venerdì 30 giugno 2017

Canto d'Aprile

 
Canto d'Aprile

Canta una voce: - O genti dolorose
io vengo, io vengo! Aprite alle speranze
il core, aprite le rinchiuse stanze
alla giungente carica di rose.

Io vengo, io vengo! Ogni deserto ed ogni
rupe fiorisce; levate la testa
e sorridete; io vengo per la festa
meravigliosa, carica di sogni.

D’un più costante e luminoso Maggio
la promessa vi reco. O contristati
cuori, o negletti, o vinti, o disamati,
o vacillante umanità, coraggio! -   
 
Vittoria Aganoor Pompilj

Vittoria Aganoor Pompilj




Vittoria Aganoor Pompilj
(Padova, 26 maggio 1855Roma, 8 maggio 1910)
è stata una poetessa italiana.

Figlia di Edoardo Aganoor, conte di origini armene, e di Giuseppina Pacini, trascorse l'infanzia a Padova, spostandosi presto a Venezia con la sua famiglia. Andrea Maffei e Antonio Fogazzaro, tra gli altri, frequentavano la sua casa. Ebbe Giacomo Zanella come maestro per circa quindici anni: egli fu anche testimone dei suoi primi passi di poeta. Nonostante il trasferimento della sua famiglia a Venezia, Vittoria continuò a tornare a Padova e a vivere per lunghi periodi nella casa dei nonni per studiare con Zanella. Nel 1876 il suo maestro le fece pubblicare un saggio poetico che conteneva anche alcune liriche della sorella Elena Aganoor. Nello stesso anno, la sua famiglia si trasferì a Napoli. La conoscenza di Enrico Nencioni la fece approdare alla lettura di autori stranieri e l'aiutò a mettere a fuoco le sue qualità. Era particolarmente legata al padre, la cui morte mentre Vittoria era ancora giovane le lasciò per sempre un vuoto incolmabile. Dopo questo lutto, Vittoria si trasferì nuovamente a Venezia, nel 1890 circa. Mantenne per lunghi anni rapporti epistolari con i padri mechitaristi dell'Isola di San Lazzaro (o Isola degli Armeni, a Venezia) con cui suo padre, profondamente religioso, aveva stretto relazioni di amicizia. A questo periodo risale gran parte del suo carteggio epistolare, che testimonia della sua vivace attività intellettuale, insieme alle liriche pubblicate su varie riviste letterarie. Fu suo amico anche il poeta Domenico Gnoli, con il quale scambiò una fitta corrispondenza fin dal 1898, quando Vittoria gli inviò una propria lirica da pubblicare sulla rivista da lui diretta. Si incontrarono di persona a Venezia poco dopo, nell'agosto 1898, e la loro amicizia proseguì fino all'anno in cui Vittoria si sposò. Estremamente garbata e piacevole all'esterno, nascose sempre il suo carattere tormentato e depressivo, che trovava sfogo, invece, in alcune sue liriche in cui si parla di incomunicabilità, desiderio di morte e di potenza, desiderio di libertà dalle regole e costrizioni del vivere civile. Si occupò per lunghi anni della madre, cui era legata da un forte legame affettivo, e solo dopo la sua morte, nel 1899, cominciò a pensare ad un proprio percorso di vita autonomo. Precocissima nello scrivere, la sua natura perfezionista e ambiziosa la indusse a mostrare le sue poesie solo nella cerchia di conoscenti e amici, sollecitando il parere di insigni letterati dell'epoca, con i quali manteneva corrispondenza. Di tanto in tanto sue liriche erano pubblicate su riviste letterarie, riscuotendo ammirazione e dandole una fama di poetessa aristocratica e riservata cui Vittoria teneva molto. Pubblicò soltanto a quarantacinque anni il suo primo libro, Leggenda eterna (1900), su sollecitazione dei suoi amici. Considerata da Benedetto Croce una scrittrice spontanea e fresca (La letteratura della nuova Italia), fu per lunghi anni reputata tale dalla critica letteraria, fino agli anni '70, quando la sua opera venne rivalutata anche alla luce di un'edizione parziale delle sue lettere: Vittoria aveva sempre rifiutato l'immagine di poetessa immediata e spontanea e dichiarava di scrivere "di testa" e non con il cuore. Infatti, le sue liriche sono pienamente inserite nelle correnti letterarie del suo tempo, e mostrano richiami a Gabriele D'Annunzio, ai Crepuscolari, all'amato Giacomo Leopardi, e agli amici Nencioni e Domenico Gnoli. Nonostante tenesse molto alla propria fama di poetessa, l'ambizione primaria di Aganoor, come indicano sue lettere ad amici di famiglia, era quella di operare nella società sfruttando il ruolo di primo piano che le davano le sue origini prestigiose: sentì quindi la necessità di cercare un matrimonio che le desse l'opportunità di sfruttare al meglio le sue doti di intelligenza e capacità relazionali, che aveva sempre dimostrato nei salotti della sua cerchia di amici e conoscenti. Frequentò spesso la città di Cava de' Tirreni dove viveva la sorella Angelica a cui era molto legata. Nella città di Cava, ospite del barone Abenante in località Arco Campitello, compose una lirica dedicata proprio alla predetta campestre località cavese, dopo aver assistito alla tradizionale caccia dei colombi, che si svolge annualmente in loco e risalente all'epoca longobarda. Il 28 novembre 1901 sposò a Napoli il nobile deputato Guido Pompilj, cui la univa un fortissimo legame di affetto, nato anche dalla sua ammirazione per questo brillante uomo politico. Con lui si trasferì a Perugia. Gli impegni in società, legati alla sua vita perugina, sono intervallati da lunghi periodi a Magione nella villa di proprietà del marito a Monte del Lago. Del 1908 le Nuove liriche: pacate, descrittive, chiare e armoniose come le prime, ma senza la "tensione" di quelle, la "teatralità" dolorosa che le aveva contraddistinte nel loro esprimere incomunicabilità e rivolta. Ricoverata in clinica a Roma, per sottoporsi ad un'operazione legata probabilmente all'insorgenza di un cancro, morì improvvisamente nella notte, lasciando nello sconcerto tutti i suoi cari. Il dolore provocato dalla sua scomparsa portò il marito a togliersi la vita quel giorno stesso. Il gesto di Guido Pompilj conferì un'aura romantica al loro matrimonio e pose le poesie di Vittoria in ottica del tutto nuova, favorendone la divulgazione. Tuttora restano inedite molte delle lettere di Vittoria, e nel Convegno tenutosi a Padova per i 150 dalla sua nascita è stata manifestata la preoccupazione per l'attuale mancanza di un archivio che preservi i suoi scritti: alcuni potrebbero risultare già irrecuperabili, in particolare parte delle lettere e delle bozze di elaborazione delle sue liriche. Per quanto riguarda le sue opere, esiste un'edizione completa ma ormai molto datata, contenente tutta la sua produzione, comprese delle rime sparse. L'edizione contiene anche un'introduzione che parla per accenni della sua vita e delle sue poesie. In suo onore è stato istituito il Premio Vittoria Aganoor Pompilj.

