sabato 30 novembre 2019

La Fontanina


 
Sola, ai piedi del monte
tutto verde di abeti,
sta una piccola fonte
che sa molti segreti.
 
Sa i segreti dei grilli
e i sospiri dei fiori,
d'ogni uccello sa i trilli
e d'ogni alba i colori.
 
Nelle notti d'argento
mormora una canzone
 e ridice col vento
le novelle più buone.
 
Sembra, il mormorio
gentile, una preghiera
che salga verso Dio
da un'anima sincera.
 
T.Stagni

Le stelle



Cosa saranno mai-quei bei punti d'argento
che stanno a tappezzare- il nostro firmamento;

che nella notte brillano- al pari di fiammelle,
cui sulla terra han dato- un caro nome:stelle?

Tutti quei punti forse- son lumi piccolini,
destinati a far luce- ai viandanti divini?

O son vaghi fiori- lasciati senza stelo
e seminati a fascio- per i prati dl cielo?

O son gli occhietti fulgidi- degli angeli più belli
che di lontano cercano- nel mondo i lor fratelli?...

T.Stagni


Teresa Stagni


 
Maria Teresa Chierici Stagni
Scrittrice e poetessa.
Non ho trovato biografie solo questa notizia del 10 sett. 2001.E' il caso di un piccolo volumetto dal titolo «Con Byron tra Bologna e Ravenna», scritto da Maria Teresa Chierici Stagni (edizioni Pendragon), docente bolognese di lingua inglese e studiosa di letteratura. Il libro sarà presentato dalla stessa autrice insieme a Giovanni Franci e Gianni Scalia

Enzo Tortora



Tra i suoi lavori più importanti in televisione vi sono la conduzione de La Domenica Sportiva e l'ideazione e conduzione del fortunato programma Portobello. Il suo nome è ricordato anche per un caso di malagiustizia di cui fu vittima e che fu poi denominato "caso Tortora". Tortora fu accusato, su richiesta dei procuratori Francesco Cedrangolo e Diego Marmo, dal giudice istruttore, il magistrato Giorgio Fontana, di gravi reati, ai quali in seguito risultò totalmente estraneo, sulla base di accuse formulate da soggetti provenienti da contesti criminali; il 17 giugno 1983 fu per questo arrestato e imputato di associazione camorristica e traffico di droga. Dopo 7 mesi di reclusione, nel gennaio del 1984 fu liberato, ma il 17 settembre 1985 i due pubblici ministeri del processo, Lucio Di Pietro e Felice di Persia, lo fecero condannare a dieci anni di carcere. La sua innocenza fu dimostrata e riconosciuta il 15 settembre 1986, quando venne infine definitivamente assolto dalla Corte d'appello di Napoli. Durante questo periodo, Tortora fu eletto eurodeputato per il Partito Radicale, di cui divenne anche presidente. Tortora morì un anno dopo la sua definitiva assoluzione. Enzo Tortora morì a 59 anni la mattina del 18 maggio 1988 nella sua casa di Milano, stroncato da un tumore polmonare. I funerali - cui parteciparono amici e colleghi tra i quali Marco Pannella, Enzo Biagi, Piero Angela - si tennero presso la Basilica di Sant'Ambrogio a Milano. Dopo la cremazione, le ceneri di Enzo Tortora riposano al Cimitero Monumentale di Milano, presso la Nicchia D dell'Edicola F di Levante Superiore, zona ospitante cellette con ceneri o resti esumati di "cittadini noti e benemeriti". Tra le sue disposizioni testamentarie vi fu quella di porre le sue ceneri in una cassettina assieme a una copia del libro di Alessandro Manzoni Storia della colonna infame nell'edizione con prefazione di Leonardo Sciascia, testo che tratta di uno dei primi casi documentati di giustizia sbagliata in Italia. La cassettina, in legno, non è però tumulata in una delle cellette, bensì nella parte centrale in vetro di una particolare "colonna spezzata" marmorea, riportante inciso sulla sua parte inferiore un epitaffio opera di Sciascia stesso: «Che non sia un'illusione»; la parte superiore della colonna termina invece con un capitello corinzio.

il piacere della lettura

 
"....il piacere della lettura, un piacere che è diventato in pochissimo tempo attrazione, amore, passione: leggo un libro dopo l'altro, al mattino sulla spiaggia, nel pomeriggio seduta in giardino, la sera prima di dormire, e annoto e sottolineo le frasi, le poesie, i pensieri che più mi piacciono e mi colpiscono..."
Romano Battaglia

LA PIETRA SULLE SPALLE




Una volta Gesù e gli apostoli, nei loro continui viaggi, si trovarono a dover superare le asperità di un monte. Gesù disse: «Ciascuno prenda una pietra sulle spalle e la porti su». Volle provare il loro spirito di sacrificio.

