domenica 31 ottobre 2021

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Il POETA di Oggi Edmondo De Amicis 📖🖋

 

L’AMORE AL TRAMONTO.

 

Talor, sognando, mi raccolgo anch’io
Sopra la cima d’un ridente clivo,
In una villa tacita, e là vivo
Solo con te, le mie memorie e Dio.

In questo nido solitario e pio
Riposa il nostro cor del mondo schivo;
Tu governi la casa, io penso e scrivo,
Io sempre nel tuo core e tu nel mio.

Così trascorre sino all’ultim’ora
Il nostro dolce amore al mondo ascoso,
E il tramonto è più bello dell’aurora;

Tu chini il capo bianco e vacillante
Sul fido petto del tuo vecchio sposo,
Ed io palpito ancor come un amante.

 

E già, rapito nella mia ventura,
Mi fingo nel pensier te vocchierella
Coi capelli raccolti in bianche anella
E un mazzetto di chiavi alla cintura.

Io levo il capo da la mia lettura
Per ridirti che t’amo e che sei bella,
E tu sorridi e fuggi allegra e snella
Dicendo che son pazzo e che hai premura.

E la sera pei colli, a lenti passi,
Vecchierello galante, con la mazza
T’andrò dinanzi rimovendo i sassi;

E verrà un ottantenne e podagroso
Curato a desinar sulla terrazza,
E tu sarai beata, ed io geloso.

Edmondo De Amicis

🤣🤣🤣

Sei la solita fortunata, per la festa di questa notte di Halloween
non hai bisogno della maschera...vai benissimo così e puoi pure usare una scopa usata, che fortuna che hai!

 

Halloween festa stregata!

Halloween festa stregata!
Ci spaventa la nottata!
Tutti fuori a notte fonda
festeggiam con baraonda.

Streghe, maghi e fantasmini…
Dolci, frittelle, cioccolatini!
Che ricetta eccezionale!
Che nottata micidiale!

Tante maschere stregate;
tante facce spaventate;
tanti dolci nei pancini;
tante zucche in lumicini.

E’ una festa un po’ paurosa,
con fantasmi e streghe a iosa!
E con maghi e mostri a frotte
trascorriamo questa notte!

Jolanda Restano

 

 

La rosa..........


 

ottobre

 


Le cose che fanno la domenica

 

L’odore caldo del pane che si cuoce dentro il forno.
Il canto del gallo nel pollaio.
Il gorgheggio dei canarini alle finestre.
L’urto dei secchi contro il pozzo e il cigolìo della puleggia.
La biancheria distesa nel prato.
Il sole sulle soglie.
La tovaglia nuova nella tavola.
Gli specchi nelle camere.
I fiori nei bicchieri.
Il girovago che fa piangere la sua armonica.
Il grido dello spazzacamino.
L’elemosina.
La neve.
Il canale gelato.
Il suono delle campane.
Le donne vestite di nero.
Le comunicanti.
Il suono bianco e nero del pianoforte.
Le suore bianche bendate come ferite.
I preti neri.
I ricoverati grigi.
L’azzurro del cielo sereno.
Le passeggiate degli amanti.
Le passeggiate dei malati.
Lo stormire degli alberi.
I gatti bianchi contro i vetri.
Il prillare delle rosse ventarole.
Lo sbattere delle finestre e delle porte.
Le bucce d’oro degli aranci sul selciato.
I bambini che giuocano nei viali al cerchio.
Le fontane aperte nei giardini.
Gli aquiloni librati sulle case.
I soldati che fanno la manovra azzurra.
I cavalli che scalpitano sulle pietre.
Le fanciulle che vendono le viole.
Il pavone che apre la ruota sopra la scalèa rossa.
Le colombe che tubano sul tetto.
I mandorli fioriti nel convento.
Gli oleandri rosei nei vestibuli.
Le tendine bianche che si muovono al vento.