Maggio

 
Maggio
 
Amico Maggio!Sei un mese saggio,
riempi i tuoi giorni
di rose, rondini e storni.

Nei campi il grano è già alto
 il grillo fà un salto,
il sole rispende
sui campi distende
il  caldo suo raggio
e ci dice...CORAGGIO!!!

Sono i mesi più belli
sentitevi fratelli
 amatevi tutti
sia belli, sia brutti,
sia bianchi, neri o rossi
abbracciatevi commossi.
E sempre nei vostri cuori
la pace vi dimori

Lucia

giovedì 29 giugno 2017

Fior di ginestra


Fior di ginestra
stamani ho aperto la finestra
a un cielo limpido e sereno
Fiore ,fiorin di grano.

Fior di sterlizia
è tanto bella e cara l'amicizia
che ve la canto a voce piena
Fior fior di verbena.

Fior di gaggia
nella vita ci vuol un po' di pazzia
e vi auguro un giorno bello parecchio
fior di radicchio.

Fiore di alloro
cantate e ridete tutti in coro
così saremo un popolo perfetto
fior di mughetto.

Lucia

mercoledì 28 giugno 2017

GLI OCCHIALI


GLI OCCHIALI
Avevo un giorno un pajo
d ’occhiali verdi; il mondo
vedevo verde e gajo,
e vivevo giocondo.

M ’abbatto a un messer tale
dall ’aria astratta e trista.
— «Verdi? — mi dice.
Ti sciuperai la vista.


Sú, prendi invece i miei
vedrai le cose al vero!» —
Li presi. Gli credei.
E vidi tutto nero.


Ristucco in poco d ’or
d ’un mondo cosi fatto,
buttai gli occhiali, e allora
non vidi nulla affatto.


L. Pirandello

L'amore guardò il tempo e rise


L'amore guardò il tempo e rise

 
E l’amore guardò il tempo e rise,
perché sapeva di non averne bisogno.
Finse di morire per un giorno,
e di rifiorire alla sera,
... senza leggi da rispettare.
Si addormentò in un angolo di cuore
... per un tempo che non esisteva.
Fuggì senza allontanarsi,
ritornò senza essere partito,
il tempo moriva e lui restava.

