giovedì 29 febbraio 2024

Il 29 febbraio del 0045 a.C. debutta il calendario Giuliano con il 1° anno Bisestile


isestili) è il 60º giorno del calendario gregoriano, mancano 306 giorni alla fine dell'anno. Il calendario gregoriano si applica dal 1582, anno della sua introduzione. Benché sia teoricamente possibile estenderlo anche agli anni precedenti, normalmente per questi si usa il calendario giuliano. Perciò sono bisestili tutti gli anni divisibili per 4, compresi quelli secolari, dal 4 al 1580 dell'era volgare. Per gli anni precedenti l'era volgare, invece, non ha senso applicarlo, visto che Ottaviano Augusto regolò definitivamente l'applicazione degli anni bisestili nell'8 a.C. I Romani aggiungevano il giorno in più dopo il 24 febbraio, che essi chiamavano sexto die ante Kalendas Martias (sesto giorno prima delle Calende di marzo); il giorno aggiuntivo si chiamava bis sexto die (sesto giorno ripetuto) da cui l'aggettivo "bisestile". Oggi i giorni di febbraio vengono semplicemente numerati a partire da 1, per cui normalmente si considera che il giorno aggiunto sia il 29. Per correggere questo slittamento, agli anni "normali" di 365 giorni (ogni 4 anni) si intercalano gli anni "bisestili" di 366. In questo modo si può ottenere una durata media dell'anno pari a un numero non intero di giorni.

Nella tradizione popolare l'anno bisestile sarebbe foriero di sventure, secondo il detto anno bisesto, anno funesto.
Che si può esorcizzare così: i mali nella vita sono inevitabili, tanto vale pensare che avvengano, solo! O almeno! Una volta ogni tanto e non sempre!

la vita è

 


Sai cosa sono gli Amici????


 

29 febbraio Beata Antonia di Firenze 🙏



Badessa
Firenze 1400 /29 febbraio 1472
Etimologia: Antonia = nata prima, o che fa fronte ai suoi avversari, dal greco
Antonia nacque a Firenze nel 1400. Giovane vedova, con un figlio, si oppose alla famiglia che era favorevole ad un nuovo matrimonio. Vedeva, nelle avversità della vita, un disegno singolare del Signore. Erano gli anni in cui san Bernardino da Siena, con alcuni compagni, diffondeva in molte città italiane il movimento dell'Osservanza e il ritorno di un "francescanesimo" delle origini. La maggior parte delle prediche erano fatte in piazza, le chiese non riuscivano a contenere le folle che puntualmente accorrevano. Frate Bernardino predicò in Santa Croce a Firenze dall'8 marzo al 3 maggio 1425. Antonia, ascoltandolo, rispose sì, senza condizioni, alla chiamata di Dio. Aveva conosciuto l´esperienza della vita matrimoniale, era madre, ma il Signore dava una svolta alla sua vita. Quattro anni dopo, sistemate le questioni familiari, entrò tra le terziarie francescane fondate dalla b. Angiolina da Marsciano, anch'essa giovane vedova. Il convento fiorentino di sant'Onofrio era il quinto che veniva fondato. Poco dopo la sua professione Antonia fu mandata, per il suo carisma, nel monastero più antico dell'Ordine, sorto a Foligno nel 1397. La fondatrice la trasferì in seguito ad Assisi, a Todi, poi definitivamente a L´Aquila, per fondare una nuova comunità. Era il 2 febbraio 1433. Il convento aquilano, posto sotto la protezione di s. Elisabetta, la ebbe come guida per quattordici anni, durante i quali diede tutta se stessa perché la comunità crescesse secondo i precetti del Vangelo. Nel cuore di Antonia maturava però il desiderio di una vita maggiormente contemplativa. Motivo di pena fu, per diversi anni, la vita disordinata del figlio, che aveva sperperato il patrimonio, causando litigi tra i parenti. Al movimento dell'Osservanza aderirono diverse comunità di clarisse e a L´Aquila fu san Giovanni da Capestrano a guidare la riforma. Antonia fu tra le prime che vi aderì. Il santo trovò l'edificio per il monastero, presenziando alla solenne fondazione del 16 luglio 1447. Il corteo, partendo da Collemaggio, accompagnò Antonia, eletta badessa per volontà del Capestrano, e le tredici compagne al monastero dell'Eucaristia (o del Corpus Domini). Si cominciò nelle ristrettezze più assolute, mancava anche lo stretto necessario, e Antonia non esitò a farsi questuante. La povertà era vissuta con letizia evangelica, l'esempio della Madre era forte e materno e il clima sinceramente fraterno. I frutti furono abbondanti e molte giovani chiesero di vestire l'abito e di consacrarsi al Signore. Anche per il figlio di Antonia, Battista, s. Giovanni ebbe un ruolo determinante. Il giovane vestì il saio francescano nel convento di Campli, conducendo una vita esemplare. Trascorsi sette anni, Antonia finalmente ottenne di potersi dedicare esclusivamente alla contemplazione e al silenzio. "Taceva ma la sua fama gridava", come si disse di S. Chiara. Era modesta ed obbediente, in mensa e in coro stava all'ultimo posto, indossava le vesti più logore, lasciate dalle consorelle. Alcune monache la videro rapita in estasi, con una aureola luminosa sul capo. Negli ultimi anni ebbe una piaga alla gamba che tenne nascosta. La Beata morì alle 21 del 29 febbraio 1472, vegliata con amore dalle sorelle. Alcuni miracoli si verificarono prima ancora che venisse sepolta. Una monaca si distese al suo fianco e guarì da alcune piaghe. I magistrati della città vollero sostenere le spese del funerale. Quindici giorni dopo la sepoltura, le consorelle, volendo ancora vedere le sue sembianze, la disseppellirono, trovandola come se fosse appena morta. Si diffuse la voce in città e il vescovo Agnifili ordinò che fosse sepolta in un luogo distinto. Nel 1477 il vescovo Borgio, dopo una nuova ricognizione, constatato lo stato di perfetta conservazione del corpo di Madre Antonia e, soprattutto, ben conoscendone la fama di santità, ne autorizzò il culto che fu poi confermato il 28 luglio 1848. Le clarisse di Paganica, custodi del suo corpo, sono oggi fedeli testimoni del suo carisma.