-- Corrado Govoni --


sabato 30 ottobre 2021

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Il POETA di Oggi Ezra Pound 📖🖋


Canti Pisani
Quello che veramente ami rimane,
il resto è scorie
Quello che veramente ami non ti sarà strappato
Quello che veramente ami è la tua vera eredità
Il mondo a chi appartiene, a me, a loro
o a nessuno?
Prima venne il visibile, quindi il palpabile
Elisio, sebbene fosse nelle dimore d'inferno,
Quello che veramente ami e' la tua vera eredita'
La formica e' un centauro nel suo mondo di draghi.
Strappa da te la vanità, non fu l'uomo
A creare il coraggio, o l'ordine, o la grazia,
Strappa da te la vanità, ti dico strappala
Impara dal mondo verde quale sia il tuo luogo
Nella misura dell'invenzione, o nella vera abilità dell'artefice,
Strappa da te la vanità,
Paquin strappala!
Il casco verde ha vinto la tua eleganza.
"Dominati, e gli altri ti sopporteranno"
Strappa da te la vanità
Sei un cane bastonato sotto la grandine,
Una pica rigonfia in uno spasimo di sole,
Metà nero metà bianco
Né distingui un'ala da una coda
Strappa da te la vanità
Come son meschini i tuoi rancori
Nutriti di falsità.
Strappa da te la vanità,
Avido di distruggere, avaro di carità,
Strappa da te la vanità,
Ti dico strappala.
Ma avere fatto in luogo di non avere fatto
questa non è vanità Avere, con discrezione, bussato
Perché un Blunt aprisse
Aver raccolto dal vento una tradizione viva
o da un bell'occhio antico la fiamma inviolata
Questa non è vanità.
Qui l'errore è in ciò che non si è fatto, nella diffidenza che fece esitare.
 
Ezra Pound

42 m 
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Fermati un attimo oggi.
Guarda tutto ciò che hai e apprezza il suo valore.
Hai una vita!
Hai occhi per vedere,
soldi da spendere,
un tetto sotto cui dormire
e tante altre cose che per il piacere di regalarle.
È facile e potente! Concedilo.
Rifletti e sentiti grato per tutto ciò che hai e, soprattutto, per la possibilità di poter sperimentare, vivere ed essere felice.
Ringrazia la vita per tutto ciò che ti dà continuamente
e incondizionatamente e lascia che questo dissipi tutte le nuvole che ti impediscono di essere felice e gioioso, qui e ora, indipendentemente da ciò che accade intorno a te.
Sii diligente oggi! Metti il ​​tuo mattone del giorno!
Fai qualcosa per gli altri, ogni giorno!
Non te lo dimenticare mai.
Sarà fonte di gioia!
Marco con Amor

 

30 ottobre Sant'Angelo d'Acri🙏

 


(Lucantonio Falcone)
Sacerdote cappuccino
Acri, Cosenza, 19 ottobre 1669 - 30 ottobre 1739