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello


Luigi Pirandello
(Agrigento, 28 giugno 1867Roma, 10 dicembre 1936)
fu un drammaturgo, scrittore e poeta italiano,
insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1934.
Figlio di Stefano e Caterina appartenenti a famiglie borghesi. Il padre, Stefano Pirandello, aveva partecipato tra il 1860 e il 1862 alle imprese garibaldine; aveva sposato nel 1863 Caterina, sorella di un suo commilitone, Rocco Ricci Gramitto. Il nonno paterno, era  un armatore e ricco uomo d'affari di Pra' quartiere di Genova. La famiglia viveva in una situazione agiata, grazie al commercio e all'estrazione dello zolfo. L'infanzia di Pirandello non fu sempre serena, caratterizzata  dalla difficoltà di comunicare con gli adulti e in specie con i suoi genitori. Fin da ragazzo soffriva d'insonnia e dormiva abitualmente solo tre ore per notte. Il giovane Luigi era molto devoto alla Chiesa Cattolica Dopo l'istruzione elementare impartitagli da maestri privati, andò a studiare in un istituto tecnico e poi al ginnasio. Qui si appassionò subito alla letteratura. A soli undici anni scrisse la sua prima opera, "Barbaro", andata perduta. Iniziò i suoi studi universitari a Palermo nel 1886, per recarsi in seguito a Roma, dove continuò i suoi studi di filologia romanza che poi dovette completare su  a Bonn(1889). A Bonn si laureò nel 1891. Il tipo di studi gli fu probabilmente di fondamentale aiuto nella stesura delle sue opere, dato il raro grado di purezza della lingua italiana utilizzata. Nel 1892 si trasferì a Roma. Nel 1894, a Girgenti, Pirandello sposò Maria Antonietta Portulano, figlia di un ricco socio del padre. Grazie alla dote della moglie, la coppia godeva di una situazione agiata, che le permise di trasferirsi a Roma. Nel 1895, a completare l'amore tra gli sposi, nacque il primo figlio: Stefano, a cui seguirono due anni dopo, Rosalia (1897) e nel 1899 Fausto. Il suo primo grande successo fu il romanzo Il fu Mattia Pascal. Il libro fu pubblicato nel 1904 tradotto in diverse lingue. Perché Pirandello arrivasse al successo si dovette aspettare il 1922, quando si dedicò totalmente al teatro.  Lumie di Sicilia e l' Epilogo, un atto unico scritto nel 1892 la rappresentazione fu il 9 dicembre del 1910  ebbe un discreto successo. La guerra fu un'esperienza dura; il figlio Stefano venne infatti imprigionato dagli austriaci, e, una volta rilasciato, ritornò in Italia gravemente malato e con i postumi di una ferita. Durante la guerra, inoltre, le condizioni psichiche della moglie si aggravarono al punto da rendere inevitabile il ricovero in manicomio (1919). Dopo la guerra, lo scrittore si immerse in un lavoro frenetico, dedicandosi soprattutto al teatro. Nel 1925 fondò la "Compagnia del teatro d'arte". Con questa compagnia cominciò a viaggiare per il mondo. Nel 1929 gli venne conferito il titolo di Accademico d'Italia. Nel giro di un decennio arrivò ad essere il drammaturgo di maggior fama nel mondo, come testimonia il premio Nobel per la letteratura ricevuto nel 1934. Nel 1936 si ammalò di polmonite. Aveva già subito due attacchi di cuore, non sopportò oltre. Per sua volontà il corpo fu cremato e le sue ceneri furono portate nella sua tenuta di contrada "Caos" e solo dopo un po' di anni furono incassate in una scultura monolitica.

28 Giugno Sant' Ireneo di Lione





Sant' Ireneo di Lione
Vescovo e martire

c. 130 - c. 202
Etimologia: Ireneo = pace, pacifico, dal greco
Emblema: Bastone pastorale, Palma


Ireneo, discepolo di san Policarpo e, attraverso di lui, dell'apostolo san Giovanni, è una figura di primaria importanza nella storia della Chiesa. Originario dell'Asia, nato con molta probabilità a Smirne, approdò in Gallia e nel 177 succedette nella sede episcopale di Lione al novantenne vescovo san Potino, morto in seguito alle percosse ricevute durante la persecuzione contro i cristiani. Pochi giorni prima delle sommosse anticristiane, Ireneo era stato inviato a Roma dal suo vescovo per chiarire alcune questioni dottrinali. Tornato a Lione, appena sedata la bufera, fu chiamato a succedere al vescovo martire, in una Chiesa decimata dei suoi preti e di gran parte dei suoi fedeli. Si trovò a governare come unico vescovo la Chiesa dell'intera Gallia. Lui, greco, imparò le lingue dei barbari per evangelizzare le popolazioni celtiche e germaniche. E dove non arrivò la sua voce giunse la parola scritta. Nei suoi cinque libri Contro le eresie traspare non solo il grande apologista, ma anche il buon pastore preoccupato di qualche pecorella allo sbando che cerca di condurre all'ovile.Succedendo al vescovo san Potino, si tramanda che come lui sia stato coronato da glorioso martirio. Molto disputò al riguardo della tradizione apostolica e pubblicò una celebre opera contro le eresie a difesa della fede cattolica.

Martirologio Romano

Fior di Germoglio


Immagine correlata
Fior di Germoglio
son nata per i baci e quelli voglio,
li voglio sul guance e sulla bocca
Fior d'albicocca.
Fiore di cardo
mandami una tua foto per ricordo
la riempirò di baci a più non posso
Fiore di bosso.

Fior di Tanaceto
il bacio che m'hai deto te l'ho reso
ma tanti tanti ancor da te ne voglio
Fior di Trifoglio.
Fior d'Aragosta
non mi mandare più i baci per posta
perchè pe' strada perdono sapore
Fior d'ogni fiore.

Lucia

martedì 27 giugno 2017

Amare una persona e’…..


 
Amare una persona e’…..