Pietro osò chiedere: «Di quale grandezza?».
Rispose Gesù: «La grandezza non interessa».
Mentre tutti si caricarono di grosse pietre, Pietro prese con sé un sasso, tanto piccolo da stare in una tasca.  La salita e il carico facevano sudare e ansimare gli apostoli; Pietro invece camminava spedito e rideva, sotto sotto, dell'ingenuità degli amici.
Arrivati su, si fermarono presso una fontana per riposarsi e mangiare un boccone. Mancava il pane. Gesù allora con una benedizione cambiò le pietre in pane. Qui la sorpresa, l'umiliazione, la vergogna di Pietro, costretto a domandare, per favore, agli altri apostoli, che presero a guardarlo con un sorriso di compassione.
Gli apostoli ne ebbero d'avanzo: Pietro ebbe, sì e no, il necessario.

Questa è una leggenda, ma può insegnare tante cose ai cristiani del nostro tempo!  Vogliamo raggiungere il paradiso con il minimo sforzo, il minimo sacrificio, la minima rinuncia... e poi? In paradiso vivremo di rendita. Più vistoso è il capitale, più sostanzioso l'interesse per tutta l'eternità. Ricorda che il sacrificio, la rinuncia, lo sforzo, che oggi non affronti, mancheranno per sempre al tuo capitale. Per sempre!

30 novembre Sant' Andrea Apostolo



 

Bethsaida di Galilea - Patrasso (Grecia), ca. 60 dopo Cristo
Fratello di Simon Pietro e pescatore insieme a lui, fu il primo tra i discepoli di Giovanni Battista ad essere chiamato dal Signore Gesù presso il Giordano, lo seguì e condusse da lui anche suo fratello. Dopo la Pentecoste si dice abbia predicato il Vangelo nella regione dell’Acaia in Grecia e subíto la crocifissione a Patrasso. La Chiesa di Costantinopoli lo venera come suo insigne patrono. Tra gli apostoli è il primo che incontriamo nei Vangeli: il pescatore Andrea. Il Vangelo di Giovanni  ce lo mostra con un amico mentre segue la predicazione del Battista; il quale, vedendo passare Gesù da lui battezzato il giorno prima, esclama: "Ecco l’agnello di Dio!". Parole che immediatamente spingono Andrea e il suo amico verso Gesù: lo raggiungono, gli parlano e Andrea corre poi a informare il fratello: "Abbiamo trovato il Messia!". Poco dopo, ecco pure Simone davanti a Gesù; il quale "fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, figlio di Giovanni: ti chiamerai Cefa”". Questa è la presentazione. Poi viene la chiamata. I due fratelli sono tornati al loro lavoro di pescatori sul “mare di Galilea”: ma lasciano tutto di colpo quando arriva Gesù e dice: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini". Troviamo poi Andrea nel gruppetto – con Pietro, Giacomo e Giovanni – che sul monte degli Ulivi, “in disparte”, interroga Gesù sui segni degli ultimi tempi: e la risposta è nota come il “discorso escatologico” del Signore, che insegna come ci si deve preparare alla venuta del Figlio dell’Uomo "con grande potenza e gloria". Infine, il nome di Andrea compare nel primo capitolo degli Atti con quelli degli altri apostoli diretti a Gerusalemme dopo l’Ascensione. E poi la Scrittura non dice altro di lui, mentre ne parlano alcuni testi apocrifi, ossia non canonici. Uno di questi, del II secolo, pubblicato nel 1740 da L.A. Muratori, afferma che Andrea ha incoraggiato Giovanni a scrivere il suo Vangelo. E un testo copto contiene questa benedizione di Gesù ad Andrea: "Tu sarai una colonna di luce nel mio regno, in Gerusalemme, la mia città prediletta. Amen". Lo storico Eusebio di Cesarea (ca. 265-340) scrive che Andrea predica il Vangelo in Asia Minore e nella Russia meridionale. Poi, passato in Grecia, guida i cristiani di Patrasso. E qui subisce il martirio per crocifissione: appeso con funi a testa in giù, secondo una tradizione, a una croce in forma di X; quella detta poi “croce di Sant’Andrea”. Questo accade intorno all’anno 60, un 30 novembre. Nel 357 i suoi resti vengono portati a Costantinopoli; ma il capo, tranne un frammento, resta a Patrasso. Nel 1206, durante l’occupazione di Costantinopoli (quarta crociata) il legato pontificio cardinale Capuano, di Amalfi, trasferisce quelle reliquie in Italia. E nel 1208 gli amalfitani le accolgono solennemente nella cripta del loro Duomo. Quando nel 1460 i Turchi invadono la Grecia, il capo dell’Apostolo viene portato da Patrasso a Roma, dove sarà custodito in San Pietro per cinque secoli. Ossia fino a quando il papa Paolo VI, nel 1964, farà restituire la reliquia alla Chiesa di Patrasso.
Patronato: Pescatori
Etimologia: Andrea = virile, gagliardo, dal greco
Emblema: Croce decussata, Rete da pescatore
Autore: Domenico Agasso