Era il 19 ottobre 1669 quando ad Acri, in provincia di Cosenza, nasceva Lucantonio Falcone. Poveri i suoi genitori, ma ricchi di virtù cristiane. Singolare, anzi forse unica, nella storia dei religiosi, fu la sua vocazione. A diciotto anni chiese ed ottenne di farsi frate cappuccino, ma oppresso da dubbi e incertezze per due volte lasciò il noviziato, depose l’abito religioso e ritornò a casa dove pensava di costruirsi una vita al pari degli altri. Pur circondato dall’affetto della tenerissima madre, il suo cuore restava inquieto, perché i disegni di Dio su di lui erano diversi. Rientrò in convento per la terza volta: misticamente moriva Lucantonio Falcone e nasceva frate Angelo d’Acri. A passi da gigante percorse tutte le tappe di vita religiosa che lo portarono al Sacerdozio, il 10 Aprile del 1700, nell’antica Cattedrale di Cassano allo Jonio. Sulle sue spalle montanare subito caddero pesanti responsabilità e delicati incarichi che assolse con impegno e successo: fu Superiore Provinciale dei Cappuccini e per il suo modo di governo venne chiamato «Angelo della pace». Il suo principale servizio alla Chiesa e all’Ordine Cappuccino, tuttavia, consistette nella predicazione sistematica, per quarant’anni. Era divenuto il missionario più ricercato ed ascoltato dell’Italia meridionale, tanto che si diceva che, quando predicava, «nelle case non ci restavanu mancu li gatti». La vita di padre Angelo d’Acri è stata una rappresentazione vivente di Gesù, non tanto esteriore, ma interiore. Le testimonianze giurate ricordano che recitava a memoria la Sacra Scrittura e che ne faceva sempre uso nell’evangelizzazione del popolo. Il 30 ottobre 1739, fisicamente sfinito dalle fatiche apostoliche, se ne volava al Cielo. Il 18 dicembre 1825, papa Leone XII proclamò Beato il Cappuccino di Acri. Il suo corpo, ricomposto, divenne oggetto di quotidiana venerazione nella Basilica a lui dedicata. Per la sua canonizzazione è stato riconosciuto un ulteriore miracolo: la guarigione di un giovane acrense, Salvatore Palumbo, rimasto vittima di un incidente nel marzo 2010, mentre guidava un quad. Condotto all’ospedale della Annunziata a Cosenza, versò presto in gravi condizioni: aveva perso il controllo del mezzo e si era scontrato con un palo della linea telefonica. I parenti di Salvatore, allora, chiesero ai Cappuccini di Acri una reliquia del Beato Angelo: il cordone del suo saio fu posto accanto ai macchinari che tenevano in vita il giovane, che il giorno dopo ridiede segnali di ripresa e fu solo bisognoso di riabilitazione. Il processo diocesano sul miracolo si svolse nel 2014 e fu convalidato il 20 marzo 2015. Il 23 marzo 2017, ricevendo in udienza il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui la guarigione di Salvatore poteva essere dichiarata inspiegabile, completa, duratura e ottenuta tramite l’intercessione di padre Angelo d’Acri. La sua canonizzazione, nel Concistoro del 20 aprile 2016, è stata fissata a domenica 15 ottobre 2017.


Autore: Carmelo Randello ed Emilia Flocchini

Al lavoro🍂🍄🍁


Caro ottobre, che porti alle tue soglie,
un lento mulinar di foglie gialle,
dimmi un po’, dove sono le farfalle?
Le uccidi forse tu, come le foglie?
Pure, ti voglio bene! Nel mio cuore
tu porti una dolcezza che consola.
Tu per la mano mi riporti a scuola,
e dici a me, come al seminatore:
“Comincia il tuo lavoro, lieto in volto;
a giugno, quando sarà d’oro il piano,
i libri ti daranno, come il grano,
piccolo amico, abbondante raccolto”.
(Zietta Liù)

 

venerdì 29 ottobre 2021

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Il POETA di Oggi Corrado Govoni 📖🖋

Dopo il temporale

La bufera è lontana.
Sull'aia allegri cantano i galletti
ancora, sul selciato, i tetti
grondano dell'acqua piovana.

Ma ora gioca rabbonito il vento
con i pioppi. Felice
d'essr salvo, benedice
benedice, il frumento.

Questa sera offrirà un banchetto
alle sue buone lucciole veglianti;
fra l'attenzione degli astanti
farà un brindisi l'usignolo.

E, senza distinzione
di parte, i grilli batterano le mani,
i papaveri veterani
piangeramnno dall'emozione.

Oh che gioia! Una banda di turchini
convolvoli strombetta,
davanti alla mia casetta
in un circol di fiori contadini.

Giocattoli degli angeli, leggeri
s'alzano i cervi volanti;
tintinnan per le vie, festanti.
i sonagli dei carrettieri.