Averla senza possederla.
Dare il meglio di sé
senza pensare di ricevere.
Voler stare spesso con lei,
ma senza essere mossi dal bisogno
di alleviare la propria solitudine.
Temere di perderla,
ma senza essere gelosi.
Aver bisogno di lei,
ma senza dipendere.
Aiutarla, ma senza aspettarsi gratitudine.
Essere legati a lei,
pur essendo liberi.
Essere un tutt’uno con lei,
pur essendo se stessi.
Ma per riuscire in tutto ciò,
la cosa più importante da fare è…
accettarla così com’è,
senza pretendere che sia come si vorrebbe.

(O. Falworth)

VOLETE ESSERE FELICI?


Stavo bene nel mio guscio:
tutto calmo,tutto sereno,tutto prevedibile.
Stavo proprio bene nel mio guscio..........
Ma non VIVEVO!
 
VOLETE ESSERE FELICI?
Perdonate sinceramente
e pienamente un'amico/a,

un vicino di casa,
un parente;
un collega!
E' il Comportamento
PIU' FELICITEVOLE CHE ESISTA!
PROVATE!
O.Falworth

La vita


 
La vita è come il mare: o lo si guarda standosene a riva...
o lo si naviga godendo delle sue immense bellezze,
anche se così facendo
si rischia d'incappare in qualche burrasca.
Quando un fiore è veramente bello
non ha bisogno di sbracciarsi per attirare le api.
Saranno loro a notarlo ed aposarsi sui suoi petali.
 

Omar Falworth




Omar  Falworth è un “originale” maestro di  saggezza e di felicità.  In trent’anni ha aiutato migliaia di persone a raggiungere il benessere psicologico attraverso pubblicazioni,  corsi,   seminari  e  gruppi  di incontro.Da anni scrive libri di successo, conosciuti e acquistati scatola  chiusa, da oltre duecentomila persone.Attraverso  un  rivoluzionario  modo  di  scrivere libri (che lui chiama nonlibri), fain modo che  nel  lettore  avvengano  immediatamente  dei  cambiamenti  positivi. I suoi nonlibri  sono  ormai un tesoro prezioso per  moltissime  persone che hanno migliorato la loro vita e ottenuto la felicità.

Tra i best seller più noti,
L’arte di Vivere Bene con gli Altri,
Pensieri per vivere meglio,

Conoscersi Accettarsi Migliorarsi

Falworth è uno scrittore particolare che, per  non   influenzare  i lettori   durante l'avventura  di  leggere  il suo pensiero, evita di dare informazioni su di sè.

L'amore a modo mio


L'amore a modo mio...

L'amore è una passione,
che senza non vivi....vegeti
lasciandoti trasportare
alla deriva senza resistenza.
Non sciuparle l'amore,
dimentica il cervello
e segui  il cuore
lui sa la direzione.
L'amore più bello
è quello che risveglia l'anima,
che ci fa desiderare
di arrivare alle nuvole.
E' quello che incendia
il nostro cuore
e che porta felicità
nella nostra mente.
L'amore
non può essere descritto
come un cielo,come un mare
o un altro qualsiasi mistero.
L'occhio col quale lo vediamo
è una luce all'interno del cuore.
Il cuore sa sperare anche quando
la persona amata ti abbandona.
Anche quando tu non vuoi soffrire,
non sei più tu che comandi.
Quando sei innamorata
comanda solo il cuore!
Un bacio accende la vita
come un  lampo luminoso,
un abbraccio è calore
che riscalda il tuo cuore.
Il tuo sguardo, il mio sguardo,
come un eco  ripetono...
Amiamoci  al di là di tutto,
E' peccato non viverlo........
Lucia

lunedì 26 giugno 2017

Un cerchio di gioia.



Un giorno, non molto tempo fa, un contadino si presentò alla porta di un convento e bussò energicamente. Quando il frate portinaio aprì la porta di quercia, il contadino gli mostrò, sorridendo, un magnifico grappolo d'uva.
"Frate Portinaio", disse il contadino, "sai a chi voglio regalare questo grappolo d'uva che è il più bello della mia vigna?".
"Forse all'abate o a qualche padre del convento".
"No, a te!".
"A me?". Il frate portinaio arrossì tutto per la gioia. "Lo vuoi dare proprio a me?".
"Certo, perchè mi hai sempre trattato con amicizia e mi hai aiutato quando te lo chiedevo. Voglio che questo grappolo d'uva ti dia un po' di gioia". La gioia semplice e schietta che vedeva sul volto del frate portinaio illuminava anche lui.
Il frate portinaio mise il grappolo d'uva bene in vista e lo rimirò per tutta la mattina. Era veramente un grappolo stupendo. Ad un certo punto gli venne un'idea: "Perchè non porto questo grappolo all'abate per dare un po' di gioia anche a lui?".
Prese il grappolo e lo portò all'abate.
L'abate ne fu sinceramente felice. Ma si ricordò che c'era nel convento un vecchio frate ammalato e pensò: "Porterò a lui il grappolo, così si solleverà un poco". Così il grappolo d'uva emigrò di nuovo. Ma non rimase a lungo nella cella del frate ammalato. Costui pensò, infatti che il grappolo avrebbe fatto la gioia del frate cuoco, che passava le giornate a sudare sui fornelli, e glielo mandò. Ma il frate cuoco lo diede al frate sacrestano (per dare un po' di gioia anche a lui), questi lo portò al frate più giovane del convento, che lo portò ad un altro, che pensò bene di darlo ad un altro. Finchè, di frate in frate, il grappolo d'uva tornò al frate portinaio (per portargli un po' di gioia).
Così fu chiuso il cerchio. Un cerchio di gioia.


