domenica 31 maggio 2020

Quando i lillà fiorivano


Quando i lillà fiorivano, l'ultima volta, nel prato davanti alla casa,
E il grande astro nel cielo d'occidente calava presto la sera,
Io ero in lutto, e sempre lo sarò, ogni volta che torni primavera.
Primavera che sempre ritorni, sempre mi porterai questa triade,
I lillà perennemente in fiore, l'astro che tramonta ad occidente,
Ed il pensiero di colui che amo.
Oh possente astro d'occidente tramontato!
Oh notte piena d'ombre - notte cupa e lacrimosa!
Oh grande astro scomparso - nera-tenebra, che lo nascondi!
Oh mani crudeli che mi trattengono impotente - anima mia smarrita!
Oh nube gelida che mi circonda e paralizza la mia anima!
Nel recinto davanti ad una vecchia casa di campagna, presso la staccionata dipinta di bianco,
Cresce una pianta di lillà, alta, con le foglie a forma di cuore d'un verde intenso,
E molti grappoli di fiori, delicati, dal profumo acuto che amo,
Ogni foglia un miracolo - e là in quel prato davanti a quella casa,
Da quella pianta dai fiori dal colore delicato, con le foglie a forma di cuore d'un verde intenso,
Stacco un rametto fiorito.

Walt Whitman

Quando lessi il libro



Quando lessi il libro, la famosa biografia,
è questa (mi dissi) che l’autore chiama vita di un uomo.
Così qualcuno scriverà la mia vita, quando io sarò morto.
(Come se un altro potesse veramente conoscerne qualcosa,
se perfino io penso spesso che ne so poco o niente,
qualche cenno, qualche sparso debole inizio, segnali indiretti
che per mio uso esclusivo cerco qui di tracciare).
 Walt Whitman

Canto di me stesso

Che cos’è l’erba?
Mi chiese un bambino portandomene a piene mani;
come potevo rispondergli?
Non so meglio di lui che cosa sia.
Suppongo che sia lo stendardo della mia vocazione,
fatto col verde tessuto della speranza.
O forse è il fazzoletto del Signore,
un ricordo profumato lasciato cadere di proposito,
con la cifra del proprietario in un angolo
sicchè possiamo vederla e domandarci di chi può essere?
O forse l’erba stessa è un bambino,
il bimbo generato dalla vegetazione.
O un geroglifico uniforme che voglia dire,
crescendo tanto in ampi spazi che in strette fasce di terra,
fra bianchi e gente di colore, Canachi, Virginiani,
Membri del Congresso, gente comune,
io do loro la stessa cosa e li accolgo nello stesso modo.


Walt Whitman

Remo Germani


 
 
 nome d'arte di Remo Speroni
(Milano, 31 maggio 1938Vigevano, 18 ottobre 2010),
è stato un cantante italiano.
Impiegato in banca con l'hobby della musica, dopo aver ottenuto un contratto con la Jolly, ottiene il primo successo nel 1962 con Baci, successo replicato l'anno dopo da Non andare col tamburo; nello stesso anno registra il suo primo album. Nel 1963 interpreta la sigla della Canzonissima  con la canzone: se vinco 150.000.000 milioni. Ha partecipato al Festival di Sanremo dal 1964 al 1967 con Stasera no no no, Prima o poi, Così come viene e E allora dai. Nel 1965 ha partecipato al Cantagiro con la canzone Dammi la prova e nel film 008 Operazione Ritmo. Nel 1967 partecipa ad un disco per l'estate piazzandosi tra i 20 finalisti con Darsi un bacio. Tra gli altri suoi successi ci sono Non piangere per me e Il cielo con un dito. Nel 1968  incide Il trombone. Nello stesso anno partecipa ad Un disco per l'estate con Mi capisci con un bacio, ma non riesce più a replicare i successi degli anni passati. Nel 1970 insieme alla moglie incide, con la denominazione Remo & Josie una versione reggae di A groowy kind of love intitolata Ora che sei qui  e Non c'è più nessuno, ed anni dopo verrà rielaborata da Ivan Graziani e intitolata Agnese). Nel 1971 scrive ed incide in inglese: In this world we live in (canzone reinterpretata da 31 artisti stranieri nelle loro lingue nazionali). Nel corso della sua attivitànza ha partecipato anche ad alcune pellicole cinematografiche a musicarello. Remo Germani ha continuato per molti anni a fare tournée in Romania, Russia, Canada, Spagna, Francia, Ungheria ed Estremo Oriente. Dal 1969 al 1978, si è specializzato negli Stati Uniti come arrangiatore, studiando musica nelle accademie specifiche. Nel 1978 si trasferisce a Vigevano, dov'era nata la nonna materna, e fonda Radio Ducale City. Roberto Benigni, volendo rendergli omaggio, ha eseguito la canzone Baci durante la trasmissione Speciale per me - Meno siamo, meglio stiamo!, ideata e condotta da Renzo Arbore; intervistato poi in merito dallo showman foggiano, l'attore ha dichiarato: «Sono da molti anni un "germanista"». È scomparso nel 2010 all'età di 72 anni dopo lunga malattia