Là dietro la bufera,
sventola l'arcobaleno;
sopra il villaggio, nel sereno,
si dondola la squilla della sera.

 

Corrado Govoni.

Mattino d'aututnno


 

29 ottobre Beata Chiara Luce Badano

 
Giovane laica focolarina
Sassello, Savona, 29 ottobre 1971 – 7 ottobre 1990
Visse a Sassello con il padre Ruggero, camionista, e la madre Maria Teresa, casalinga. Volitiva, tenace, altruista, di lineamenti fini, snella, grandi occhi limpidi, sorriso aperto, ama la neve e il mare, pratica molti sport. Ha un debole per le persone anziane che copre di attenzioni. A nove anni conosce i ‘Focolarini’ di Chiara Lubich ed entra a fare parte dei ‘Gen’. Dai suoi quaderni traspare la gioia e lo stupore nello scoprire la vita. Terminate le medie a Sassello si trasferisce a Savona dove frequenta il liceo classico. A sedici anni, durante una partita a tennis, avverte i primi lancinanti dolori ad una spalla: callo osseo la prima diagnosi, osteosarcoma dopo analisi più approfondite. Inutili interventi alla spina dorsale, chemioterapia, spasmi, paralisi alle gambe. Rifiuta la morfina che le toglierebbe lucidità. Si informa di tutto, non perde mai il suo abituale sorriso. Alcuni medici, non praticanti, si riavvicinano a Dio. La sua cameretta, in ospedale prima e a casa poi, diventa una piccola chiesa, luogo di incontro e di apostolato: "L’importante è fare la volontà di Dio...è stare al suo gioco...Un altro mondo mi attende...Mi sento avvolta in uno splendido disegno che, a poco a poco, mi si svela...Mi piaceva tanto andare in bicicletta e Dio mi ha tolto le gambe, ma mi ha dato le ali..." Chiara Lubich, che la seguirà da vicino, durante tutta la malattia, in un’affettuosa lettera le pone il soprannome di ‘Luce’. Negli ultimi giorni, Chiara non riesce quasi più a parlare, ma vuole prepararsi all’incontro con ‘lo Sposo’ e si sceglie l’abito bianco, molto semplice, con una fascia rosa. Spiega anche alla mamma come dovrà essere pettinata e con quali fiori dovrà essere addobbata la chiesa; suggerisce i canti e le letture della Messa. Vuole che il rito sia una festa. Le ultime sue parole: "Mamma sii felice, perché io lo sono. Ciao!". Muore all’alba del 7 ottobre 1990. Dichiarata “Venerabile” il 3 luglio 2008, è stata beatificata il 25 settembre 2010. La sua memoria liturgica è stata fissata al 29 ottobre, ricorrenza genetliaca.
 

Le Cose


 
Le monete, il bastone, il portachiavi,
la pronta serratura, i tardi appunti
che non potranno leggere i miei scarsi
giorni, le carte da gioco e la scacchiera,
un libro e tra le pagine appassita
la viola, monumento d’una sera
di certo inobliabile e obliata,
il rosso specchio a occidente in cui arde
illusoria un’aurora. Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
ci servono come taciti schiavi,
senza sguardo, stranamente segrete!
Dureranno piú in là del nostro oblio;
non sapran mai che ce ne siamo andati.
Jorge Luis Borges

 

Non........


 

Buona giornata


Cari Amici buona giornata
la settimana è quasi passata.
Che brilli il sole anche a novembre
e ci accompagni pure a dicembre.
Siam tutti matti ci facciamo la guerra
così si è stufata la povera terra.
Vogliamoci bene tutti quanti
siamo un popolo di poeti, navigatori e santi.

Lucia

giovedì 28 ottobre 2021

O Vergine

O Vergine, si fa tardi,
tutto si addormenta sulla terra,
è l’ora del riposo: non abbandonarmi!

Metti la tua mano sui miei occhi
come una buona madre.
Chiudili dolcemente alle cose di quaggiù
L’anima mia è stanca di affanni e di tristezze,
la fatica che mi attende è qui, a me vicina.

