lunedì 25 dicembre 2017

18 settembre Santa Riccarda




Santa Riccarda
Imperatrice

Etimologia: Riccarda = potente e ricca, dal provenzale
Figlia del conte di Alsazia, sposò verso l’862 Carlo il Grosso, figlio di Lodovico il Germanico; da principessa divenne grande benefattrice di vari monasteri in Germania, Svizzera e Italia e verso l’880 fondò nelle sue proprietà l’abbazia di Andlau nel Basso Reno. Nell’881 si recò, insieme al marito a Roma dal papa Giovanni VIII per ricevere la corona imperiale e per porre la nuova abbazia sotto la protezione pontificia. Il nuovo imperatore del Sacro Romano Impero prese il nome di Carlo III il Grosso, succedendo a suo padre e a due fratelli e si trovò a governare un territorio quasi uguale a quello di Carlo Magno, purtroppo non con le stesse capacità di governo; non riuscì ad arginare efficacemente le incursioni dei Normanni e venne combattuto dai feudatari, pertanto nella Dieta di Tribur dell’887 fu deposto, trasferitosi in Svevia a Neidingen sul Danubio, vi morì dopo pochi mesi. L’imperatrice Riccarda già angosciata per la disgrazia e la morte del marito, fu accusata ingiustamente di adulterio con un cancelliere–vescovo, le false accuse si dimostrarono subito infondate, ma Riccarda amareggiata decise di ritirarsi nel monastero di Andlau da lei fondato e retto dalla badessa Rotruda sua nipote. Visse i suoi ultimi anni in preghiera e opere pie e morì il 18 settembre dell’894 circa. Secondo una leggenda per dimostrare la sua innocenza avrebbe superata l’ordalia del fuoco per cui viene invocata come protettrice contro il fuoco.Il suo corpo fu sepolto nella stessa abbazia, fino al 1049 quando il papa Leone IX lo fece trasferire nella chiesa abbaziale da lui stesso consacrata. Nel 1350 le fu eretto un monumento sepolcrale che è ancora oggi meta di pellegrinaggi. Il nome Riccarda / Riccardo, deriva dal provenzale Richart, tratto a sua volta dal tedesco ‘rikja’ (signore) e ‘hart’ (forte). Autore: Antonio Borrelli

Buongiorno Cari Amici



Buongiorno Cari Amici
vi saluto tutti quanti.
Vi prego siate felici
anche se siam distanti.
Buongiorno  ai brutti e ai belli,
sentiamoci fratelli.
Buongiorno ai pigri e agli sportivi
ai buoni e non ai cattivi.
Buongiorno ai malati,
che siano coccolati
I baci e le buone parole
 fanno risplendere il sole.
Insomma Buongiorno a tutti
spandiamo i nostri frutti
di pace e amore
e nascerà un bel fiore .
Il fiore del sorriso
che di tutti è amico.
Lucia .

Tempi di farfalle



Dove siete, voi tempi scherzosi di farfalle,
quando sognavo di avere le ali?
Oggi in me c’è un altro uomo
che non vuole volare soltanto qua e là.

O farfalle, rincorretevi come un tempo,
ma su di me non potete più contare.
Ingenuo, chi il ricordo oggi ridesta,
perduto, chi in esso un giorno s’è fermato.

Quante nuove tombe da allora,
quante nuove culle!
Ingenuo, chi sulle ali delle pièridi
vorrebbe volare un secolo intero.

Uomo ingenuo – davvero non ha la forza
di togliersi le ali smisurate, dalle cui membrane
la bufera e le stelle si versano di notte
sui deserti, foreste vergini e sull’oceano?

Uomo ingenuo – davvero non ha la volontà
di mettere le ali alla sua vita là,
dove i sogni gli hanno disteso il futuro,
là, dove non sarà più solo?

František Hrubín

L’ora degli innamorati



Ti avvolgevi sul dito la paglia,
là sul dito, dove sognavi un anello d’oro.
Io conversavo ancora col sole
e tu già impallidivi nella luna.

Dietro di noi d’un tratto cominciò a stormire.
E posasti la testa dall’ombra
sulle sue foglie.
Capello dopo capello da essa ti prendeva.

Soltanto per essa l’ardente ortica,
la gelosia della terra, nell’erba celata,
con una gemma bruciante
ti si attaccò a un polpaccio.
Gridasti
e la luna spaurita saltò via.
La terra si mise tra di voi.

E lentamente si girò su un fianco,
finché – finché ci coprì entrambi
di erba e di foglie. Smarriti
come noi quella notte erano
migliaia. Un grande silenzio di pesce
sotto le squame del sussurro scorreva là
con le mute labbra della luna.