venerdì 29 novembre 2019

╠ Proverbio del giorno ╣


SOLE AUTUNNALE


E gracidò nel bosco la cornacchia:
il sole si mostrava a finestrelle.
Il sol dorò la nebbia della macchia,
poi si nascose e piovve a catinelle.
Poi, fra il cantar delle raganelle,
guizzò sui campi un raggio lungo e giallo.
Stupìano i rondinotti dell’estate
di quel sottile scender di stelle.
 
Giovanni Pascoli

Novembre


Ecco Novembre !E' giunto alla fine,
le giornate di sole son state pochine.
Le foglie dagli alberi son quasi sparite
e le nostre giornate si sono intristite.
Non sentirti in colpa caro Novembre,
hai preparato la strada a Dicembre,
che incalza impaziente, col freddo e col gelo
che tu hai avviato nel grigior del tuo cielo!
Sei un mese un po' triste!
Ma servi anche tu,
prepariam le provviste
e ridiamoci su!

Un giorno, a un luminare della medicina,

 
Un giorno, a un luminare della medicina, venne chiesto... quale fosse la più grave malattia del secolo. I presenti si aspettavano che dicesse il cancro o l’infarto. Grande fu lo stupore generale quando lo scienziato rispose: “L’indifferenza!” Tutti allora si guardarono negli occhi e ognuno si accorse di essere gravemente ammalato. Infine gli domandarono quale ne fosse la cura. E lo scienziato disse: “Accorgersene! “
(dal web)

Una vita fatta di sogni...



Non è stato un sogno
quando ho visto il tuo viso.
Quando i cuori si sono incontrati.
Ci siamo guardati ingenui come bambini
sorridendo ci dicevano tutto.
Ti penso e ti sogno, tuttora.
Insieme a te sfido il mondo.
Non ci sono ostacoli, ne difficoltà.
Siamo l'acqua l'uno per l'altra.
Sei il mio raggio di sole,
 io la stella che brilla di te.
Ma....la tristezza inesorabile
 mi dice:- sei solo tu
che sogni ancora!
Lo so! ma non smetterò di sognare,
non mi sento su questo mondo...
in effetti non lo sono, sto sognando.
L'amore  mi tiene viva
ed è chiuso nel mio cuore .
Grazie per avermi fatto innamorare.
Grazie per le belle emozioni.
Grazie perchè ogni mattina mi sveglio
e ho vissuto la notte con te.
Lucia.

Il cuore più bello del Mondo


C'era una volta un giovane in mezzo a una piazza gremita di persone: diceva di avere il cuore più bello del mondo, o quantomeno del suo paese. Tutti quanti glielo ammiravano: era davvero perfetto, senza alcun minimo difetto. Erano tutti concordi nell'ammettere che quello era proprio il cuore più bello che avessero mai visto in vita loro, e più lo dicevano, più il giovane s'insuperbiva e si vantava di quel suo cuore meraviglioso.
All'improvviso spuntò fuori dal nulla un vecchio, che emergendo dalla folla disse: "Beh, a dire il vero.. il tuo cuore è molto meno bello del mio."
Quando lo mostrò, aveva puntàti addosso gli occhi di tutti: della folla, e del ragazzo. Certo, quel cuore batteva forte, ma era ricoperto di cicatrici. C'erano zone dove dalle quali erano stati asportàti dei pezzi e rimpiazzàti con altri, ma non combaciavano bene - così il cuore risultava tutto rattoppato. Per giunta, era pieno di grossi buchi dove mancavano interi pezzi.
Così tutti quanti osservavano il vecchio, colmi di perplessità, domandandosi come potesse affermare che il suo cuore fosse bello. Il giovane guardò com'era ridotto quel vecchio e scoppiò a ridere:
"Starai scherzando!", disse.
"Confronta il tuo cuore col mio: il mio è perfetto, mentre il tuo è un rattoppo di ferite e lacrime." "Vero", ammise il vecchio."Il tuo ha un aspetto assolutamente perfetto, ma non farei mai a cambio col mio. Vedi, ciascuna ferita rappresenta una persona alla quale ho donato il mio amore: ho staccato un pezzo del mio cuore e gliel'ho dato, e spesso ne ho ricevuto in cambio un pezzo del loro cuore, a colmare il vuoto lasciato nel mio cuore. Ma, certo, ciò che dai non è mai esattamente uguale a ciò che ricevi –
e così ho qualche rattoppo, a cui sono affezionato, però: ciascuno mi ricorda l'amore che ho condiviso. Altre volte invece ho dato via pezzi del mio cuore a persone che non mi hanno corrisposto:questo ti spiega le voragini. Amare è rischioso, certo, ma per quanto dolorose siano queste voragini che rimangono aperte nel mio cuore, mi ricordano sempre l'amore che provo anche per queste persone.. e chissà? Forse un giorno ritorneranno, e magari colmeranno lo spazio che ho riservato per loro.
Comprendi, adesso, che cosa sia la VERA bellezza?"
Il giovane era rimasto senza parole, e lacrime copiose gli rigavano il volto. Prese un pezzo del proprio cuore, andò incontro al vecchio, e gliel'offrì con le mani che tremavano. Il vecchio lo accettò, lo mise nel suo cuore, poi prese un pezzo del suo vecchio cuore rattoppato e con esso colmò la ferita rimasta aperta nel cuore del giovane.
Ci entrava, ma non combaciava perfettamente. Il giovane guardò il suo cuore, che non era più "il cuore più bello del mondo", eppure lo trovava più meraviglioso che mai:
perché l'amore del vecchio ora scorreva dentro di lui.
 