Metti la tua mano sulla mia fronte,
arresta il mio pensiero.
Dolce sarà il mio riposo,
se benedetto da te,
perché domani il tuo povero figlio
si desti più forte
e riprenda allegramente
il peso del nuovo giorno.

Metti la tua mano sul mio cuore.
Lui solo vegli sempre e ridica al suo Dio
un amore eterno. 
Amen

Canzon di Maggio



O fiorenti beltà siciliane,
lunghesse le radure
gaie ridenti come le campane
su le romite alture;

o turgidi papaveri carnosi,
fra l'oro del fromento
sbocciati come steli desiosi
e rosseggianti al vento ;

amate, poi che tutto si rinnova
ne la feconda luce;
amate: è maggio ne la veste nova
che la vita conduce.

Le chiome come faci intormentite
vibran possenti odori,
son di rose le carni rifiorite,
e li occhi ànno fulgori.

A me poeta che nel Tempo vissi
-eterno inebriamento-
sembra l'acceso palpitar di bissi
un sogno del ducento.

O la vegnente schiera giovenile
nel sole vespertino,
di porpora vestita in suo gentile
incedere divino !

O forosette, la mia giovinezza
è lirica pagana:
io canterò per voi l' acre dolcezza
de la passione umana.

Io son Diòniso, o mie fanciulle fulgide,
l'eletto del piacere :
voi proverete su le labra turgide
l'ardenza del godere.

Alla mia gioventù prodiga ardente
il sangue succhierete,
fin che ne l'ebre bocche avide e spente
non lenirà la sete.

O forosette, nel mio sangue è un dio
che rinnova la vita:
bevete, bevete il sangue mio
ne la coppa infinita.

Io non so chi mi sia : m' urge le vene
la possanza universa.
O tramonto di rose e di permene,
già l' anima nel Tutto s' è riversa.

G. Manzella Frontini.

NULLA

 



Ora l'autunno sfoglia le cime fiorite,

ora rivela i rami

scoperti intirizziti.

Cadono foglie e pampini

alla crudezza del vento,

come lodole stecchite.

L'Autunno caccia

grumi di nubi pigre

e fa scompigli:

il sole s'affaccia

e torna

tristezza e bonaccia.

Così t'avvolgi, cuore di nebbie,

ma le radici stanno rivolte al cielo:

- albero divelto è la vita

fuor dalla terra

onde beveva i giorni.

Novembre, incubo di ritorni,

desideri spietati,

impeti strozzati.

Novembre, fissità del tempo

giornate senza ore

fiume senza sponde

corrente senza bagliori: perplessità: nulla.

   Gesualdo Manzella Frontini

 

Gesualdo Manzella Frontini

 


(Catania, 28 ottobre 1885Catania, 2 settembre 1965)

è stato un poeta, giornalista e scrittore italiano
Figlio di Francesco Manzella (musicista) e di Giuseppina Frontini (sorella di Francesco Paolo Frontini).

Allievo di Luigi Capuana, laureatosi in lettere (1906) e diplomatosi in filologia (1908), insegnò nei licei classici di Prato, Luino, Cassino, Lucera e nei licei catanesi Cutelli e Spedalieri. Corrispettivo catanese di Federico De Maria, il nome di Manzella Frontini compare in tutte le riviste letterarie del catanese, del messinese e del palermitano dei primi anni del secolo, insieme con tutti i nomi più risonanti della cultura provinciale di quel tempo. Fu tra i maggiori rappresentanti del futurismo in Sicilia, nel 1907 indirizzò un manifesto, precorritore di quello marinettiano del 1909, «alla gioventù contemporanea e agli artisti giovani» definiti «la vita e il futuro, oltre ogni teoria per un fine di rinnovamento». Definito «fratello» dal Marinetti, nel 1911 compari in «Poesia», con tre liriche nella prima antologia dei «Poeti futuristi» curata da Marinetti nel 1912 e nell'«Antitradition» del 1913 di Apollinaire. Collaboratore della rivista di Marinetti Poesia e di vari periodici e quotidiani, diresse L'idea liberale (1914), I Libelli (1914/15), Le fonti (1918), Corriere africano (1930), Camene (1947).