E ci sembrava che con il cuore
già toccassimo il nostro fondo.
Ma intanto in noi si apriva
una nuova profondità.

František Hrubín

František Hrubín




František Hrubín
(Praga, 17 settembre 1910České Budějovice, 1º marzo 1971)
è stato un poeta e scrittore ceco.
Hrubín trascorse la sua infanzia presso la famiglia materna a Lešany, dove frequentò la scuola elementare e visse quelle esperienze ed emozioni che rimasero impresse nella sua memoria e risultarono fonte di ispirazione per gran parte della sua vita letteraria, assieme alle immagini della campagna boema ed a quelle di Praga dal secondo dopoguerra fino alla sua morte. Hrubín ritornò a Praga per iscriversi alle scuole superiori e all'Università Carolina, presso la quale dal 1932, frequentò la facoltà di filosofia, che abbandonò prima di laurearsi.Nel 1934 si impiegò alla Biblioteca Comunale di Praga e successivamente al ministero dell'Informazione.Nel 1956 criticò, assieme a Jaroslav Seifert, il regime comunista che governava in quegli anni il suo Paese.La carriera di Hrubín si può suddividere in tre periodi creativi: il primo, dagli esordi fino alla metà degli anni trenta ed il terzo, dalla metà degli anni cinquanta in poi, si caratterizzarono per una maggiore propensione all'ottimismo, alla fiducia per la natura e per l'uomo, sottolineata dalle mirabili descrizioni di paesaggi naturali e da immagini sensuali.Nella fase poetica intermedia Hrubín, invece, venne influenzato dalla drammatica situazione politica, sociale, storica, causata dalle dittature europee e dalla seconda guerra mondiale, e dai conseguenti eventi ed episodi personali di vita luttuosa, tragica e disperata.Questa varietà e completezza contenutistica, unita ad uno stile melodioso e ritmico ed a peculiarità sintattiche e semantiche resero Hrubín uno dei più importanti letterati del suo Paese.Tra le sue opere più significative si possono citare: Zpíváno z dálky (Cantato da lontano, 1933) e Krásná po chudobě (Bella in povertà, 1935), entrambe incentrate sulle tematiche sociali, relazionali, affettive ed ambientali; Země po polednách (La terra nei meriggi, 1937), invece si distinse per le innovazioni stilistiche e per le metafore; Včelí plást (Il favo delle api, 1940), Země sudička (La terra Parca, 1941), Mávnutí křídel (Sventolio di ali, 1944), Cikády (Cicale, 1944), Řeka nezapomnění (Il fiume del non-oblio, 1946), Nesmírný krásný život (L'immensa bella vita, 1947), Hirošima (Hiroshima, 1948), sono intrise di rievocazioni belliche che ruotano attorno ai grandi temi quali la natura, l'amore, la morte; Můj zpěv (Il mio canto, 1956) e Romance pro křídlovku (Romanza per un filicorno, 1962), esaltano il trionfo dell'amore, del bene, della bontà sulla morte, distruzione e cattiveria umana.Sono da ricordare le collaborazioni di Hrubín con numerose riviste e la direzione di Malý čtenář (Piccolo lettore, 1940–1941) e Mateřídouška (Timo, 1945–1948), oltreché la sua atti

mercoledì 13 dicembre 2017

17 settembre S. Roberto Bellarmino


 
Roberto Francesco Romolo Bellarmino (Montepulciano, 4 ottobre 1542Roma, 17 settembre 1621) è stato un teologo, scrittore e cardinale italiano, venerato come santo dalla Chiesa cattolica e proclamato dottore della Chiesa. Apparteneva all'Ordine dei Gesuiti.
Protettore di: avvocati canonisti, catechisti