da una favola antica

La barca a vela


 
Solca il mare
la barca
a vela,
come il vomere
la terra,
e la variopinta tela
gonfia
di vento,
si piega
ad ogni soffio
più violento
quasi volesse fuggire,
volare lontano,
come un solitario gabbiano.
 
Giuseppe Colli

Fraternità

 
Io non vorrei
udire mai
piangere nessuno,
perché ogni dolore
mi fa male
al cuore,
aperto
per consolare
ogni fratello triste.
Io vorrei
su tutte le bocche
scorgere il sorriso,
in tutte le pupille
la sincerità,
sentire
in tutti i cuori
la speranza
in ogni mano
la fraternità.
Io vorrei avere
ogni fratello amico,
compagno
nella gioia
e nel dolore
e amare
con lo stesso cuore
la vita,
dura, eppure così bella.
 
Giuseppe Colli

Giuseppe Colli




(Lu Monferrato, 29 novembre 1924Torino, 7 febbraio 2017)
è stato uno scrittore e poeta italiano.

Nel secondo dopoguerra fu uno dei più intraprendenti artefici della ricostruzione culturale torinese, partecipando alla fondazione di alcune associazioni, collaborando a vari giornali con articoli di argomento letterario, artistico, storico, e fondando (1952) il periodico letterario Il Solitario (a significare la solitudine creativa dello scrittore) che sotto la sua direzione si meritò la collaborazione e il plauso dei più importanti scrittori dell'epoca. Negli stessi anni esordì come poeta e scrittore con vari volumi di poesia e prosa. Contemporaneamente alla sua attività di scrittore diresse l'ufficio stampa della casa editrice S.E.I., della quale più tardi assunse l'incarico di redattore capo. Per tale editrice il Colli diresse alcune enciclopedie di cultura e un dizionario italiano e varie collane di narratori italiani per le scuole, Giuseppe Colli ha sinora pubblicato cinque raccolte di poesie e diciotto libri in prosa. La sua attività letteraria è ancor oggi impegnata a testimoniare la vitalità della sua vocazione di scrittore, che ha dato un importante contributo alla letteratura italiana, alla cultura e alla editoria regionale piemontese. Al Monferrato, sua indimenticata terra di origine, il Colli dedicò un libro storico-artistico e descrittivo che riscosse larghi consensi critici. Per tale volume, nel 1970, gli venne concesso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri un Premio della Cultura. Le sue opere di poesia comprendono: Il cielo dell'isola (edizioni Momenti, 1950); La voce muta (Ed. La cittadella, 1968); L'età breve (Ed. Rattero, 1950); Poesia a due voci (Società editrice internazionale, 1951); Ricerca d'approdo (Ed.Vallecchi, 1965). La sua nota Storia di Torino, nel 1981, gli meritò un secondo Premio della Cultura dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Ma tu stai alla mia porta



Ma se io, Signore,
tendo l'orecchio ed imparo a discernere
i segni dei tempi,
distintamente odo i segnali
della tua rassicurante presenza alla mia porta.
E quando ti apro e ti accolgo
come ospite gradito della mia casa
il tempo che passiamo insieme mi rinfranca.