Autore: Bruno Ferrero

Il sogno .......



Il sogno è tutto quello che vorresti di buono oltre alla realtà che disegni tu. Il sogno è quando ti brillano gli occhi al solo pensiero che le tue idee possano superare i confini della vita e diventare verità. Il sogno è cuore, è vita. Il sogno è la base di oggi per un castello che vuoi costruire domani. Il sogno è grande o piccolo: l'importante è che sia tuo. Il sogno è lacrima, quando sai che è impossibile; ma il sogno è credere all'impossibile. Il sogno è tenersi per mano e crearsi il proprio mondo. Il sogno è lasciare le mani e capire di essere vicini. Il sogno è guardare oltre le stelle e vedere tutti quelli che sognano. Il sogno è crederci sempre. È chiudere gli occhi e immaginare accanto a sé un angelo, le sue mani, una sua carezza. Il sogno è forza d'animo per aver creduto davvero alla magia. Io l'ho capito stasera, guardando tutti i miei sogni, là. Per me e per il mondo. Per tutti quelli tristi che non sorridono più. Per tutti quelli a cui manca l'amore. Per quelli che hanno il coraggio di alzare le braccia e di arrendersi. Perché solo loro avranno vinto per sempre... sognando.
Erika Moon

Gugù




Gugù


 

Augusta Rasponi Del Sale

detta Gugù
Ravenna 1864 - 1942

Augusta Rasponi del Sale nasce a Ravenna da famiglia nobile. Porta un nome importante e due cognomi ancora più importanti. Si dice che entrambe le famiglie, del Sale e Rasponi, siano giunte in Italia al seguito di Carlo Magno. Il padre, conte Lucio, è uomo estroso e stravagante, ma di solidi principi. Partecipa al fianco di Garibaldi nel 1849, col grado di capitano, alla difesa della Repubblica Romana, ed è forte sostenitore dell’unità nazionale. La madre è Amelia Campana, bella e delicata signora proveniente da una conosciuta famiglia bolognese. La contessina Augusta nasce quindi ricca e nobile. Riceve un’educazione molto avanzata. Impara perfettamente il francese e l’inglese tanto da diventare ottima traduttrice; possiede inoltre un innato senso artistico. Carta, penna e pennelli saranno strumenti importanti per tutta la sua vita. Il suo nome è Augusta, ma tutti la chiamano Gugù; probabilmente questo buffo nome è quello che lei stessa si è data coi suoi primi balbettii. Da ragazzina vive per qualche tempo a Roma, dove viene anche presentata a corte. Gugù è schiva, per nulla affascinata da quel mondo col quale sente di non avere niente in comune. Il giorno di questo importante incontro, accompagnata dalla contessa Pasolini, una sua cara amica, si presenta con la stringa di una scarpa slacciata, con movimenti impacciati, e quando la regina Margherita le rivolge un saluto di rito, rimane senza parole. All’uscita, l’amica, sconcertata, le dice: «Sei proprio un’oca!». Quell’appellativo, datole in un impeto di rabbia, rimarrà per sempre legato alla sua vita. L’oca diventa un personaggio di tanti suoi disegni. Questo animaletto, simbolo di scarsa intelligenza, diventa, sotto i suoi sottili pennelli, un personaggio amoroso, protettivo, sempre circondato da bambini. Gugù, fin dai tempi della sua fanciullezza, dimostra infatti un grande trasporto verso l’infanzia, soprattutto quella bisognosa. Non si sposerà mai e non avrà bambini suoi. Inizialmente, come tante signore di buona famiglia, si dedica a quello che oggi chiameremmo “volontariato”, ma col tempo la sua diventa una dedizione totale, che l’assorbe completamente, facendo fronte alle necessità dei suoi assistiti col suo tempo, i suoi mezzi e il suo patrimonio. Quando muore, non possiede più nulla. Di tutto il denaro e dei palazzi di famiglia rimane una sola stanza, piena di disordine, ma anche di carte e pennelli. Come artista debutta nel 1898 con un calendario dove i protagonisti sono i bambini. È nota la sua collaborazione col «Giornalino della Domenica», col «Corriere dei Piccoli» e l’Italia. È delizioso il libro “Tur-Lu-Ri”, pubblicato in Francia, che racconta una storia di bambini ambientata durante il Rinascimento, col quale, oltre al tocco fresco e accattivante, dimostra un’ottima conoscenza della storia dell’arte. Con la stessa casa editrice pubblicherà Muguet. A Londra, nel 1900, uscirà il suo Mother Duck’s Children. È proprio in questa città, presso il Vittoria and Albert Museum, che sono esposti molti dei suoi disegni. Né la fama, né le critiche lusinghiere la convincono a trasformare il suo talento in un vero e proprio lavoro. Per lei rimane un passatempo e disegna i suoi piccoli gioielli soprattutto per gli amici, per biglietti d’auguri e per divertire i bimbi ricoverati presso l’istituto di S. Teresa del Bambin Gesù. I suoi pennelli sono anche strumenti per educare le mamme a una sana puericultura. Disegna bambini mentre fanno salutari bagnetti caldi, neonati vestiti di pannolini morbidi e puliti e non avvolti in strette fasce. E ancora bambini all’aria e al sole, sui prati e sulle spiagge. Scrive anche importanti statistiche sulla mortalità infantile. Per tutto ciò che è e che fa, nel 1938 le viene assegnato il premio Notte di Natale, istituito da Motta di Milano. A un conoscente che si congratula con lei – che ancora non sa nulla – chiede se le regaleranno un panettone. Il signore sconcertato la informa che è un premio di ben 5mila lire, che le viene essere assegnato per la sua bontà. A questa parola, quasi scandalizzata, esclama: «Ma se litigo sempre con tutti!». Il che corrisponde a verità, poiché quando chiede per i suoi bambini assistenza, medicine, ricoveri o visite specialistiche diventa una “mamma oca” con le penne arruffate, il becco aperto, il collo allungato e le ali starnazzanti. Invece i suoi bambini disegnati saranno sempre sorridenti e gioiosi. Sono bambini sognanti, come lei vorrebbe che tutti i bambini fossero.