Nacque  Cinzia Cervini, sorella del Papa Marcello II e da Vincenzo Bellarmino. Affezionato al le cose di Dio, amava poco i trastulli infantili; ripeteva ai fratellini le prediche udite e spiegava ai contadinelli i primi elementi del catechismo. Fatta con angelico fervore la sua Prima Comunione, prese, contro l'uso di quel tempo, a comunicarsi ogni domenica, con edificazione di tutti.  Iniziati gli studi mostrò subito la sua straordinaria acutezza e penetrazione d'ingegno accoppiata ad una insaziabile avidità d'imparare. E poiché suo padre, che intendeva farne un compito gentiluomo, volle che aggiungesse allo studio delle lettere anche l'arte del canto e della musica, egli ingenuamente sostituiva con parole sacre qualunque verso lubrico che incontrasse ripetendo con franchezza a chi si meravigliava : « La mia voce non si presta a cantare cose che non siano pure ». Mentre egli faceva grandi progressi nella virtù e nel sapere, il padre andava riponendo in lui le più belle e lusinghiere speranze, ma Roberto la pensava ben diversamente. Conscio dell'importanza della salvezza dell'anima, dopo un anno di lotta contro il padre, ottenne di entrare nella Compagnia di Gesù.  Dopo il noviziato nel 1561 si trasferì per il corso di filosofia al Collegio Romano. Ma dolorose prove non ritardarono a farsi sentire: lo colse un ostinato esaurimento di forze ed un acuto dolore di testa. Ciononostante, docile, rassegnato e paziente riuscì il primo della classe. Indi fu mandato come insegnante a Firenze e a Mondovì. Nel 1567 andò a Padova per gli studi di teologia, durante i quali predicò a Venezia e a Genova. Pochi anni dopo fu inviato nell'Università di Lovanio, ove fu professore, e là nel 1570 fu ordinato sacerdote del vescovo Cornelius Jansenius e celebrò la sua prima Messa. Gregorio XIII aveva deciso che nel Collegio Romano s'istituisse una cattedra di carattere polemico per difendere dagli assalti degli avversari le verità della fede e per questa fu prescelto Roberto che, per la sua monumentale opera, le « Controversie », fu detto il Martello degli eretici. Tra tutta la sua attività rifulge quanto fece per il catechismo, che, già cardinale, non disdegnava insegnare ai familiari ed al popolo. Fu padre spirituale di S. Luigi, ebbe relazioni con S. Realino e fu provinciale a Napoli. Tutto ciò, unito ad una grande santità, aveva attirato su di lui gli occhi di tutti e Clemente VIII, nonostante la ripugnanza del Santo, lo fece cardinale, arcivescovo di Capua, ove fu prodigo di cure e carità a tutti, ma specialmente ai poveri. Nel 1621, abbandonato l'appartamento cardinalizio, si ritirava nella casa del Noviziato di S. Andrea al Quirinale ove si preparò alla morte, E confortato dalla benedizione di Gregorio XV, dopo aver recitato con grande pietà e fede il Credo, spirava, portando al tribunale divino illesa la candida stola battesimale. Era il 17 settembre 1621. S. Roberto fu pure un grande scrittore : scrisse ben 31 opere tra le quali spiccano maggiormente: le « Controversie », il « Catechismo », « Le ascensioni spirituali della mente in Dio » e l'« Arte del ben morire »: perciò Pio XI lo dichiarò Dottore della Chiesa.
PRATICA. Ci siano di guida queste parole del Santo: « Procura di non mandar nessun povero scontento: se ho poco, dò poco, se avrò di più, darò di più... ».
PREGHIERA. O Dio, che per respingere le insidie dell'errore e per difendere i diritti della Sede Apostolica, concedesti mirabile dottrina e forza al tuo beato Pontefice e dottore Roberto, per i suoi meriti ed intercessione fa' che noi cresciamo nell'amore della verità e che gli, erranti ritornino nell'unità della tua Chiesa.

Luna

 

Oh Luna che brilli
nel cielo turchino,
saluta il mio amore,
dagli un bacino.
Non esser triste,
non far come me!!!
Il Sole ti ama,
anche se non c'è!
Raduna le stelle,
falle brillare,
così che gli amori
possan sbocciare....
guarderanno il cielo,
cercando una stella,
 ammireranno te,
Maestosa e Bella.
Lucia

La gioia!




Esiste, esiste veramente, esiste in realtà!
E lui l'ha provata, e non quella impietosa
che ci cade addosso con così sùbita violenza
da spegnere in noi il fuoco che nessuno custodisce
o come vertigine che alla luce doppia dell'ironia
porta a noi la bottiglia, e scarpine che muovono alla danza
oh no,  la  sua  gioia  era  sommessa,  semplice,  senza  motivo,
non affidata per un attimo ma piuttosto donata,
gioia dell'uomo che passa sopra il ponte e
continuerà a cantare...
Ma basterebbe che il vento
gli gettasse sulle spalle una foglia secca
e il ponte, di colpo, non reggerebbe il peso...
 
Vladimír Holan

IL LAMENTO DEL MORTO


 
IL LAMENTO DEL MORTO

Solo per un momento ho potuto tornare dai miei cari.
Che quelli fossero i luoghi
lo  confermò il pontile dove affittano le barche
e fui presto al villaggio.
Il  vento assisteva l'aria fino alle maniche del salice.
Era domenica, erano tutti nel frutteto
e solo mia sorella stava portando il latte giù in cantina.
Non mi sfiorava nemmeno l'idea di spaventarli.
Ma poiché non credevano che fossi veramente io
non ebbi bisogno di dirgli che ero vivo.
Tutto s'assottigliò fino a svanire
tra gridi di mammole e di viole
e davanti a  me dileguarono  in  polvere la  ragnatela-paesaggio,
il rosolaccio, la luce della luna
e la sveglia sopra il muro del cimitero...
 