Alla tua mensa divido con te
il pane della tenerezza e della forza,
il vino della letizia e del sacrificio,
la parola di sapienza e della promessa,
la preghiera del ringraziamento
e dell'abbandono nelle mani del Padre.

E ritorno alla fatica del vivere
con indistruttibile pace.
Il tempo che è passato con te
sia che mangiamo sia che beviamo
è sottratto alla morte.
Adesso,
anche se è lei a bussare,
io so che sarai tu ad entrare;
il tempo della morte è finito.
Abbiamo tutto il tempo che vogliamo
per esplorare danzando
le iridescenti tracce della Sapienza dei mondi.
E infiniti sguardi d'intesa
per assaporarne la Bellezza.
 
(Carlo Maria Martini)

La poesia


 
La poesia si fa in un letto come l'amore
Le sue lenzuola sfatte sono l'aurora delle cose
La poesia si fa nei boschi

Ha lo spazio che le occorre
Non questo ma quello che condizionano

L'occhio del nibbio
La rugiada sull'equiseto
Il ricordo di una bottiglia di Traminer appannata su un vassoio d'argento
Un'alta colonna di tormalina sul mare
E la strada dell'avventura mentale
Che sale a picco
Si ferma e subito s'ingarbuglia

Non è cosa da gridare dai tetti
È sconveniente lasciare la porta aperta
O chiamare dei testimoni

I banchi di pesci le siepi di cinciallegre
I binari all'entrata di una grande stazione
I riflessi delle due rive
I solchi del pane
Le bolle del ruscello
I giorni del calendario
L'iperico

L'atto d'amore e l'atto poetico
Sono incompatibili
Con la lettura del giornale ad alta voce

Il senso del raggio di sole
Il luccichio azzurro che rilega i colpi d'ascia del taglialegna
Il filo dell'aquilone a forma di cuore o di nassa
Il battito ritmico della coda dei castori
La diligenza del lampo
Il lancio di confetti dall'alto di vecchie scalininate
La valanga

La camera degli incantesimi
No signori non si tratta dell'ottava Camera
Né dei vapori della camerata la domenica sera

Le figure di danza eseguite in trasparenza sopra gli stagni
La delimitazione di un corpo di donna contro il muro al lancio dei coltelli
Le volute chiare del fumo
La curva della spugna delle Filippine
Le gemme del serpente corallo
Il varco dell'edera tra le rovine
Lei ha tutto il tempo davanti a sé

La stretta poetica come la stretta carnale
Finché dura
Impedisce le prospettive di miseria del mondo

André Breton

La Verità




“La Verità è la cosa più sincera, più divina di tutte; anzi la
divinità e la sincerità, bontà e bellezza delle cose è la
Verità; la quale né per violenza si toglie, né per antichità
si corrompe, né per occultazione si sminuisce né per
comunicazione si disperde; perché senso non la confonde,
tempo non l’arruga, luogo non l’asconde, notte non
l’interrompe, tenebra non la vela; anzi, con l’essere, più
e più risuscita e cresce. Senza difensori e protettore si
difende; e però ama la compagnia di pochi e sapienti,
odia la moltitudine, ma si dimostra a quelli che per se
stessa la cercano.”
Filippo Giordano Bruno (Nola, 1548 – Roma, 17 febbraio 1600)
Condannato al rogo dall'Inquisizione cattolica per eresia

il cielo......



Per quanto il cielo sia sereno, c'è sempre una nuvola. (Friuli)

Frutta l'aria, frutta la terra. (Abruzzo)

Cielo che luce, cattivo tempo adduce. (Abruzzo)

Cielo rosso dal mare, va, contadino, ad arare. Nubi arrossate dal sole, prepara legna, o pastore. (Sardegna)

Se cadesse il cielo si potrebbe cacciare con grande facilità (detto per indicare un'ipotesi assurda). (Toscana)

Il cielo vi scampi da buoni vicini, da bassa caduta, da marito ubriacone e da moglie gelosa. (Napoli e Campania)

29 novembre San Saturnino di Tolosa


Vescovo e martire
sec. III
Etimologia: Saturnino = di carattere malinconico, dal latino