 

L'UMANITà HA BISOGNO DI TE


Se la nota dicesse:
"Non è una nota che fa una musica ..."
Non ci sarebbero le sinfonie!
Se la parola dicesse:
"Non è una parola che può fare una pagina ..."
Non ci sarebbero i libri!
Se la pietra dicesse:
"Non è una pietra che può alzare un muro ..."
Non ci sarebbero le case!
Se la goccia d'acqua dicesse:
"Non è una goccia d'acqua che può fare il fiume ..."
Non ci sarebbe l'oceano!
Se il chicco di grano dicesse:
"Non è un chicco di grano che può seminare il campo ..."
Non ci sarebbe la messe!
Se l'uomo dicesse:
"Non è un gesto d'amore che può salvare l'umanità ... "
Non ci sarebbero mai né giustizia né pace,
né dignità né felicità nella terra degli uomini.
Come la sinfonia ha bisogno di ogni nota,
come il libro ha bisogno di ogni parola,
come la casa ha bisogno di ogni pietra,
come l'oceano ha bisogno di ogni goccia d'acqua,
come la messe ha bisogno di ogni chicco di grano,
L' Umanità intera ha bisogno di te, là,
dove sei, unico, e dunque insostituibile!
 
Michel Quoist

 

28 ott. San Simone e Giuda Apostoli

 

I secolo dopo Cristo
San SIMONE
Simone, da Luca soprannominato Zelota, forse perché aveva militato nel gruppo antiromano degli Zeloti, da Matteo e Marco è chiamato Cananeo .
San GIUDA TADDEO
Giuda è detto Taddeo  o Giuda di Giacomo. Nell’ultima cena rivolse a Gesù la domanda: «Signore come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». Gesù gli rispose che l’autentica manifestazione di Dio è riservata a chi lo ama e osserva la sua parola. Una lettera del Nuovo Testamento porta il suo nome.
La loro festa il 28 ottobre è ricordata dal calendario geronimiano (sec. VI). In questo stesso giorno si celebra a Roma fin dal sec. IX.
l primo era soprannominato Cananeo o Zelota, e l’altro, chiamato anche Taddeo, figlio di Giacomo.
Nei vangeli i loro nomi figurano agli ultimi posti degli elenchi degli apostoli e le notizie che ci vengono date su di loro sono molto scarse. Di Simone sappiamo che era nato a Cana ed era soprannominato lo zelota, forse perché aveva militato nel gruppo antiromano degli zeloti. Secondo la tradizione, subì un martirio particolarmente cruento. Il suo corpo fu fatto a pezzi con una sega. Per questo è raffigurato con questo attrezzo ed è patrono dei boscaioli e taglialegna.
L’evangelista Luca presenta l’altro apostolo come Giuda di Giacomo. I biblisti sono oggi divisi sul significato di questa precisazione. Alcuni traducono con fratello, altri con figlio di Giacomo. Matteo e Marco lo chiamano invece Taddeo, che non designa un personaggio diverso. È, invece, un soprannome che in aramaico significa magnanimo. Secondo san Giovanni, nell’ultima cena proprio Giuda Taddeo chiede a Gesù: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». Gesù non gli risponde direttamente, ma va al cuore della chiamata e della sequela apostolica: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». L’unica via per la quale Dio giunge all’uomo, anzi prende dimora presso di lui è l’amore. Non è un caso che la domanda venga da Giuda. Il suo cuore magnanimo aveva, probabilmente, intuito la risposta del Maestro. Come Simone, egli è venerato come martire, ma non conosciamo le circostanze della sua morte. Secondo gli Atti degli Apostoli, però, sappiamo che gli apostoli furono testimoni della resurrezione, e questa è la gloria maggiore dell’apostolo e di ogni discepolo di Gesù.
Martirologio Romano