detto di oggi 31 maggio


Riflessione............


Pensiamoci...........


Spirito Santo........


eh sì!!!!!!


bimbe belle



MADONNINA

 
T'ho portaro un fiorellino
che trovai lungo il cammino:
lo raccosi sol per Te.
E' un fioretto appena aperto,
che ti piaccia, sono certo,
cosi umile com'è.
E ti prego, Madonnina,
per il babbo e la mammina,
per chi vive intorno a me." 
 
( Renzo Pezzani )

31 maggio 1884



I corn flakes, in italiano fiocchi di mais, sono stati inventati nel 1894 dai fratelli Kellogg, in Michigan, per riciclare del grano raffermo da servire ai pazienti della propria clinica.

Solennità delle Pentecoste


(celebrazione mobile)

La Pentecoste cade 50 giorni dopo la Pasqua;il suo nome deriva dalla parola greca pentecoste [heméra],che significa appunto cinquantesimo [giorno]. La tradizione di festeggiare il giorno di Pentecoste è antichissima:tra i primi popoli semiti era la "Festa della Mietitura" e "Festa dei primi frutti", si celebrava 50 giorni dopo l'antica pasqua semitica (che segnava il giorno dell'inizio della discesa dei pastori verso il piano), e determinava l'inizio della mietitura. Sugli altari venivano offerte al Signore le primizie per ringraziarLo del dono dei frutti della terra.Successivamente gli ebrei celebrarono in questo giorno la consegna delle Tavole della Legge a Mosè sul Monte Sinai. In quel giorno era d'obbligo, per chi poteva, il recarsi a Gerusalemme e per tutti era prescritta l'astensione da ogni attività e la celebrazione di sacrifici.Nella tradizione cristiana è la solenne commemorazione della discesa dello Spirito Santo sulla Madonna e sugli Apostoli raccolti nel cenacolo. Come predetto da Gesù, lo Spirito Santo, in forma di lingue di fuoco, scese su di loro trasformandoli da uomini semplici e ignoranti in abili e sapienti oratori. Si può far risalire a quel momento la nascita dell'attività apostolica della Chiesa.Si racconta che il giorno stesso, dopo la discesa dello Spirito Santo, con la sua predicazione San Pietro convertì più di tremila persone. Inizialmente la Pentecoste indicava il periodo di cinquanta giorni dopo la Pasqua, solo in epoca più tarda si trasformò nella celebrazione di un particolare giorno,il cinquantesimo dopo la Pasqua appunto. Dalla fine del IV° secolo la Pentecoste fu anche l'occasione per ricevere il battesimo per tutti coloro che ne erano stati impediti alla vigilia di Pasqua.
La Pentecoste, che è una delle feste più sacre della chiesa,viene anche detta "Pasqua delle Rose" a causa di dell'antica tradizione, in voga in Italia, di far scendere dalle volte delle chiese petali di rose sui fedeli, a rappresentazione della discesa dello Spirito Santo sugli apostoli. Tale tradizione è ancora praticata in pochissime località.
La Sacra Liturgia
Seguendo la Liturgia nello svolgimento del suo ciclo annuale, noi incontriamo la Festa di Pentecoste. Si sa che come cele-brazione liturgica è stata costituita negli ultimi decenni del IV secolo. Mentre nei secoli precedenti i cristiani celebravano durante i 50 giorni che iniziavano con la Pasqua, l’unico mi-stero della salvezza e della vita nuova acquisite e comunicate dal Cristo, lungo il secolo IV cominciarono a distinguere le feste della Resurrezione, della Ascensione, della Pentecoste.In origine dicevasi Pentecoste ( cinquantesimo giorno )tutto lo spazio da Pasqua a Pentecoste e questo uso linguistico era gia in auge presso i Giudei, giacchè negli Atti degli Apostoli troviamo l’espressione Dum complerentur dies Pentecostes.L’ultimo giorno dei cinquanta faceva spicco sugli altri come vero giorno festivo. Ben presto la Pentecoste divenne una festa importante quanto la Pasqua condividendo con questa il privilegio dell’amministrazione del Battesimo. La sua vigilia notturna non tardò a divenire quasi simile alla grande veglia pasquale:veniva celebrata come questa in S. Giovanni Laterano e seguiva lo stesso ordine nelle cerimonie. In alcune chiese fuori Roma, si aggiungeva anche la Benedizione e l’esposizione del cero con il canto dell´Exultet. Pian piano la solennità cominciò a protrarsi al lunedi e martedi seguenti e dopo S. Leone Magno (+461) abbracciò tutta la settimana, al pari della Ottava di Pasqua. Durante i secoli X e XI, la festa di Pentecoste veniva scelta per la consacrazione dei Re di Francia. La fine del secolo XI e il secolo XII sembrano aver conosciuto una rinnovata attenzione allo Spirito Santo.
Il Medioevo latino ci ha lasciato delle bellissime preghiere che ancora oggi si continuano a recitare: l’inno Veni creator, di Rabano Mauro, Abate di Fulda ( Germania) 780/856,la Sequenza Veni Sancte Spiritus, attribuita a Stefano Langton, Arcivescovo di Canterbury, dell’inizio XIII secolo.I testi della Messa di Pentecoste si ispirano alla fondazione della Chiesa attraverso gli Apostoli e la Madonna, e ancora nella liturgia odierna permane l’intenzione del fenomeno universale e perenne, di una Pentecoste che si rinnova nell’anima di ogni cristiano. Le parti della Messa ricordano in tutto il suo splendore il mistero dello Spirito Santo. Prima di patire, Gesù, aveva più volte annunziato la venuta dello Spirito Santo (Vangelo). Cinquanta giorni dopo la Pasqua, mentre gli Apostoli si trovano radunati nel Cenacolo in attesa di vedere la realizzazione della promessa del Maestro, improvvisamente venne dal cielo un rumore come di vento impetuoso e furono tutti ripieni dello Spirito Santo (Epistola Comunione). Accesi di fuoco divino (Orazione) e ricolmi dei sette doni (Sequenza), cominciarono essi pure a rinnovare la faccia della terra.
Fonte:arcidiocesi.palermo

Buona domenica


Aspetta un raggio di sole in mezzo ai fiori,
che il giorno riempiono,
braccia larghe per il domani.

sabato 30 maggio 2020

Un padre........


AUTUNNO




Eccomi nell’autunno della vita:
quando la morte corporale (antica,
se da sempre convive nel profondo
dei miei pensieri, e vigile misura
ogni sorriso) tenta le mie membra
-ora con tocchi lievi, o con presagi,
ora con più severi ammonimenti-
per il passo finale. Senza angoscia
attendilo: raccogliti in silenzio
di quando in quando, ma non disertare
la vita, ed ogni impegno che ti chiami
per nome, ancora, e dica: “Tocca a te”.
Guàrdati ancora intorno, senza invidia;
lascia negli altri un calmo desiderio
di te, per quando non sarai tra i vivi:
confidino, tranquilli, in altro incontro
fra voi, che sia perenne. Una mattina
di luce chiara, un’onda lieve, un’ala
tacita che si levi nell’azzurro
sono segni, richiami d’alto Eliso
incognito, velato ancora un poco:
ti lascino serena, trasparente
l’anima. Godi il canto degli uccelli.