Emblema: Bastone pastorale, Palma

Saturnino, vescovo di Tolosa, è uno dei santi più popolari in Francia e in Spagna, dov'è considerato protettore delle corride. La Passio Saturnini è oltretutto un documento molto importante per la conoscenza dell'antica Chiesa della Gallia. Secondo l'autore della Passio, che scrisse tra il 430 e il 450, Saturnino fissò la sua sede a Tolosa nel 250, sotto il consolato di Decio e Grato. In quell'epoca, riferisce l'autore, in Gallia esistevano poche comunità cristiane, composte di un esiguo numero di fedeli, mentre i templi pagani rigurgitavano di folle che sacrificavano agli dei. Saturnino, arrivato da poco a Tolosa, probabilmente dall'Africa (il nome è infatti africano) o dall'Oriente, come si legge sul Missale Gothicum, aveva già raccolto i primi frutti della sua predicazione, guadagnando alla fede in Cristo un buon numero di cittadini. Il santo vescovo, per raggiungere un piccolo oratorio di sua proprietà, passava tutte le mattine davanti al Campidoglio, cioè al principale tempio pagano, dedicato a Giove Capitolino, dove i sacerdoti pagani offrivano in sacrificio al dio pagano un toro per averne i responsi chiesti dai fedeli. A quanto pare la presenza di Saturnino rendeva muti gli dei e di ciò i sacerdoti incolparono il vescovo cristiano, la cui irriverenza avrebbe urtato la suscettibilità delle divinità pagane. Un giorno la folla circondò minacciosamente Saturnino e gli impose di sacrificare un toro sull'altare di Giove. Al rifiuto del vescovo di immolare l'animale, che poco dopo sarebbe stato lo strumento inconscio del suo martirio, e più ancora di fronte a quello che i pagani ritenevano un provocatorio oltraggio alla divinità, avendo affermato Saturnino di non aver paura dei fulmini di Giove, impotente perchè inesistente, gli inferociti astanti lo afferrarono e lo legarono al collo del toro, pungolando poi l'animale che fuggì infuriato giù per le scale del Campidoglio, trascinandosi dietro il vescovo. Saturnino, straziato nelle membra, morì poco dopo e il suo corpo venne abbandonato in mezzo alla strada, dove lo raccolsero due pietose donne, dandogli sepoltura "in una fossa molto profonda". Su questa tomba un secolo dopo S. Ilario costruì una cappella in legno, che andò presto distrutta e si perdette per qualche tempo lo stesso ricordo, finchè nel secolo VI il duca Leunebaldo, rinvenute le reliquie del martire, vi fece edificare sul luogo la chiesa dedicata a S. Saturnino, in francese Saint Sernin-du-Taur, che nel Trecento assunse l'attuale nome di Notre-Dame du Taur.

Autore:
Piero Bargellini

SATURNINO.


Saturnino è il diminutivo di Saturno, nome che si origina dal latino 'Saturnus', che vuol dire 'seminatore'. Infatti 'satus' significava 'seminare' e i romani consideravano Saturno il dio dell'agricoltura. L'onomastico può essere festeggiato il 6 marzo in onore di San Saturno, martire a Nicomedia.
Caratteristiche: si tratta di una persona un po' pigra, che ha tempi molto lunghi per fare qualsiasi cosa; cambia spesso umore ed opinione, ma non in amore.

Significato: colui che semina
Onomastico: 6 Marzo
Origine: Latina
Segno corrispondente: Toro
Numero fortunato: 5
Colore: Rosso
Pietra: Ametista
Metallo: Argento

Aforisma


giovedì 28 novembre 2019

La danza delle foglie


Autunno


buongiorno


Le sorelle Gabor.