Vladimír Holan

Vladimír Holan



Vladimír Holan
(Praga, 16 settembre 1905Praga, 31 marzo 1980)
è stato un poeta ceco. è creatore di una poesia di ardue visioni interiori e di straordinaria densità metaforica. Dopo la prima raccolta di versi Il ventaglio delirante (1926) maturata con originalità di scrittura e di temi nel clima del poetismo, si tenne in disparte dalle correnti letterarie contemporanee. Fece una scelta di autoreclusione, a partire dall'ultima guerra fino alla morte, nella sua casa nell'isola di Kampa (Praga). La sua poesia è densamente intellettualistica, ricca di metafore oscure e cristalline, tesa a distillare i nuclei metafisici del rapporto tra uomo e realtà: Trionfo della morte (1930), L'arco (1934). Dopo la guerra e l'occupazione nazista si volse verso una maggiore affabilità, raggiungendo a tratti una semplice e grandiosa eloquenza epica: Primo testamento (1940), Terezka Planetova (1944), Viaggio d'una nuvola (1945), Ringraziamento all'Unione Sovietica (1945), Requiem (1945), Soldati rossi (1956). Dopo questa parentesi H. abbandonò definitivamente i temi politici e tornò, approfondendole, alle sue ardue visioni interiori. Nel poema Una notte con Amleto (1964) gli incubi della fantasia del poeta parlano per bocca di una stralunata reincarnazione dell'eroe shakespeariano, in un frenetico sovrapporsi di tempi storici e di motivi mitici e etnologici. Negli ultimi anni ha scritto: Ma c'è la musica (1968), Un gallo a Esculapio (1970), I documenti (1976), Ovunque è silenzio (1977). Pur nel suo itinerario solitario e singolare, la poesia di H. che è una delle migliori espressioni della lirica del secolo, dimostra una spontanea contiguità con alcune costanti della poesia ceca: la tensione barocchista con i suoi possibili sbocchi surrealisti; l'ispirazione notturna che ha il massimo esempio nell'opera di Mácha e che in H. è soprattutto compresenza di morte e di vita, presenza occulta della morte come matrimonio della vita.