Giovanni Campus

QUANDO NASCESTI


Quando nascesti, io piansi. Eri un immenso
avvenire, una sfida, una promessa
limpida, audace. Tu levavi un grido
di richiamo sul mare luminoso
dell’essere, un messaggio
ad una terra incognita, ad amici
ignoti, ma devoti a te, vivente
e sacro testimone del mistero.
Raccogliemmo quel grido, noi che al pari
di te, tutto ignoriamo: ci chinammo
intenti a decifrare il tuo messaggio,
noi che appena sappiamo navigare
lungo la costa, timorosi, ignari,
come te, dell’oceano. Non possiamo
discioglierti ogni nodo, allontanare
ogni rovescio della sorte. Il mondo
è un enigma. Ma tutto ti appartiene
di noi, per tuo rifugio e tuo conforto,
figlio, ricorda; e fa che non si spenga
mai l’ombra d’un sorriso sul tuo volto,
figlio per cui, quando nascesti, io piansi.
Naviga con coraggio: è l’ora tua,
la tua prova. Viviamo dentro un sogno
lacero, incomprensibile, sublime:
miraggi attraversiamo, dissolvenze
di selve e di deserti, soffocanti
metropoli, e prigioni,
e giardini verdissimi, improvvisi
incantesimi; e scherno di burrasche
senza riposo, e folla, e voci, e risa
infantili, e feroci
stragi dimenticate, arse rovine,
pari tutte ad altissimo silenzio.
Un infinito nulla
ci assedia; ma non perdere
fiducia, tu, continua la battaglia.
L’esito non è incerto: tu nascesti
già più forte del nulla. Se l’ascolti,
un’eco ti risorge
di nobiltà sepolta
dentro di te: non sei figlio del Caos,
ma generato in vincolo d’amore.
Nel profondo dell’anima ti giunga
sempre la nostra voce a consolare
ogni tua pena: guarda in alto, naviga
finché resti visibile una stella.
Morire è un altro nascere: è risveglio,
ma senza pianto, infine, ad altra luce.

Giovanni Campus

Giovanni Campus


 

(Cervia, 30 maggio 1930Roma, 24 gennaio 2019)
è stato un poeta e insegnante italiano
Cresciuto in Sardegna, dopo la laurea in lettere classiche all'Università di Cagliari iniziò a scrivere per il quotidiano La Nuova Sardegna, occupandosi in particolare di critica cinematografica. Si trasferì poi in Italia continentale per insegnare per decenni nei licei di varie città italiane, stabilendosi infine a Roma da metà degli anni sessanta. Scrisse per alcune riviste culturali dell'epoca, come le romane “Il Punto” e “Tempo Presente” (diretta da Nicola Chiaromonte), le milanesi “Studium” e “Cinema nuovo”, la siciliana “Galleria” e la sarda “Ichnusa”. Qui pubblicò anche le sue prime poesie, confluite poi in "Salmo notturno", la prima delle sue sei raccolte di versi, che uscì nel 1983 per Laterza, con prefazione di Giuseppe Petronio, ed entrò nella terna finale del Premio Viareggio. La raccolta successiva, “Mediterranee” nel 2004 vince il Premio Dessì. Seguiranno le raccolte “Quotidiane” (2007), “Poeti in assemblea” (2010), “Astronomica” (2013) e “Prologo” (2018), tutte per l’editrice sarda Edes. Alcune sue poesie sono entrate a far parte delle antologie scolastiche; altre sono state tradotte in inglese e pubblicate negli Stati Uniti Lascia inoltre un romanzo, ancora inedito, completato appena prima della morte.Le sue liriche affrontano temi universali, tra cui la morte, la fede, la storia. Di lui ha scritto tra gli altri il poeta Mario Luzi, lodando “la compattezza del suo alto-antico stile (…), da accogliere, per così dire, frontalmente. Non sarà comodo, ma credo che finiranno per farlo, tanta è la coerenza e la continuità del suo tono di voce