Magda, Eva e Zsa Zsa Gabor
Nate in Ungheria durante il periodo della Prima Guerra Mondiale (Magda nel 1915, Zsa Zsa nel 1917 e Eva nel 1919) da papà Vilmos Gabor, maggiore nell'esercito ungherese e mamma Jolie Gabor, erede di un impero di gioielli, nel 1945, durante la Seconda Guerra Mondiale lasciano Budapest per emigrare negli Stati Uniti. E subito si fanno notare. Il fenomeno glamour delle tre ragazze Gabor e della loro onnipresente madre scoppia nei salotti dell’alta società e nelle colonne di gossip così all'improvviso, e con tale forza, che non può passare inosservato. Belle, sfacciate, intelligenti e amanti del lusso, le sorelle Gabor scompigliano le pagine dei rotocalchi americani degli Anni 30 e 40, sono riuscite a crearsi una carriera dal nulla, principalmente grazie alla loro indiscussa bellezza e al tam tam mediatico nato attorno alla loro vita privata piena di colpi di scena degni di una sceneggiatura di Hollywood. In soldoni, le sorelle Gabor sono state le prime a sfruttare il gossip a loro vantaggio e a farne un vero e proprio lavoro. amori-tradimenti-ripicche-scandali finiti in prima pagina (per ora i venti matrimoni complessivi delle Gabor Sisters rimangono inavvicinabili come il primato di un marito in comune). Le Gabor Sisters provano a sfondare a Hollywood, ma è chiaro a tutti che il loro talento più grande è essere semplicemente se stesse. Eva diventa protagonista della sit-com La fattoria dei giorni felici, partecipa a produzioni di successo come L’ultima volta che vidi Parigi (1954), interpretato da Elizabeth Taylor e Artisti e modelle (1955) con Dean Martin e Jerry Lewis e presta la voce ad alcuni dei più famosi personaggi della Disney, come Duchessa negli Aristogatti e Bianca in Bianca e Bernie. Zsa Zsa, invece, scoperta dal tenore Richard Tauber durante un viaggio a Vienna nel 1934 e ingaggiata come soubrette nella operetta, Der Singende Traum (The Singing Dream), nel 1936 vince Miss Ungheria. Arrivata a Hollywood, debutta nel 1952 in Moulin Rouge diretta da John Huston, e poi riesce, con alti e bassi a ottenere ruoli in film di rilievo diretti da Orson Welles, Huston e Minnelli (si parla di oltre 60 pellicole in 50 anni di carriera). Ma la vera "professione" di Magda, Zsa Zsa e Eva Gabor è stata quella di portare glamour e pepe alla vita mondana del periodo, grazie soprattutto ai loro numerosi matrimoni. Magda ha detto sì sei volte, ed Eva (solo) cinque. Per non farsi mancare nulla, le sorelle Gabor hanno avuto anche un marito in comune, l'attore britannico George Sanders sposato prima con Zsa Zsa e poi con Magda. In questo groviglio di venti matrimoni, un solo erede (Constance Francesca Hilton figlia di Zsa Zsa e Conrad Hilton, fondatore dell'omonima catena di hotel e nonno di Paris Hilton.

Osho


Amicizia


Al Medesimo


T’amo come colui che sol comprende
ogni fiamma gentil che m’arde il core
come quei che del vero ognor sia accende,
di cui riflette l’immenso fulgore.

T’amo come colui che tutto intende
l’arcano senso di un celeste ardore,
d’un ardor ch’è sublime e che mi rende
del fato e di me stessa alfin maggiore.

Oh! come è bello il riposar lo stanco
pensier dolente in una dolce imago,
quando la speme e l’avvenir vien manco.

Di vulgari diletti io non m’appago:
e a te pensando oblierei financo
l’arte dei carmi, ond’è il mio cor sì vago.


Laura Battista

Il mio ritratto


Neri ho gli occhi e vivaci; ampia la fronte,
pallido il viso, e la persona breve.
Sì l’amistà che l’ira in me son pronte
pari all’impulso che il mio cor riceve.
L’odio e l’amor, qual da inesausta fonte
sgorgano ancora dal mio petto: e neve
sarà un giorno sul crin; ma pur le impronte
del prisco incendio cancellar non deve.
Odio i vili, i malvagi, gli oppressori:
amo ogni cosa che sia grande e bella,
dal sole ai bimbi, dalle stelle ai fiori…
Ed ogni alma dolente è a me sorella,
che nel lungo sentier de miei dolori
sol questo appresi, a non fidar che in quella!
Laura Battista

Laura Battista


 