Il desiderio più bello

 
Il desiderio più bello
sarebbe per me ...quello
che esistesse quell'entità
potente e con la facoltà
di leggere nei nostri animi
di constatare l'intensità, la sincerità
e la ..voglia che abbiamo dentro
perchè  si avverino i nostri desideri..
e se .....
tutti accontentare non potrà
......a quelli più seri...
 dia la giusta priorità....

 Lucia

domenica 25 giugno 2017

La Farfalla


La donna del sale


La donna del sale
Dosare il sale, dare il giusto sapore a ogni cibo: questa è la sapienza antica della donna del sale.
Una sapienza che si tramanda di generazione in generazione, che si apprende con l'esercizio attento dei propri sensi: non c'è libro che possa spiegare cosa vuol dire "sale quanto basta", , un'espressione  che intende solo chi ha rubato con gli occhi e con il palato i gesti di madri e nonne. Il sale  è insieme indice di sapere  e di misura. La donna  che lo sa usare è quella che ha l'equilibrio nel proporre  i suoi menù, che sa  armonizzare tra  loro primi e secondi piatti. e, soprattutto, sa far apprezzare i piatti che prepara, semplici o elaborati che siano. Il sale  ha la semplice facilità delle cose essenziali: si produce naturalmente con un po' d'acqua di mare e tanto sole, ma è un  bene prezioso ineguagliabile per chi non lo possiede, non a caso le antiche "vie del sale" attraversavano distese sconfinate per consegnarlo  a popolazioni che ne erano prive.

Il sale "un po' di storia"