Spesso

 

Spesso i gesti che contano arrivano troppo tardi,
spesso la parola in più torna indietro come boomerang,
troppo spesso ti accorgi quanto importante sia una persona
quando vedi solo la sua ombra,
troppo spesso si ama per non restare soli,
spesso dovremmo guardare oltre la realtà per cercarne un'altra,
spesso il silenzio di una persona è assordante come un tuono.
Claudio Cassani

La filastrocca del Vino



 

L'Abito nuovo......


 

mercoledì 27 ottobre 2021

Mi manchi, Signore,🙏

Mi manchi, Signore,🙏
eppure, so, quando mi allontano;
quando fuggo le tue strade per capriccio e per dispetto;
quando ti volto le spalle, in un impeto di altezzoso disprezzo,
so, che io manco a te, ancora di più.
Per questo, ad ogni ritorno,
mi aspetto di averti qui come uomo fedele,
come Dio paziente.
È questa distanza che ci unisce.
La tua assenza mi alimenta.
La tua presenza mi disseta.
Amen.🙏

Posso scrivere i versi più tristi stanotte.


Scrivere, per esempio. “La notte è stellata,
e tremano, azzurri, gli astri in lontananza”.

E il vento della notte gira nel cielo e canta.

Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Io l’ho amata e a volte anche lei mi amava.

In notti come questa l’ho tenuta tra le braccia.
L’ho baciata tante volte sotto il cielo infinito.

Lei mi ha amato e a volte anch’io l’amavo.
Come non amare i suoi grandi occhi fissi.

Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Pensare che non l’ho più. Sentire che l’ho persa.

Sentire la notte immensa, ancor più immensa senza di lei.
E il verso scende sull’anima come la rugiada sul prato.

Poco importa che il mio amore non abbia saputo fermarla.
La notte è stellata e lei non è con me.

Questo è tutto. Lontano, qualcuno canta. Lontano.
La mia anima non si rassegna d’averla persa.

Come per avvicinarla, il mio sguardo la cerca.
Il mio cuore la cerca, e lei non è con me.

La stessa notte che sbianca gli stessi alberi.
Noi, quelli d’allora, già non siamo gli stessi.

Io non l’amo più, è vero, ma quanto l’ho amata.
La mia voce cercava il vento per arrivare alle sue orecchie.

D’un altro. Sarà d’un altro. Come prima dei miei baci.
La sua voce, il suo corpo chiaro. I suoi occhi infiniti.
Ormai non l’amo più, è vero, ma forse l’amo ancora.
E’ così breve l’amore e così lungo l’oblio.

E siccome in notti come questa l’ho tenuta tra le braccia,
la mia anima non si rassegna d’averla persa.

Benché questo sia l’ultimo dolore che lei mi causa,
e questi gli ultimi versi che io le scrivo.

 Pablo Neruda.

 

Lettera d’amore

Non è facile dire il cambiamento che operasti.
Se adesso sono viva, allora ero morta
anche se, come una pietra, non me ne curavo
e me ne stavo dov’ero per abitudine.

Tu non ti limitasti a spingermi un po’ col piede, no-
e lasciare che rivolgessi il mio piccolo occhio nudo
di nuovo verso il cielo, senza speranza, è ovvio,
di comprendere l’azzurro, o le stelle.

Non fu questo. Diciamo che ho dormito: un serpente
mascherato da sasso nero tra i sassi neri
nel bianco iato dell’inverno
come i miei vicini, senza trarre alcun piacere
dai milioni di guance perfettamente cesellate
che si posavano a ogni istante per sciogliere
la mia guancia di basalto. Si mutavano in lacrime,
angeli piangenti su nature spente,
Ma non mi convincevano. Quelle lacrime gelavano.