(Potenza, 23 novembre 1845Tricarico, 9 agosto 1884)
è stata una poetessa italiana.
Figlia di Raffaele Battista da Agrigento e di Caterina Atella da Matera.
Il padre fu un insegnante di lettere e segretario perpetuo della Società Economica di Basilicata e consigliere provinciale di Matera. Raffaele insegnò Latino e Greco presso il Real Collegio di Basilicata a Potenza dal quale fu espulso a causa del suo orientamento Liberale, poiché l'istituto fu affidato alla direzione dei Gesuiti. Egli poté riprendere a insegnare solo dopo l’Unità d’Italia e, quindi, dopo la scomparsa del regime borbonico. Nel 1871, in seguito al trasferimento della famiglia a Matera dovuto dalle persecuzioni di cui fu oggetto il padre in ragione delle sue posizioni politiche, divenne consigliere provinciale della Basilicata. Autore di studi e inchieste sullo stato dell'economia agraria della provincia, era un fine latinista e autore di traduzioni e fu il primo e, per molto tempo, l'unico maestro di Laura.Sua madre, Caterina, che era una donna colta e dai forti sentimenti liberali, morì nel 1859, quando lei aveva tredici anni. La madre poté svolgere perlopiù una funzione puramente affettiva, la cui privazione ispirò Laura nel dedicarle la lirica All'usignuolo. Laura aveva anche due fratelli, Camillo e Margherita, i quali studiarono latino, greco e letteratura italiana indirizzati dal padre. Con la scomparsa della madre, il padre investì le sue frustrazioni e ambizioni sulle qualità intellettuali di Laura, arrivando a pensare alla figlia solo in termini culturali ed intellettuali. L'ingombrante autorità del padre, tuttavia, la costrinse a trascorrere l'infanzia sui libri, lontana da ogni tipo di distrazione. Quest'inusuale e rigida educazione la portò ad un profondo isolamento. In nome della solitudine con la quale conviveva, Laura iniziò a rifugiarsi nella poesia. Infatti Laura, già da giovanissima, sapeva comporre complesse liriche. A quindici anni pubblica nell'antologia di autori lucani "Fior di Ginestra", stampata nel 1860 a Potenza, la sua poesia dedicata alla madre, intitolata "All'usignuolo".Tuttavia le sue spiccate doti poetiche non poterono essere espresse come ella desiderava perché la povertà socio-culturale della Basilicata e la sua stessa solitudine erano per lei un impedimento intellettuale. Ed è proprio in nome della sua esigenza ad esprimersi, in un paese che non lo permetteva, che ella divenne sensibile ai problemi politici, sociali e storici del tempo. Non rimase chiusa entro le personali problematiche esistenziali e letterarie, anzi, le problematiche di grande attualità ingombrarono per sempre il suo giovane animo. Dopo l'unità d'Italia e la liberazione dal dominio borbonico, nel 1861 Laura non aveva più necessità di nascondere la sua passione politica-nazionale e i suoi ideali patriottici e liberali. Laura scrisse molte poesie dedicate direttamente o indirizzate a Garibaldi,vero eroe di Laura Battista e del Popolo Italiano.Non ancora maggiorenne, Laura fu in grado di studiare da autodidatta grazie alla sua inclinazione a conoscere, che la spinse, insieme al suo innato interesse per l’attualità, a studiare diverse lingue straniere come l’Inglese, il Francese e il Tedesco. Così comincio anche a tradurre opere di Thomas Moore, Johann Wolfgang von Goethe, John Milton, George Gordon Byron e Maria Wagner. Tutti autori che a differenza sua non erano condannati a vivere incompresi in un luogo isolato. Ad un certo momento, le fu imposto di rallentare con gli studi per non compromettere ulteriormente la propria salute. Tuttavia, questa sua incessante necessità di apprendere la spinse, nel 1874, a prendere in considerazione il ramo dell’insegnamento. È così che nello stesso anno venne nominata maestra del Convitto Magistrale di Potenza. Vi rimase per pochi mesi, essendo stata costretta il 22 marzo 1875 a lasciare presto l'incarico, sia per ragioni di salute, sia perché nel 1870 aveva sposato il conte Luigi Lizzadri, appartenente ad una delle più antiche famiglie di Tricarico, figlio di Francesco Maria e Rosalba De Deo, originaria di Minervino Murge, e discendente del giovane martire dei moti napoletani del 1794, Emmanuele De Deo. Vivere a Tricarico la condannò ad una maggiore condizione di isolamento, nonostante il paese fosse tra i più grossi centri della regione dopo Potenza e Matera. Luigi Lizzardi non fu né un marito affettuoso e attento, né un buon padre ed era descritto da chi lo conobbe come ozioso signorotto dedito al gioco e alle donne. Non trovò amore, dunque Laura, nel suo matrimonio combinato, come testimoniano le non poche liriche scritte tra il 1759 e 1873 dedicate alla sua famiglia e a quella dei Lizzadri. Laura era sofferente nel fisico e nobile nei sentimenti e non riuscì a vivere tranquillamente la sua vita coniugale scossa dalle precarie condizioni economiche e dalla perdita di quattro dei suoi cinque figli. Soltanto il figlio Francesco Nicola Arnaldo sopravvisse, invece le altre quattro figlie femmine Rosalba, Raffaella, Margherita ed Ermenegilda morirono l’una dopo l’altra caricandola di altro dolore. Infatti molte furono le poesie scritte in memoria delle sue figlie. La morte delle quattro figlie rappresenta un decadimento psichico e fisico nella vita di Laura, consolata solo dal figlioletto e dalla poesia. Trascorse anni infelici, attendendo una gloria irraggiungibile, fino a quando non decise di dedicarsi nuovamente all'insegnamento. Nel 1879,Laura pubblicò la sua raccolta di 81 liriche,‘Canti’, presso la Tipografia Conti di Matera, dedicandola ai figli perduti. La lontananza da casa e il lavoro per lei impegnativo, accrebbero la sua spossatezza e non migliorarono le sue condizioni di salute. Ammalatasi, dovette ritirarsi dall'insegnamento e tornare rapidamente a Tricarico, dove si spense, qualche mese dopo, il 9 agosto 1884 nel palazzo di famiglia a trentotto anni. La sua tomba andò distrutta negli anni ottanta del Novecento.

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