Il sale è un minerale diffusissimo su tutto il pianeta, e la maggior parte dei tessuti o dei liquidi appartenenti agli esseri viventi contiene una qualche quantità di questa sostanza. L’uomo per il timore di dover soffrire la fame ha sempre cercato di conservare i cibi il più a lungo possibile, per questo molti degli alimenti facilmente deperibili, formaggio, carne, pesce e verdure, venivano cosparsi di questa sostanza. Importanti indicazioni sull'utilizzo del sale si hanno già nelle prime civiltà stabili: sumerica, egiziana, cinese (3000 a.C.), ittita ed ebrea (2000 a.C.). La storia dei popoli mediterranei si identifica con la storia del sale, elemento ritenuto più prezioso dell'oro. Le "vie del sale" tracciate dal mare verso i territori interni costituivano le grandi strade commerciali dell'antichità. Per passare sulla “strada del sale” si doveva pagare una tassa e lo Stato esigeva un obolo che veniva calcolato sul valore della merce in transito.
I Romani utilizzavano questa sostanza nelle offerte votive fatte agli dei, la assumevano come farmaco oltre ad impiegarlo nell’arte della salagione. L'importanza del sale presso i Latini, chiamato "sal", è anche testimoniata da alcuni termini contenti la stessa radice: "salve" usato quando dovevano augurare a qualcuno un'ottima giornata, "salus" (salute), "salubritas" (sanità) e “salario” la razione di sale ricevuta come paga dai soldati insieme con i viveri.
Quella del sale è una storia antichissima. Il suo utilizzo si può far risalire al Neolitico, ovvero a 10.000 anni fa, quando entrò a far parte della vita umana come conservante degli alimenti. La parola deriva dal latino "sal", che a sua volta prende origine dal termine greco "als", ovvero "distesa salata". Nell’antica Roma il sale veniva utilizzato per le offerte agli dei, in cucina, in medicina, per la concia delle pelli, in metallurgia e soprattutto per mantenere a lungo alimenti facilmente deteriorabili come la carne, il pesce, le olive e i formaggi.
In mancanza di sofisticati sistemi di refrigerazione, il sale fu per i nostri progenitori l’antenato del frigorifero. Nelle zone fredde, d’inverno, si sfruttava a questo scopo la neve.
Sotto sale veniva comunemente essiccata la carne di maiale. L’agnello, il capretto, la cacciagione e il pollo erano per lo più consumati freschi, cotti al forno o allo spiedo, così come il maialino da latte.Durante il Medioevo il sale continuò ad essere ritenuto merce preziosissima, le gabelle applicate su di esso passarono dal 2,5% dell'età Imperiale al 20%, e l'Italia divenne il centro del suo commercio.
Numerose furono le valenze simboliche che la sostanza acquisì in questa epoca:
-fedeltà e stabilità se impiegata nei “patti di sale” dove con il suo scambio si stringevano accordi matrimoniali ed economici;
-metodo di purificazione dal demonio, se il sale veniva asperso durante battesimi, benedizioni o esorcismi, di uomini e animali;
-indice di malaugurio se la sostanza cadeva sulla tavola, perchè considerata preziosissima.
Secondo l'esegesi biblica il sale rappresentava l'intelligenza illuminata dello spirito e degli apostoli, in ricordo di Cristo che nel Sermone della montagna chiamò i suoi discepoli "sale della terra". Due le grandi distinzioni del sale da cucina in base alle fonti di raccolta:
-il mare, dal quale si ricava per evaporazione;
-il suolo da cui si estrae la salgemma.
Indipendentemente dalla provenienza possiamo avere:
-sale raffinato, sottoposto a numerosi lavaggi e trattamenti è il più usato ed economico;
-sale integrale, più pregiato e ricco di oligoelementi.
Abbiamo poi i sali: iposodici (carenti in sodio adatti ipertensione) e iodati (addizionati di iodio per chi ha problemi tiroide). Infine da non dimenticare i sali elaborati: ossia affumicati o addizionati di erbe e spezie.
Le nostre eccellenza italiane, già presenti dall'antichità ed esportate in molti paesi dell'Impero romano, arrivano dalle saline di Trapani e Cervia. Qui il sale integrale coltivato e raccolto a mano ha sempre rappresentato una fonte di prosperità per la comunità. Ancora oggi, è un'emozione profonda stare di fronte a queste distese di acqua, increspate dal vento che evaporando al sole si trasformano nelle candide superfici di sale che poi gli uomini accumulano a mano in tante piccole piramidi.
Non c'è differenza di qualità tra il sale grosso e quello fino, quella che cambia e solo la macinatura: in genere quello fino si usa per salare direttamente i cibi, mentre quello grosso per bollire e fare le preparazioni in crosta. Tra le eccezioni ghiotte citiamo l'uso del sale grosso a fine cottura sulla bistecca alla fiorentina che genera una piacevole croccantezza quando lo si percepisce in bocca.
Tra il sale economico che troviamo al supermercato e i sali pregiati di alto prezzo ci sono differenze sostanziali legate alla purezza e all'assenza di agenti inquinanti. I sali economici subiscono vari trattamenti e qualcuno li chiama “morti” perché perdono gli oligoelementi. I sali naturali integrali mantengono inalterate le proprie caratteristiche legate alla roccia o al mare di coltivazione. Un'eccellenza assoluta è il Fiore di sale, raro, pregiato e delicato, che si cristallizza sulla superficie dell'acqua sotto l'azione del sole e del vento.

INVIDIA


 
Invidia deriva dal latino in-videre (“guardare di sbieco”, “guardare storto”) ed è uno dei sentimenti moderni più diffusi, e anche più inconfessabili.
Un proverbio danese dice che “Se l’invidia fosse una febbre, tutto il mondo sarebbe ammalato”
mentre un detto sostiene che “Ci sono cose che un individuo non confessa né al prete, né allo psicanalista, né al medium dopo morto.
E fra queste cose la prima è senza dubbio l’invidia”.

L’invidia è il sentimento che noi proviamo quando qualcuno, che noi consideriamo del nostro stesso valore ci sorpassa, ottiene l’ammirazione altrui. Allora abbiamo l’impressione di una profonda ingiustizia nel mondo. Cerchiamo di convincerci che non lo merita, facciamo di tutto per trascinarlo al nostro stesso livello, di svalutarlo; ne parliamo male, lo critichiamo. Ma se la società continua ad innalzarlo, ci rodiamo di collera e, nello stesso tempo, siamo presi dal dubbio. Perché non siamo sicuri di essere nel giusto. Per questo ci vergogniamo di essere invidiosi. E, soprattutto, di essere additati come persone invidiose. In termini psicologici potremmo dire che l’invidia è un tentativo un po’ maldestro di recuperare la fiducia e la stima in sé stessi, impedendo la caduta del proprio valore attraverso la svalutazione dell’altro.
(Francesco Alberoni)

Alcune frasi.....
Ogni persona ha ciò che non vuole, e ciò che vorrebbe l’hanno gli altri.
(Jerome Klapka Jerome)

