta. Del resto chiede solo una stanzetta che sarà la sua “cella” di terziaria domenicana (o Mantellata, per l’abito bianco e il mantello nero).La stanzetta si fa cenacolo di artisti e di dotti, di religiosi, di processionisti, tutti più istruiti di lei. E tutti amabilmente pilotati da lei. Li chiameranno “Caterinati”. Lei impara faticosamente a leggere, e più tardi anche a scrivere, ma la maggior parte dei suoi messaggi è dettata. Con essi lei parla a papi e re, a cuoiai e generali, a donne di casa e a regine. Anche ai detenuti, che da lei non sentono una parola di biasimo per il male commesso. No, Caterina è quella della gioia e della fiducia: accosta le loro sofferenze a quelle di Gesù innocente e li vuole come lui: "Vedete come è dolcemente armato questo cavaliero!". Nel vitalissimo e drammatico Trecento, tra guerra e peste, l’Italia e Siena possono contare su Caterina, come ci contano i colpiti da tutte le sventure, e i condannati a morte: ad esempio, quel perugino, Nicolò di Tuldo, selvaggiamente disperato, che lei trasforma prima del supplizio: "Egli giunse come uno agnello mansueto, e vedendomi, cominciò a ridere; e volse ch’io gli facessi il segno della croce".Va ad Avignone, ambasciatrice dei fiorentini per una non riuscita missione di pace presso papa Gregorio XI. Ma dà al Pontefice la spinta per il ritorno a Roma, nel 1377. Parla chiaro ai vertici della Chiesa. A Pietro, cardinale di Ostia, scrive: "Vi dissi che desideravo vedervi uomo virile e non timoroso e fate vedere al Santo Padre più la perdizione dell’anime che quella delle città; perocché Dio chiede l’anime più che le città". C’è pure chi la cerca per ammazzarla, a Firenze, trovandola con un gruppo di amici. E lei precipitosamente si presenta: "Caterina sono io! Uccidi me, e lascia in pace loro!". Porge il collo, e quello va via sconfitto. Deve poi recarsi a Roma, chiamata da papa Urbano VI dopo la ribellione di una parte dei cardinali che dà inizio allo scisma di Occidente. Ma qui si ammala e muore, a soli 33 anni. Sarà canonizzata nel 1461 dal papa senese Pio II. Nel 1939 Pio XII la dichiarerà patrona d’Italia con Francesco d’Assisi. E nel 1970 avrà da Paolo VI il titolo di dottore della Chiesa.La festa delle stigmate di S. Caterina è, per il solo ordine domenicano, il 1° aprile.

Autore: Domenico Agasso

Grazie a te donna



Buon mercoledì

Beh!!! La gif ci dice  che se siamo tristi , in questi momenti che stiamo passando. Ripensare ai momenti belli  vissuti e fare un resoconto di come siamo mdiventati non fa poi male. Se ci troviamo  dei difetti,  impariamo la lezione e cerchiamo di smussarli.
Che almeno questo periodo di riflessione sia  servito a qualcosa.
Lucia

martedì 28 aprile 2020

IO... E L'ASINO MIO.

'Na vorta 'no scurtore de cartello,
Dopo fatto un Mosè ch'era un portento,
Je disse: «Parla!» e lì co' lo scarpello
Scorticò sur ginocchio er monumento.

Io pure mo ch'ho fatto st'asinello
Provo quasi l'istesso sentimento;
Ma invece d'acciaccallo cór martello
Lo licenzio co' sto ragionamento:

Fratello! In oggi, ar monno, senza ciarla,
Starai male dovunque te presenteno,
Dunque, per cui, si vôi fa' strada, parla.

E parla!, ché si parli, sur mio onore,
Cór fisico che ci hai, come te senteno,
Si tu parli, te fanno professore.


Cesare Pascarella

'NA PREDICA DE MAMMA.

L'amichi? Te spalancheno le braccia
Fin che nun hai bisogno e fin che ci hai;
Ma si, Dio scampi, te ritrovi in guai,
Te sbatteno, fio mio, la porta in faccia.