Rake Hans



conosciuta anche come Hilde Coppi
(Berlino, 30 maggio 1909Berlino, 5 agosto 1943),
è stata una antifascista tedesca, moglie di Hans Coppi,
appartenente col marito al gruppo di resistenza
Schulze-Boysen-Harnack, giustiziata dai nazisti.
Rake Hilde era impiegata amministrativa presso la Cassa di previdenza sociale dei dipendenti del Reich a Berlino, quando nel 1935 conobbe con Hans Coppi, un giovane militante comunista che poco tempo prima era stato rilasciato dal campo di concentramento dove era stato rinchiuso per attività antinazista. Hilde aveva tuttavia avuto contatti con membri del Partito Comunista di Germania già dal 1933. Attorno al 1940 si unì con Hans al gruppo di resistenza di Harro Schulze-Boysen e prese parte ad attività come l'affissione di manifesti e la distribuzione di volantini politici. Hans e Hilde si sposarono il 14 giugno 1941. Ricercati dalla Gestapo, entrarono subito in clandestinità. I due si offrirono di fornire informazioni per radio all'Unione Sovietica dopo l'invasione dell'URSS da parte della Germania nazista (giugno 1941). L'anno dopo i Coppi prestarono aiuto a un agente segreto sovietico che era stato paracadutato in Germania. I coniugi Coppi vennero arrestati dalla Gestapo il 12 settembre 1942. Hilde Coppi era allora incinta del figlio Hans, che nascerà il 27 novembre 1942 nel carcere femminile di Barnimstraße a Berlino-Friedrichshain, e diverrà un noto storico. Hans venne condannato a morte dalla corte marziale del Terzo Reich il 19 dicembre 1942 e la sentenza venne eseguita tre giorni dopo a Berlino; Hilde venne condannata a morte il 20 gennaio successivo e l'esecuzione, dopo che Hitler ebbe respinto la richiesta di grazia, venne ritardata fino ai primi di agosto per permettere l'allattamento al seno del bambino. Hilde venne pertanto ghigliottinata il 5 agosto 1943 .
  • Il liceo di Berlino-Karlshorst è intitolato a Hilde e Hans Coppi
  • Peter Weiss parla dei coniugi Coppi nel romanzo autobiografico "Ästhetik des Widerstands" (L'estetica della resistenza)
  • Un francobollo commemorativo per i coniugi Coppi emesso dalle Poste della DDR nel 1961

Perché si dice fare l’avvocato del diavolo?



In passato esisteva una figura, prevista nel diritto canonico, che metteva in discussione la santità di un candidato. Questa figura era l’avvocato del diavolo. Comunemente si usa dire che “fa l’avvocato del diavolo” (dal latino “advocatus diaboli”) colui che avanza qualsiasi obiezione possibile pur di demolire un progetto, un’affermazione o una tesi condivisa da altri.
Questo modo di dire, abbastanza diffuso, ha un’origine precisa. In passato esisteva la figura di un ecclesiastico che veniva chiamato “promotore della fede” (dal latino: promoter dei) che aveva un compito. Quello di intervenire nelle cause di canonizzazione della Chiesa per trovare ostacoli affinché il candidato venisse eletto come santo. L’obiettivo era quello di eliminare qualsiasi dubbio circa l’effettivo diritto del Santo eletto, ad essere effettivamente considerato come tale.
La figura dell’advocatus diaboli è stata istituita da Papa Sisto V nel 1587. Pare che servisse proprio ad evitare che la Chiesa eleggesse troppo facilmente nuovi Santi e beati. E’ stata poi eliminata nel 1983 da Papa Giovanni Paolo II, che ha relegato la funzione del “promoter dei” a semplice redattore della relazione finale della causa (la “positio”).
Non è un caso che, durante il suo Pontificato ed anche dopo, i numero dei Santi eletti dalla Chiesa cattolica siano notevolmente aumentati. Papa Giovanni Paolo II ha riorganizzato il processo delle cause per la canonizzazione di Santi e Beati, coinvolgendo maggiormente i vescovi nell’attività preliminare di indagine.
Per decidere chi è in grado di ricevere l’appellativo di “Santo” la Chiesa Cattolica si avvale delle regole stabilite dal diritto canonico. Per evitare abusi e compromessi, la Chiesa, dopo il Concilio di Trento del 1545, ha fissato norme ben precise su questo argomento. Andando oltre quello che è scritto nell’antico codice canonico.