Benedetto colui che ha imparato ad ammirare, ma non invidiare,
a seguire ma non imitare,
a lodare ma non lusingare,
a condurre ma non manipolare.
(William Arthur Ward)

L’amore guarda attraverso un telescopio; l’invidia, attraverso un microscopio.
(Josh Billings)
La vita è un vaso invisibile e tu sei ciò che vi getti dentro. Getta invidia, insoddisfazione e cattiveria e traboccherà ansia. Getta gentilezza, empatia e amore e traboccherà serenità.
(Fabrizio Caramagna)
 
Gli uomini non conoscono la propria felicità, ma quella degli altri non gli sfugge mai.
(Pierre Daninos)

L’invidia è l’arte di contare i colpi di fortuna degli altri anziché i propri.
(Harold Coffin)

L’invidioso piange più del bene altrui che del proprio male.
(Francisco de Quevedo)

Ti Amo!!!


 
Ti Amo!!!
Credevo di non innamorarmi più,
ma succede sempre di nuovo..
All'improvviso...basta una parola.
Allora ancora dirò... Ti Amo,
 alla mia vita dai colore,
ai miei occhi, un bagliore.
Credevo di non poterlo dire più.
Anche non ricambiata, lo grido.
Ti Amooo!!! anche se fa soffrire,
ma la  vita fa rifiorire.
Ho spalancato il mio cuore,
che avevo chiuso all'amore.
Ti Amo! per i baci non avuti,
Ti Amo! per sogni non vissuti.
Ti dono la mia anima bianca,
tu scrivici la nostra storia
oramai stanca.

Lucia

Giugno

Giugno
E' il mese dei prati erbosi e delle rose;
il mese dei giorni lunghi e delle notti chiare.
 Le rose fioriscono nei giardini, si arrampicano
 sui muri delle case. Nei campi, tra il grano,
 fioriscono gli azzurri fiordalisi e i papaveri
 fiammanti e la sera mille e mille lucciole
scintillano fra le spighe.
Il campo di grano ondeggia al passare
del vento: sembra un mare d'oro.
Il contadino guarda le messi e sorride. Ancora
pochi giorni e raccoglierà il frutto delle sue fatiche.

Giosuè Carducci

Le Fate della Montagna


Le Fate della Montagna

Su le cime de la Tenca
per le fate è un bel danzar.
Un tappeto di smeraldo
sotto al cielo il monte par.
Nel mattin perlato e freddo
de le stelle al primo albor
snelle vengono le fate
su moventi nubi d'or.

Giosuè Carducci

Giosuè Carducci





Giosue Carducci
Valdicastello di Pietrasanta, 27 luglio 1835 – Bologna, 16 febbraio 1907

Tutta consacrata allo studio e all'insegnamento, l'esistenza terrena  di  Carducci  conosce  periodi  di   depressione e di sconforto. Giosue   Carducci  nasce in Toscana. Il padre è un medico dal carattere impetuoso, costretto a cambiare più volte residenza soprattutto a  causa  delle  sue idee politiche liberali, la mamma è una  donna  di  grande  equilibrio  e   dignità.  La sua infanzia si svolge principalmente in  Maremma, nella campagna di Bolgheri. Da subito,Giosue manifesta una spiccata propensione per gli studi, in questo  incoraggiato dal padre. Nel 1855 si laurea  in Lettere e Filosofia  alla  Normale di Pisa. Nel 1857 lo colpisce il primo significativo lutto familiare:il fratello  Dante, che conduceva  una vita oziosa, si suicida; nel 1858 gli muore il padre; nel 1859 sposa Elvira Menicucci, conosciuta quando Giosue  era ancora  quattordicenne. Nel 1860, in  seguito  alla rinuncia  di  Giovanni  Prati, ottiene  la cattedra  di  Italiano all' Università di  Bologna. Insegna con impegno e brillantezza. Nel 1870 lo colpiscono altri due lutti: muore l' amata madre e il figlioletto  Dante di tre anni, cui il poeta   dedica la lirica   Pianto antico.  Nel 1871  imbastisce una tempestosa  relazione amorosa con Carolina Cristofori Piva, non nascondendo l'infatuazione nemmeno ai familiari. Il 1876   lo vede deputato di fresca nomina. In seguito conoscerà l'amicizia di Annie Vivanti, una giovane poetessa, che gli rallegrerà e vivacizzerà  la  vita. Nel 1885 una paralisi gli colpisce  l'emisoma  destro. Soffre anche  di  vertigini  e di esaurimento nervoso. Soggiorna per diverse estati, a scopo terapeutico, in numerose località alpine. Eletto senatore nel 1890, si impegna per migliorare l'istruzione  del popolo. Nel 1898  viene  colpito  da  un secondo attacco di paralisi. Lascia   a  malincuore   l'insegnamento.  Nel  1906  ottiene  il premio Nobel per la letteratura. Muore in seguito alla complicanza   broncopolmonare  di   una influenza, curato  dall' allora famosissimo clinico Augusto Murri,  circondato dall'affetto dei familiari.

Se vai.......