Albert Szent-Györgyi




Albert Szent-Györgyi de Nagyrápolt
(Budapest, 16 settembre 1893Woods Hole, 22 ottobre 1986)
è stato uno scienziato ungherese naturalizzato statunitense,
vincitore del Premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 1937.
A lui viene attribuita la scoperta della vitamina C e delle componenti e reazioni del ciclo di Krebs. Fu impegnato nella guerra di resistenza ungherese durante la seconda guerra mondiale e dopo la fine di questa entrò in politica in Ungheria.
Nacque nell'impero austro-ungarico. Suo padre, Miklós Szent-Györgyi, era un proprietario terriero calvinista, nato a Marosvásárhely, in Transilvania, la cui discendenza può essere ricostruita fino al 1608, anno in cui Sámuel, un predicatore calvinista, fu insignito di titolo nobiliare. Sua madre Jozefin al contrario apparteneva alla chiesa Cattolica Romana, ed era figlia di József Lenhossék ed Anna Bossányi. Suo fratello era Mihály Lenhossék, professore di anatomia all'Università di Budapest come il padre: nella famiglia materna di Szent-Györgyi si contavano tre generazioni di scienziati. Anche la musica fu importante nella famiglia Lenhossék: Jozefina aveva studiato per divenire cantante d'opera, e addirittura fece un provino per Gustav Mahler (allora direttore dell'Opera di Budapest), il quale le suggerì di trovar marito piuttosto che tentare la carriera canora, a causa della sua voce non eccezionale. Albert stesso fu un buon pianista, mentre suo fratello Pál divenne un violinista professionale. Szent-Györgyi iniziò i suoi studi all'odierna Università Semmelweis di Budapest nel 1911, ma presto si stufò di seguire le lezioni e iniziò a fare ricerca nel laboratorio dello zio. Dovette interrompere gli studi nel 1914 per servire nell'esercito come medico militare. Nel 1916, disgustato dalla guerra, Szent-Györgyi si sparò al braccio, affermò di essere stato ferito dal fuoco nemico e fu mandato a casa in congedo per malattia. Fu così in grado di portare a termine la sua preparazione medica e conseguire la laurea nel 1917. Nello stesso anno sposò la figlia del generale postale ungherese Kornélia Demény, la quale lo accompagnò nel suo successivo incarico in una clinica militare nel nord Italia. Dopo la guerra, Szent-Györgyi iniziò la sua carriera da ricercatore presso Pozsony, ovvero l'attuale capitale della Slovacchia, Bratislava. Cambiò diverse volte l'università in pochi anni e alla fine decise di fermarsi presso l'Università di Groninga, dove la sua ricerca era rivolta alla chimica della respirazione cellulare. Questo lavoro lo portò alla Fondazione Rockefeller presso l'Università di Cambridge. Qui ricevette il dottorato di ricerca nel 1927 su di un lavoro per l'isolazione di acidi organici. Accettò una posizione all'università di Seghedino nel 1930. Qui, lui e un suo giovane ricercatore Joseph L. Svirbely naturalizzato americano, trovarono che l'acido studiato durante il suo dottorato, altro non era che la soluzione allo scorbuto, ovvero la vitamina C. Dopo che Walter Norman Haworth ebbe determinato la struttura della vitamina C, e le sue proprietà anti-scorbutiche, gli fu dato il nome di acido L-ascorbico. In alcuni esperimenti usarono la paprica come sorgente di vitamina C. Anche durante questo periodo, Szent-Györgyi continuava il suo lavoro sulle cellule respiratorie, identificando l'acido fumarico e altri step oggi conosciuti come il ciclo di Krebs. A Seghedino conobbe Zoltán Bay, un fisico che diventò suo stretto amico e col quale avrebbe collaborato nel campo bio-fisico. Nel 1937 ricevette il Nobel che gli valse grazie alle "Scoperte in relazione ai processi di combustione biologica con specifico riferimento alla vitamina C ed alla catalisi dell'acido fumarico. Egli offrì tutti i soldi derivanti dal premio alla Finlandia, dopo il 1940 (dato che volontari ungheresi andarono in aiuto ai finnici durante la Guerra d'inverno, ovvero l'invasione sovietica della Finlandia del 1940). Nel 1938, iniziò a lavorare in biofisica sul movimento dei muscoli. Egli scoprì che i muscoli contengono della actina, e che quando questa si combina con la proteina della miosina e l'energia ATP, si ottiene una contrazione delle fibre muscolari. Durante gli anni del fascismo in Ungheria, Szent-Györgyi aiutò alcuni suoi amici ebrei a scappare dal paese, e si unì al movimento della resistenza ungherese. Nonostante l'Ungheria fosse alleata con i paesi dell'Asse, il primo ministro ungherese Miklós Kállay spedì Szent-Györgyi al Cairo nel 1944 sotto una scusa scientifica, per iniziare una negoziazione segreta con gli Alleati. I tedeschi ben presto scoprirono il suo gioco e lo stesso Adolf Hitler ordinò il suo arresto. Ma lui scappo dagli arresti domiciliari e spese gli anni 1944-45 come fuggitivo dalla Gestapo. Dopo la guerra, Szent-Györgyi divenne noto al pubblico e iniziò anche una fase speculativa che lo proponeva come primo ministro del suo paese. In seguito stabilì un laboratorio presso l'odierna Università Loránd Eötvös e divenne il preside del dipartimento di biochimica. Fu eletto come membro del parlamento e aiutò la rinascita dell'accademia della scienza. Insoddisfatto sia dal regime comunista che dal suo paese, dopo suo viaggio con licenza statale del 1947, decise di emigrare negli Stati Uniti d'America nel 1948, di cui divenne cittadino naturalizzato nel 1955, e dove morì.

16 settembre Santi Cornelio e Cipriano


 

Santi Cornelio e Cipriano
Papa e Vescovo,
martiri

† 253 e 258
Emblema: Palma
I santi Cornelio e Cipriano sono ricordati dalla Chiesa nello stesso giorno.
SAN CORNELIO, originario di Roma, fu eletto papa nel 251 per la sua umiltà e la sua bontà, dopo un periodo di sede vacante a causa della violenta persecuzione di Decio. L'eretico Noviziano lo contrastò scatenando uno scisma ma Cornelio fu riconosciuto da quasi tutti i vescovi, primo fra tutti S. Cipriano. Morì nel 253, imprigionato a Civitavecchia, durante la persecuzione di Gallo.
SAN CIPRIANO, vescovo e martire, nacque a Cartagine verso il 210. Dopo tre anni dalla sua conversione al Cristianesimo, fu eletto vescovo della sua città. Ritiratosi in clandestinità durante la persecuzione di Valeriano, venuto a conoscenza di essere stato condannato a morte, tornò a Cartagine per dare testimonianza di fronte ai propri fedeli e venne decapitato nel 258.
Martirologio Romano