Chi sa se ancora oggi la insegnano a scuola'''


Una persona intelligente...........


Detto del giorno


Storia dei nomi dei giorni della settimana?


I nomi dei giorni furono assegnati dai Babilonesi ed ereditati dai Romani.
Hanno origine dai nomi del Sole e dei pianeti perché gli astrologi dell’epoca pensavano che i corpi celesti “governassero” a turno la prima ora di ogni giorno. Così il lunedì era il giorno della Luna (latino: Lunae dies), martedì di Marte (Martis dies), mercoledì di Mercurio (Mercuri dies), giovedì di Giove (Iovis dies), venerdì di Venere (Veneris dies). Sabato era in origine il giorno di Saturno (Saturni dies) tanto che la denominazione si ritrova nell’inglese Saturday. Però, con il diffondersi in Occidente del cristianesimo, il termine ebraico “shabbat”, ovvero “giorno di riposo”, sostituì in molte lingue il nome pagano. Analogamente il nome domenica (in latino Dominica, ovvero giorno del Signore) fu introdotto da Costantino, convertito al cristianesimo, in sostituzione del più antico Solis dies, giorno del Sole, che resiste nell’inglese Sunday e nel tedesco Sonntag.

(Focus.it)

IL CONTADINO SAGGIO


C’era una volta, in un villaggio cinese, un vecchio contadino che viveva con suo figlio e un cavallo, che era la loro unica fonte di sostentamento. Un giorno, il cavallo scappò lasciando l’uomo senza possibilità di lavorare la terra. I suoi vicini accorsero da lui per mostrargli la loro solidarietà dicendosi dispiaciuti per l’accaduto. Lui li ringraziò per la visita, ma domandò loro: “Come fate a sapere se ciò che mi è successo è un bene o un male per me? Chi lo sa!”. I vicini, perplessi dall’atteggiamento del vecchio contadino, andarono via. Una settimana dopo, il cavallo ritornò alla stalla, accompagnato da una grande mandria di cavalli. Giunta la notizia agli abitanti del villaggio, questi tornarono a casa del contadino, congratulandosi con lui per la buona sorte. “Prima avevi solo un cavallo e ora ne hai molti, è una grande ricchezza. Che fortuna!”, dissero. “Grazie per la visita e per la vostra solidarietà”, rispose lui, ma come fate a sapere che questo è un bene o un male per me?”. I vicini, ancora una volta rimasero sconcertati dalla risposta del vecchio contadino e se ne andarono via. Qualche tempo dopo, il figlio del contadino, nel tentativo di addomesticare uno dei nuovi cavalli arrivati, cadde da cavallo rompendosi una gamba. I vicini premurosi tornarono a far visita al contadino dimostrandosi molto dispiaciuti per la disgrazia. L’uomo ringraziò per la visita e l’affetto di tutti e nuovamente domandò: “Come potete sapere se l’accaduto è una disgrazia per me? Aspettiamo e vediamo cosa succederà nel tempo.” Ancora una volta la frase del vecchio contadino lasciò tutti stupefatti e senza parole se ne andarono increduli. Trascorsero alcuni mesi e il Giappone dichiarò guerra alla Cina. Il governo inviò i propri emissari in tutto il paese alla ricerca di giovani in buona salute da inviare al fronte in battaglia. Arrivarono al villaggio e reclutarono tutti i giovani, eccetto il figlio del contadino che aveva la gamba rotta. Nessuno dei ragazzi ritornò vivo. Il figlio del contadino invece guarì e i cavalli furono venduti procurando una buona rendita. Il saggio contadino passò a visitare i suoi vicini per consolarli ed aiutarli, come loro si erano mostrati solidali con lui in ogni situazione. Ogni volta che qualcuno di loro si lamentava, il saggio contadino diceva: “Come sai se questo è un male?”. Se qualcuno si rallegrava troppo, gli domandava: “Come sai se questo è un bene?”
Gli uomini di quel villaggio capirono allora l’insegnamento del saggio contadino che li esortava a non esaltarsi e a non lasciarsi abbattere dagli eventi, accogliendo sempre ciò che è, consapevoli del fatto che, al di là del bene e del male, tutto potrebbe rivelarsi diverso da come appare. 

