La triste storia d'amore di Tisbe e Piramo.
La mitologia ci racconta, in una delle sue leggende, di come avvenne
che i piccoli frutti chiari del gelso diventassero così scuri e succosi,
pieni di un liquido che macchia con estrema facilità. La cita anche
Dante nel XXVII canto del Purgatorio.
Piramo e Tisbe erano due innamorati che abitavano in due case adiacenti l’una all’altra. Come spesso avviene i genitori ostacolavano il loro amore e negavano l’autorizzazione alle nozze. I ragazzi potevano comunicare solo attraverso una breccia nel muro che divideva le due abitazioni: si parlavano e si mandavano baci ma non potevano nemmeno sfiorarsi. Una notte di inizio estate fuggirono e si diedero appuntamento fuori città sotto le fronde di un grande gelso tutto pieno di frutticini bianchi. Tisbe arrivò per prima e si sedette ad aspettare l’amato finchè non intravvide, al raggio della luna, arrivare di soppiatto una leonessa. Fuggì e si nascose in una grotta ma, nella fretta, lasciò cadere il velo. La leonessa cacciò una preda e, nell’allontanarsi dopo aver divorato il piccolo animale, sporcò con le zampe insanguinate il velo della fanciulla. Quando Piramo giunse all’appuntamento vide subito il velo e, immaginando che Tisbe fosse stata sbranata da qualche belva feroce, si sedette sotto il gelso e si pugnalò al cuore, facendo sprizzare il sangue in alto fino ai rami carichi di bacche del gelso. La ragazza, uscita dal nascondiglio, vide l’amato morente con il velo tra le mani e chiese all’albero di fare memoria in eterno del loro amore, conservando in segno di lutto il colore scuro delle bacche; poi prese anch’essa il coltello e si uccise.
Piramo e Tisbe erano due innamorati che abitavano in due case adiacenti l’una all’altra. Come spesso avviene i genitori ostacolavano il loro amore e negavano l’autorizzazione alle nozze. I ragazzi potevano comunicare solo attraverso una breccia nel muro che divideva le due abitazioni: si parlavano e si mandavano baci ma non potevano nemmeno sfiorarsi. Una notte di inizio estate fuggirono e si diedero appuntamento fuori città sotto le fronde di un grande gelso tutto pieno di frutticini bianchi. Tisbe arrivò per prima e si sedette ad aspettare l’amato finchè non intravvide, al raggio della luna, arrivare di soppiatto una leonessa. Fuggì e si nascose in una grotta ma, nella fretta, lasciò cadere il velo. La leonessa cacciò una preda e, nell’allontanarsi dopo aver divorato il piccolo animale, sporcò con le zampe insanguinate il velo della fanciulla. Quando Piramo giunse all’appuntamento vide subito il velo e, immaginando che Tisbe fosse stata sbranata da qualche belva feroce, si sedette sotto il gelso e si pugnalò al cuore, facendo sprizzare il sangue in alto fino ai rami carichi di bacche del gelso. La ragazza, uscita dal nascondiglio, vide l’amato morente con il velo tra le mani e chiese all’albero di fare memoria in eterno del loro amore, conservando in segno di lutto il colore scuro delle bacche; poi prese anch’essa il coltello e si uccise.
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