Marco Polo


 
Marco Polo
(Venezia,15 settembre  1254Venezia, 8 gennaio 1324)
è stato un ambasciatore, scrittore, viaggiatore e mercante italiano vissuto nella Repubblica di Venezia.
La sua famiglia apparteneva al patriziato veneziano. Il suo nome è legata l'opera passata alla storia come "Il Milione". Si tratta, a parere unanime degli storici, del compendio più importante e prezioso che il Medioevo, prima della scoperta dell'America e della successiva epoca delle grandi esplorazioni, abbia mai lasciato in merito ai territori d'Oriente, comprendendo con questa espressione anche un'ampia moltitudine di popoli e geografie che la civiltà occidentale, fino a quel momento, non aveva mai esplorato. Cittadino della cosiddetta Serenissima, come viene chiamata a quei tempi la Repubblica di Venezia, Marco nasce in una famiglia tipica della Laguna, benché originaria di Sebenico, Dalmazia. Appartenente all'alta borghesia veneziana, figlio di Niccolò, mercante da cui apprende gran parte dei segreti del mestiere, nipote di Matteo Polo, fratello di suo padre e anch'egli mercante, all'età di diciassette anni il giovane Marco intraprende un lungo viaggio insieme con i due familiari. È il viaggio della sua vita, che consegna il suo nome alla storia. In realtà, sono proprio Niccolò e Matteo ad invogliare il giovane Marco ad intraprendere la carriera di commerciante all'estero. Nei mesi intorno alla sua nascita infatti, i due si sono spinti già nelle terre d'Oriente, stabilendo i propri mercati prima a Costantinopoli e poi a Soldaia, nella Crimea. I due fratelli Polo durante questi viaggi entrano nelle grazie del grande Qubilai, il conquistatore e unificatore della Cina,ottenendo fruttuosi privilegi, oltre che una probabile dignità nobiliare.Tornati a Venezia nel 1269, forti dell'esperienza appena trascorsa, dopo nemmeno due anni decidono di rimettersi in viaggio. Con loro, c'è anche Marco Polo, il quale insieme con suo padre Niccolò e suo zio Matteo, nella primavera del 1271 parte per l'Asia. Qui, stando ai primi resoconti dell'esperienza, i commercianti veneziani si guadagnano la fiducia del Gran Khan del Katai, in Cina. Questi, affida loro alcune missioni nelle province più remote del suo impero, dandogli la possibilità di intraprendere viaggi in terre impervie, alla stregua di popolazioni e culture fino a quel momento nemmeno immaginate dall'uomo occidentale. Tutta l'esperienza dura quasi venticinque anni e, successivamente e con dovizia di particolari, costituisce il corpus centrale dell'opera di Polo: "Il Milione", appunto.Secondo i documenti riportati di seguito, i Polo sarebbero giunti a Pechino alla corte del Gran Kahn intorno al maggio del 1275. Il giovane e intraprendente viaggiatore veneziano, su incarico dall'Imperatore, ispeziona le regioni al confine del Tibet e lo Yün-nan fregiandosi del titolo di "Messere". È un'onorificenza che lo pone a stretto contatto con la figura del sovrano, facendo di lui un rappresentante e informatore, oltre che ambasciatore di Stato. Svolge inoltre attività amministrative e si guadagna la stima delle alte sfere della società mongola. Nel 1278 poi, Marco Polo viene nominato Governatore di Hang-chou, già capitale, sotto la dinastia dei Sung, del reame dei Mangi. È il massimo riconoscimento per la sua abilità e per l'impegno profuso alla corte del Kahn. Nel 1292, a ventun'anni dalla partenza da