Racconto Cinese


30 maggio buona giornata



A chi alla fine cade e si rialza senza lamentarsi.
A chi non giudica perché ognuno è libero di vivere come gli pare.
A chi si sveglia con un sorriso sulle labbra e guarda la vita con tanto ottimismo.


venerdì 29 maggio 2020

[Per una ghirlandetta]


 
“Ballata per Fioretta"
Per una ghirlandetta
Ch'io vidi, mi farà
Sospirare ogni fiore.
I' vidi a voi, donna, portare
Ghirlandetta di fior gentile,
E sovr'a lei vidi volare
Un angiolel d'amore umile;
E 'n suo cantar sottile
Dicea: «Chi mi vedrà
lauderà 'l mio signore».
Se io sarò là dove sia
Fioretta mia bella a sentire,
Allor dirò la donna mia
Che port'in testa i miei sospire.
Ma per crescer disire
Mia donna verrà
Coronata da Amore.
Le parolette mie novelle,
Che di fiori fatto han ballata,
Per leggiadria ci hanno tolt'elle
Una vesta ch'altrui fu data:
Però siate pregata,
Qual uom la canterà,
Che li facciate onore.

D.Alighieri

Tanto gentil e tanto onesta pare


Tanto gentil e tanto onesta pare:
La donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestita,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracolar mostrare.
Mostrasi si piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ‘ntender no la può chi non la prova:
e par che de la sua labbra si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima:
"sospira"

Dante Alighieri

Un giorno venne da me Malinconia



Un giorno venne da me Malinconia
E disse: voglio stare un po’ conte
E mi parve ch’essa portasse con sé
Come compagni Dolore e Cordoglio
Ed io le dissi “ allontanati va via”
Ed essa mi rispose superbamente
E mentre discorreva con me molto comodamente
Guardai e vidi Amore che veniva
Stranamente vestito d’un drappo nero
E portava sul capo un cappello
E di sicuro piangeva davvero

Ed io gli dissi “ che hai infelice”
Ed egli rispose “ Io ho sventura e dolore,
perche’ la nostra donna
Beatrice muore

Dante

Dante Alighieri



Nato a Firenze  fra  il 21 maggio e il 21 giugno del 1265,
morì a 
Ravenna, dopo un esilio quadrilustre,
la notte fra il 13 e il 14 settembre  1321.

Figlio di
Alighiero di Bellincione e dalla sua prima moglie Bella (forse degli Abati ). Visse dunque 56 anni e 4 mesi; età non breve, di fronte alla quale la  sua multiforme operosità poetica, letteraria, civile, per ampiezza e profondità di  interessi, per i raggiunti vertici dell' arte, appare senz'altro prodigiosa, se si pensi  che per la maggior parte essa va sicuramente collocata negli anni fortunosi e travagliati dell'esilio, e se ne consideri la complessa ricchezza di  motivi ed esperienze diverse, retoriche, ortesi, etico-politiche, nutrite di accese speculazioni  dottrinali. Per non  parlare poi del capolavoro- quella  Commedìa saldamente maturata in una mirabile reductio ad unum di una vita sofferta e vissuta ch'è già di  per sé  stessa  espressione summatica e  ineguagliabile  della civiltà medievale, ma insieme per certi  aspetti partecipa di quel profondo rinnovamento culturale che col Petrarca e col Boccaccio
fonderà il nuovo Umanesimo, aprirà le  porte alla civiltà moderna.