Tu sei giovene ancora, e sta vitaccia
Nu' la conoschi; ma quanno sarai
Più granne, allora te n'accorgerai
Si a sto monno c'è fonno o c'è mollaccia.

No, fio mio bello, no, nun so' scemenze
Quer che te dice mamma, sti pensieri
Tietteli scritti qui, che so' sentenze;

Che ar monno, a sta Fajola d'assassini,
Lo vòi sapé' chi so' l'amichi veri?
Lo vòi sapé' chi so'? So' li quatrini.


Cesare Pascarella

Cesare Pascarella



 
 
 è stato un poeta e pittore italiano.
Ragazzino, l'avevano messo a studiare in seminario, a Frascati: scappò via. A leggere la sua produzione poetica non pare che quella prima esperienza lo abbia conciliato con gli ambienti religiosi.Studiò poi all'Istituto di Belle arti, ma era molto più attratto dalla vita artistico-mondana della città che dagli studi accademici.La nuova capitale ribolliva di novità, di idee, di progetti, di smanie: il ventenne Pascarella vi si tuffò e cominciò a frequentarne gli artisti mondani e innovatori, partecipando alle attività dei "XXV della campagna romana" (dove era noto per i suoi asinelli), frequentando il Caffè Greco, stringendo rapporti con gli artisti più simili a lui per irrequietezza e bisogno di nuovo, collaborando con la Cronaca bizantina e successivamente con il Fanfulla della domenica, che pubblicano le sue prime cose.La nota caratteristica della sua personalità è l'irrequietezza: dopo il viaggio in Sardegna del 1882 con D'Annunzio e Scarfoglio alla scoperta di un mondo considerato misterioso ed arcaico, continua a viaggiare moltissimo (India, Giappone, Stati Uniti, Cina, etc), annotando nei suoi Taccuini disegni e osservazioni acute e caustiche. Tuttavia l'uomo è profondamente legato alla sua città, scenario privilegiato di molte sue opere.Pubblica, nel frattempo, "Villa Gloria" (1886), 25 sonetti sul tentativo dei Fratelli Cairoli di liberare Roma e conclusosi tragicamente con lo scontro di villa Glori. I sonetti furono celebrati dal Carducci, mentre il lavoro più noto, "La scoperta de l'America" (di cui dà letture pubbliche sempre più richieste) è del 1894, ma non mancano elzeviri, resoconti e collaborazioni. I Sonetti, del 1904, raccolgono le sue opere sparse dal 1881.è anche un grande camminatore (e i resoconti di queste esperienze finiscono ugualmente nei taccuini e nella sue collaborazioni giornalistiche) e poi recita in teatro.Già prima della grande guerra, attorno al 1911, l'insorgente sordità, una sua nativa inclinazione alla solitudine e probabilmente la crescente consapevolezza di essere ormai uomo di un'altra epoca, definitivamente tramontata, portano Pascarella a sottrarsi del tutto alla mondanità letteraria romana, nonostante le sollecitazioni di amici e ammiratori. Lavora a Storia nostra, poema che non accetterà mai di pubblicare neppure per saggi e resterà incompiuto, e di cui usciranno postumi, nel 1941, 267 sonetti dei 350 previsti. Continua le sue lunghe passeggiate per la campagna romana. Studia l'inglese per poter leggere in originale Stevenson e Conrad. Si appassiona al volo. Non perde i contatti con gli amici, anche se gli scambi consistono ormai in foglietti sui quali il suo interlocutore scrive domande o osservazioni: il poeta risponde con ampiezza, se la domanda gli piace - o ripiega il foglietto stretto stretto e passa ad altro.Nel 1930 è nominato accademico d'Italia, e nonostante la sordità e la misantropia crescente, partecipa con costanza alle riunioni alla Farnesina.Muore a Roma l'8 maggio 1940, in solitudine. Il suo scanno all'Accademia d'Italia viene attribuito ad Ada Negri, prima donna ad entrarvi. Le sue carte, la biblioteca (stampati antichi e moderni), quadri e disegni furono acquistati nel 1941 dall'Accademia dei Lincei. Il fondo è parzialmente ordinato.

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