Venezia, il mercante divenuto governatore inizia il viaggio di ritorno salpando dal porto di Zaitun. Dopo tanto peregrinare, nel 1295 rientra a Venezia. L'idea di mettere nero su bianco quanto visto e appreso durante la sua traversata in Oriente non lo sfiora minimamente, coinvolto com'è in alcune vicissitudini che riguardano la sua Repubblica. Tre anni dopo pertanto, nel 1298, Polo viene fatto prigioniero dai genovesi, durante la battaglia navale di Curzola, cui prende parte per difendere la sua Serenissima. In carcere però, durante la sua prigionia, fa la conoscenza di un mediocre letterato, tale Rustichiello da Pisa, che fino a quel momento si è guadagnato da vivere compilando avventure cavalleresche. Questi però, ha la brillante idea di farsi raccontare da Marco Polo tutta l'esperienza passata in Oriente insieme con i suoi parenti, con il fine di rendere su carta quanto appreso e diffonderla a tutti. Le regioni di cui racconta il viaggiatore veneziano, ancora del tutto ignote agli europei, sono quelle della Valle del Pamir, del deserto di Lop e del deserto di Gobi. Il testo che ne viene fuori non denuncia fratture e testimonia la piena osmosi avvenuta tra racconto orale e composizione scritta, tra oratore e narratore.Il libro viene redatto, in origine, in lingua francese, sebbene non ignorasse alcune forme lessicali e sintattiche italianizzanti, perlopiù volgare veneto e toscano. Dei primi esemplari composti, tutti andati perduti, si segnalano alcune varianti di quello che in principio doveva essere il titolo originale dell'opera, come detto in lingua francese, ossia: "Divisament dou monde". A questo, si aggiungono versioni intitolate "Livres des merveilles du monde" o, in latino, "De mirabilibus mundi". Smarrite le copie originali, restano però diverse traduzioni dell'opera, in molte lingue, e quasi tutte con il titolo giunto fino ai nostri giorni: "Il Milione".Contrariamente a quanto si pensi, questa fortunatissima traduzione dell'opera deriva da un'aferesi del nome Emilione, il quale i Polo protagonisti del viaggio usavano, nella città lagunare, per distinguersi dagli altri Polo, assai numerosi in quel di Venezia. In italiano, l'opera ha avuto come felice traduzione del suo titolo quella di "Ottimo", diffusa soprattutto intorno agli inizi del '300, ma di sicuro prima del 1309. L'intellettuale Ramusio, successivamente, nel 1559, è noto per aver curato la prima edizione a stampa dell'opera famosa. A conti fatti, "Il Milione" resta un documento fondamentale per comprendere sia l'Oriente medievale, sia la mentalità mercantile italiana verso la fine del '200. La sua struttura, di impianto trattatistico e romanzesco insieme, si mantiene unitaria, nonostante convivano nell'opera elementi apparentemente discordanti, quali l'amore per il fiabesco e il gusto per l'osservazione diretta e precisa, oltre all'attenzione ad alcuni aspetti tecnici economici e sociali propri di un esperto mercante. Le tre anime insomma, derivanti da due personalità in carne ed ossa, sono ravvisabili e, in ogni caso, non cozzano tra loro. C'è il cronista fantasioso, il viaggiatore attento e il mercante, abile nell'apprendere i meccanismi più vicini alla quotidianità di un popolo e di una terra fino ad allora sconosciuta. Marco Polo muore a Venezia a settant'anni. In Italia il suo volto campeggia sulla banconota da 1.000 lire in uso dal 1982 al 1988.