Giorgio Labò


 
Giorgio Labò "Lamberto"
(Modena, 29 maggio 1919Roma, 7 marzo 1944)
è stato un partigiano italiano. Studente di architettura,
decorato della Medaglia d'oro al valor militare alla memoria
Nacque a Modena dall'architetto Mario Labò ed Enrica Morpurgo. Visse a Genova dove il padre lavorò come architetto. Si iscrisse alla facoltà di architettura presso il Politecnico di Milano ma dovette interrompere gli studi allo scoppio della Seconda guerra mondiale, per arruolarsi nel Genio minatori dove arrivò al grado di sergente. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 entrò a far parte della resistenza con il nome di battaglia di Lamberto, nei partigiani della zona di Poggio Mirteto. A novembre dello stesso anno entrò a far parte dei Gruppi di Azione Patriottica di Roma dove mise a frutto le conoscenze acquisite nel campo degli esplosivi. Partecipò a numerosi sabotaggi e con mezzi di fortuna allestì e gestì insieme a Gianfranco Mattei una santabarbara clandestina a Roma, dove per quattro mesi riuscirono a produrre ordigni esplosivi via via sempre più sofisticati. Il 1º febbraio 1944, tradito, venne catturato dalle SS tedesche, arrestato e tradotto nelle carceri di Via Tasso, per 18 giorni venne tenuto strettamente legato mani e piedi nella cella nr. 31. Nonostante la tortura, che gli portò gli arti alla cancrena, negli interrogatori che subì non rivelò mai nulla.
Il compagno di lotta e di prigionia Antonello Trombadori scriverà:
  « Il martirio della legatura mani e piedi durò diciotto giorni. Le mani strette dietro la schiena; una sull'altra; deve giacere bocconi per evitare che il peso del suo corpo ricada in modo insopportabile sulle mani tumefatte e gonfie per il nodo strettissimo della corda. Le mani sono diventate livide ed enormi per il gonfiore; il difetto di circolazione ha provocato anche sul suo volto gonfiori e rose di sangue. Attorno ai polsi un solco putrido... infezione, cancrena... »
 
 
Il 7 marzo 1944, impossibilitato a scrivere, dettò una lettera al cappellano in cui comunicò la sua morte al Prof. Giulio Carlo Argan, fu poi condotto a Forte Bravetta dove, trascinato a braccia per la sua condizione fisica, venne fucilato da un plotone della Polizia dell'Africa Italiana, senza aver subito alcun processo, insieme ad altri.
Gli fu conferita la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

Bei tempi..........


Una serena risata


il detto di oggi.....


29 maggio San Massimo di Verona




Vescovo
Etimologia: Massimo = grandissimo, dal latino
Emblema: Bastone pastorale
La storicità di Massimo vescovo di Verona è alquanto difficile da stabilire, probabilmente è esistito nel IV secolo. Esso è ricordato in un Martirologio della Chiesa veronese del secolo XVI e nel ‘Martirologio Romano’ al 29 maggio, chiamandolo prelato di esimia dottrina e di specchiata virtù. Ma il nome di Massimo vescovo, però non è nel ‘Velo di Classe’ del secolo VIII, autorevole e genuino elenco degli antichi vescovi veronesi. In favore della sua esistenza, sta l’antica memoria e il relativo culto, documentato anche dall’invocazione in due litanie veronesi dei secoli XI e XII. La coincidenza della celebrazione liturgica di san Massimo vescovo di Verona, il 29 maggio, con quella dell’omonimo vescovo di Emona (Cittanova d’Istria), che era presente al sinodo di Aquileia del 381, convinse gli studiosi veronesi a parlare di una traslazione di reliquie di Massimo, da Verona ad Emona. Anche in questa antica città la venerazione per s. Massimo, data dal 1146 e le su citate litanie veronesi, coincidono con il culto datogli ad Emona. Decenni prima dell’anno 1000, esisteva fuori dalle mura della città di Verona, una chiesa dedicata a s. Massimo vescovo, che fu distrutta durante le invasioni degli Ungari e poi ricostruita sotto il vescovo Milone nel 981. Questa chiesa, divenuta anche parrocchia nel 1459, fu poi demolita nel 1518 a causa dell’abbattimento di tutte le costruzioni vicine alla cinta muraria, distanti fino ad un miglio tutto intorno, cinta eretta dai veneziani, per motivi di difesa. Il nome di s. Massimo passò poi al borgo sorto ad ovest della basilica di S. Zeno e alla chiesa lì eretta.

Autore:
Antonio Borrelli

29 maggio Buongiorno


 
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