Ogni testa morta aveva una visiera di ghiaccio.
E io continuavo a dormire come un dito ripiegato.
La prima cosa che vidi fu l’aria, aria trasparente,
e le gocce prigioniere che si levavano in rugiada
limpide come spiriti. Tutt’intorno giacevano molte
pietre stolide e inespressive,
Io guardavo e non capivo.

Con un brillio di scaglie di mica, mi svolsi
per riversarmi fuori come un liquido
tra le zampe d’uccello e gli steli delle piante
Non m’ingannai. Ti riconobbi all’istante.

Albero e pietra scintillavano, senz’ombra.
La mia breve lunghezza diventò lucente come vetro.
Cominciai a germogliare come un rametto di marzo:
un braccio e una gamba, un braccio, una gamba.
Da pietra a nuvola, e così salii in lato.
Ora assomiglio a una specie di dio
e fluttuo per l’aria nella mia veste d’anima
pura come una lastra di ghiaccio. E’ un dono.  

Sylvia Plath.


 

Papaveri a luglio

 

Piccoli papaveri, piccole fiamme d’inferno,
Non fate male?
Guizzate qua e là. Non vi posso toccare.
Metto le mani tra le fiamme. Ma non bruciano.
E mi estenua il guardarvi così guizzanti,
Rosso grinzoso e vivo, come la pelle di una bocca.
Una bocca da poco insanguinata.
Piccole maledette gonne!
Ci sono fumi che non posso toccare.
Dove sono le vostre schifose capsule oppiate?
Ah se potessi sanguinare, o dormire! –
Potesse la mia bocca sposarsi a una ferità così!
O a me in questa capsula di vetro filtrasse il vostro liquore,
Stordente e riposante. Ma senza, senza colore.

Sylvia Plath

Sylvia Plath

(Boston, 27 ottobre 1932Londra, 11 febbraio 1963)
è stata una poetessa e scrittrice statunitense.
Conosciuta per le sue poesie, scrisse il romanzo semi autobiografico La campana di vetro (The Bell Jar) sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas. La protagonista del libro, Esther Greenwood, è una brillante studentessa dello Smith College, che inizia a soffrire di disturbo depressivo durante un tirocinio presso un giornale di moda newyorkese. La trama ha un parallelo nella vita di Plath, che ha trascorso un periodo presso la rivista femminile Mademoiselle, successivamente al quale, in preda a un forte stato di depressione, tentò il suicidio.Assieme ad Anne Sexton, Plath è stata l'autrice che più ha contribuito allo sviluppo del genere della poesia confessionale, iniziato da Robert Lowell e William De Witt Snodgrass. Autrice anche di vari racconti e di un unico dramma teatrale a tre voci, per lunghi periodi della sua vita ha tenuto un diario, di cui sono state pubblicate le numerose parti sopravvissute. Parti del diario sono invece state distrutte dal marito, il Poeta Laureato inglese Ted Hughes, da cui ebbe due figli, Frieda Rebecca e Nicholas. Morì suicida all'età di trent'anni


martedì 26 ottobre 2021

SOGNO

 


 

Sogno un mondo dove regna la pace,
la fratellanza e l’amore.
Sogno un mondo che accolga realmente
la verità rivelata da nostro Signore
Sogno un mondo che guarda verso il cielo
con il cuore colmo di gratitudine.
Sogno un mondo dove chiunque bussa alla porta
sai che è un fratello.
Sogno un mondo che non si rivolge più ai santi per aiuto,
ma che sulla fronte di tutti vi sia scritto
il nome “Santo del Signore.”
Sogno un mondo dove i grandi gratificano i piccoli
e li aiutino a divenir grandi.
Sogno un mondo dove: rispetto, condivisione, nobiltà e amore,
sono scritte nelle tavole del cuore,
e si realizzi il messaggio Divino proclamato dai profeti
e da nostro Signore.
(Rosaria Schimmenti)

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