sabato 30 maggio 2020

Perché si dice fare l’avvocato del diavolo?



In passato esisteva una figura, prevista nel diritto canonico, che metteva in discussione la santità di un candidato. Questa figura era l’avvocato del diavolo. Comunemente si usa dire che “fa l’avvocato del diavolo” (dal latino “advocatus diaboli”) colui che avanza qualsiasi obiezione possibile pur di demolire un progetto, un’affermazione o una tesi condivisa da altri.
Questo modo di dire, abbastanza diffuso, ha un’origine precisa. In passato esisteva la figura di un ecclesiastico che veniva chiamato “promotore della fede” (dal latino: promoter dei) che aveva un compito. Quello di intervenire nelle cause di canonizzazione della Chiesa per trovare ostacoli affinché il candidato venisse eletto come santo. L’obiettivo era quello di eliminare qualsiasi dubbio circa l’effettivo diritto del Santo eletto, ad essere effettivamente considerato come tale.
La figura dell’advocatus diaboli è stata istituita da Papa Sisto V nel 1587. Pare che servisse proprio ad evitare che la Chiesa eleggesse troppo facilmente nuovi Santi e beati. E’ stata poi eliminata nel 1983 da Papa Giovanni Paolo II, che ha relegato la funzione del “promoter dei” a semplice redattore della relazione finale della causa (la “positio”).
Non è un caso che, durante il suo Pontificato ed anche dopo, i numero dei Santi eletti dalla Chiesa cattolica siano notevolmente aumentati. Papa Giovanni Paolo II ha riorganizzato il processo delle cause per la canonizzazione di Santi e Beati, coinvolgendo maggiormente i vescovi nell’attività preliminare di indagine.
Per decidere chi è in grado di ricevere l’appellativo di “Santo” la Chiesa Cattolica si avvale delle regole stabilite dal diritto canonico. Per evitare abusi e compromessi, la Chiesa, dopo il Concilio di Trento del 1545, ha fissato norme ben precise su questo argomento. Andando oltre quello che è scritto nell’antico codice canonico.

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