15 sett. Beata Vergine Maria Addolorata



Beata Vergine Maria Addolorata
Etimologia: Maria = amata da Dio, dall'egiziano; signora, dall'ebraico

Il 15 settembre ricorre la festa della Beata Vergine Maria Addolorata, di Colei che ha vissuto il più purissimo martirio, consumato attimo per attimo, e terribile al momento estremo della Croce. Così ornata della Corona del martirio, è gloriosamente invocata dalla Chiesa col titolo di “Regina dei martiri”.
Questo titolo di Regina dei martiri pare che non rechi onore a Maria, dal momento che non darebbe onore alla rosa il chiamarsi “regina delle spine”. Tuttavia, avendo Maria fatto suo proprio il martirio di Gesù, venne a coronarsi con le spine di Lui e ad imporporarsi con il suo Sangue divino. E siccome è gloria di Gesù essere il Re dei martiri, così pure è vanto di Maria l’esserne Regina. Ha Ella poi questa grande supremazia su tutti i martiri per molte potentissime ragioni. La prima è: perché tutta la ragione del suo martirio fu da Dio. Tutti gli altri martiri furono tormentati da tiranni, e da carnefici, che con spade e mannaie straziarono i loro corpi; mentre Maria fu sommamente afflitta da Dio nell’anima, che assai più del corpo risente del dolore. Ed essendo stato strumento delle sue pene l’amore verso Gesù, ne segue che, essendo l’amabilità di Gesù infinita, siccome sommo fu l’amore di Maria verso di Lui, così sommo fu anche il suo dolore. La pena di Maria fu tanto maggiore delle pene degli altri martiri, quanto è maggiore il dolore che può cagionare un Dio crocifisso che un uomo che crocifigga, più la mano di Dio che la mano di un uomo, più un Soggetto incarnato che un soggetto terreno. Perciò il serafico san Bonaventura giunge a preferire il dolore di Maria al dolore di Cristo medesimo! Poiché le piaghe divise nel Corpo di Gesù, furono invece unite, e perciò di dolore più intenso, nel Cuor di Maria. Tuttavia si ha a ritenere più vero con l’Angelico, che fosse maggiore il dolore di Cristo, poiché patì nell’anima e nel corpo; laddove Maria patì solo nell’anima. Patì inoltre nell’anima ch’è più nobile e perciò più sensibile; e patì fino a restare priva di vita: Eius dolor fuit maximum inter dolores praesentis vitae. Ah Maria! E chi può mai comprendere i vostri dolori, se questi hanno in qualche modo a misurarsi con le forze della divina Onnipotenza che vi volle afflitta, e se sono tali che, per così dire, fanno a gara coi dolori stessi di Cristo!
Siccome Maria qui in terra fu la più simile nelle virtù al suo Divin Figlio, e siccome in Cielo gli siede più vicina nella gloria (In regni solio – dice san Girolamo – sublimata post Christum gloriosa resedit), così gli è stata più vicina nelle pene di un crudo martirio. Come Gesù fu coronato dalla madrigna Sinagoga con un diadema di pene, così similmente gli venne appresso, coronata di pene, Maria sua madre. E così si avvera il vaticino di Gioele (cap. 2): Il sole si cambia in tenebra, la luna in sangue: il sole, la luna si oscurano, poiché quella stessa eclissi della Passione, che oscurò il vero Sole di giustizia, Gesù, riempì di tenebre e di sangue la mistica luna Maria. Così, se impallidiva Gesù, languiva Maria; se era ferito Gesù, tramortiva Maria; se era crocifisso Gesù, restava ancor crocifissa Maria. Avevano insomma Gesù e Maria due Cuori accordati in tanto bel concerto, che gli stessi affetti che concepiva l’Una concepiva anche l’Altro: In corde, et corde loquuti sunt. Solo la Vergine fu santa di due Cuori, cioè di un Cuore a Lei donato da Dio Creatore e di un Cuore a Lei donato da Cristo Redentore. Cosicché Ella si rattristava in corde, et corde; ed il suo dolore era insieme regolato dal suo Cuore e dal Cuore di Cristo penetrato nel suo. Quindi: essendo stata Maria martire con Cristo, ed avendo fatto suo proprio il martirio di Cristo, il suo martirio fu più nobile di tutti gli altri: ed Ella con tutta ragione si invoca Regina dei martiri. Ah Maria! È talmente illustre il vostro martirio, ch’io non so se debba piuttosto contemplarlo o invidiarlo. Sant’Ildefonso, parlando dei dolori di Maria, non temette di asserire che questi furono maggiori di tutti insieme i tormenti di tutti i martiri. E la verità di quanto detto può provarsi con molte ragioni:
1) perché tutti i martiri hanno patito nel corpo e Maria nell’anima;
2) perché, come argomenta sant’Antonino, arcivescovo di Firenze, tanto più è nobile e doloroso il martirio quanto è più nobile la vita che si dà per Dio. Avendo, dunque, Maria sacrificata la vita di suo Figlio, che era insieme la più nobile di tutte, e amata da Lei più della sua propria vita, ne segue che la corona di Maria fu maggiore di tutte, e che la rende Regina di tutti i martiri;
3) perché gli altri martiri patirono solo per il tempo in cui erano straziati dai tiranni; mentre il martirio di Maria durò per tutto il corso della sua vita;
4) perché Maria amava suo Figlio più di se stessa. Di conseguenza, furono per Lei di assai maggior pena i tormenti e la morte del Figlio, che non sarebbero stati i tormenti e la morte di se stessa, come afferma il beato Amedeo. E in fine perché, come dice Alberto Magno, Maria soffrì un dolore così grande, che bastava a darle più volte la morte; e perciò fu avvalorata da Dio con un miracolo per sostenere uno spasimo insoffribile alla vita umana. Così conclude che con tutta ragione si deve a Maria la preminenza sopra tutti i martiri: “Dunque ebbe la grazia del martirio e la corona dei martiri, e la sua corona fu più grande della corona di tutti gli altri martiri”. Ah Maria! Poiché Voi siete martire, più che martire e Regina dei martiri, siete degna altresì di esser compatita Voi sola più che tutti i martiri insieme. Quante belle corone di gloria splendono sul vostro capo, o Maria! Voi siete Regina del Cielo e della terra: e siete Regina degli Angeli e dei santi; e siete persino Regina dei martiri. Però a me pare che vi adorni in modo particolare questo doloroso diadema; sì, perché vi rende più simile a Gesù Re dei martiri; sì, perché il Sangue di un Dio Crocifisso spruzzato sul vostro manto sul Calvario, vi ha dato una porpora più bella di quanto lo sia l’ammanto di sole che avete in Cielo. Ave, dunque, Regina augusta: mi congratulo vivamente con Voi, mentre siete non meno gloriosa tra le pene, che tra i gaudi; e vi prego d’impetrarmi una cristiana costanza nelle croci di questo mondo, da riconoscermi per vostro parzialissimo suddito nel vostro impero doloroso.
Autore: Padre Liborio Siniscalchi

Chi ti vuole davvero ...........