giovedì 30 aprile 2020

Le quattro stagioni


Largamente sparge l'inverno i suoi doni nevosi:
sot
to molta neve dormono i campi,
e candida neve corona la vetta del Vesuvio che arde d'interno fuoco.

Soffiano gelidi venti, scroscia dalle nubi la pioggia; soffrono uomini e cose. Vadano altri a giochi e a teatri: io resterò
nella mia cara casa.

Ardono al fuoco i resti salmastri di una nave sfasciata: la fiamma ha odore di mare.
Oh, dammi, cara, dammi bicchieri di vecchio vino,

e porgimi Virgilio

oppure Orazio; mentre a sera infuria il vento
e tu
prepari una cena frugale, riprenderò le forze col vino e berrò ai larghi fiumi
della musa latina.

Viene la primavera: lieti ai campi
tornano i fiori, e il cielo ilari uccelli.

e dolci brezze accarezzano il mare

parso di vele.
 
Ah, vivono gli antichi dèi! Nell'aria la siringa di Pan odo suonare,
e vedo vergini ninfe che colgono

candidi gigli.
 
Non vive forse in me poeta il tenue
soffio della latina musa? Un satiro

bicorne ride da una cava elce
 sonoramente.
La feroce canicola ci obbliga,
Marco, a lasciare la città infocata,
cercando il fresco nell'ombra degli alberi o lungo le marine risonanti.
 
Ti attende, o giovane, la gaia spiaggia, e le risa sfrontate dei compagni,
le ragazze abbigliate alla maniera

delle Nereidi ed i facili amori.
 
lo che il decimo lustro ho già compiuto,
amo invece la divina quiete
della campagna, e il vino oblio di vita,
ed il tuo miele dolcissimo, Orazio.
 
 
L’oscilante bilancia porta l’autunno, dalle tempie coronate di pampini
Cominciano a velarsi di nebbia i colli e i campi

di mestizia i cuori.
 
Uno stormo triste di gru, traversando in lunga fila il cielo, fugge dai nostri lidi. Ma lui allegro dona rose e frutti, e ai grappoli ordina
di farsi rosseggianti.
 
E mentre pigia coi piedi l'uva raccolta dalle viti,
e purpureo scorre

il succo - e i fauni gridano: «Evoè, Bacco, vieni!»

così ammonisce il saggio:
 
«O morituro, non accorciare con le pene i tuoi
brevi anni, se un dio te lo concede; il vecchio Bacca infatti sa scacciare i nuovi affanni,
e quello nuovo i vecchi»
 
Giovanni Mazza

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