mercoledì 28 febbraio 2024

28 febbraio Beato Daniele Alessio Brottier



Sacerdote
La Ferté-Saint-Cyr, Blois, Francia, 7 settembre 1876 - Parigi, 28 febbraio 1936
A volte il Signore rende così ardua la strada intrapresa da alcune anime, convinte di fare la Sua volontà, che esse sono costrette a lasciarla, nonostante la propria predisposizione e diventare poi un gigante in altri campi. Così è stata la vita del beato Daniele Alessio Brottier. Fin dall’infanzia rivelò una profonda pietà e una grande devozione alla Madonna; entrò in seminario nel 1890, passò felicemente le ordinazioni minori, facendo per un anno anche il servizio militare e fu consacrato sacerdote il 22 settembre 1899 a 23 anni. Inviato come professore nel Collegio ecclesiastico di Pontlevoy, sentì ben presto la sua particolare vocazione per la vita missionaria, perciò il 24 settembre 1902 entrò come novizio nella Congregazione dello Spirito Santo ad Orly presso Parigi, l’anno seguente emise i voti religiosi e partì quasi subito per il lontano Senegal, colonia francese. Poté restarci però solo tre anni circa, perché a causa di violenti e continui attacchi di emicrania che l’avevano colpito, fu costretto nel 1906 a ritornare in Francia. Rimessosi in salute, l’anno seguente volle di nuovo tornare in Senegal ma ancora una volta il male si ripresentò violento e dopo qualche tempo dovette ritornare definitivamente in Patria. Fondò in Francia l’Opera del “Souvenir Africain” con lo scopo di erigere la cattedrale a Dakar, capitale del Senegal. Da ex militare volle proporsi come cappellano dell’esercito durante la prima guerra mondiale e dal 1914 al 1917 si prodigò eroicamente nell’assistenza dei soldati sui campi cruenti di battaglie come Verdun, Fiandre, Lorena, incurante del pericolo. Dopo la guerra fondò l’Unione Nazionale Combattenti, fu direttore dell’Opera degli orfani apprendisti di Autenil per 12 anni e di cui ne incrementò il numero e l’efficienza, nel 1960 vi erano più di 2000 orfani e 20 istituti. Morì logorato dalle fatiche. E’ stato beatificato il 25 novembre 1984 da papa Giovanni Paolo II.

Autore: Antonio Borrelli 

martedì 27 febbraio 2024

PREGHIERA A SANT’AGNESE

 


O ammirabile Sant'Agnese,
quale grande esultanza provasti
quando alla tenerissima età di tredici anni,

condannata da Aspasio ad essere bruciata viva,
vedesti le fiamme dividersi intorno a te,
lasciarti illesa ed avventarsi invece
contro quelli che desideravano la tua morte!

Per la grande gioia spirituale con cui ricevesti il colpo estremo,
esortando tu stessa il carnefice a conficcarti nel petto
la spada che doveva compiere il tuo sacrificio,
ottieni a tutti noi la grazia di sostenere
con edificante serenità tutte le persecuzioni

e le croci con cui il Signore volesse provarci
e di crescere sempre più nell'amore a Dio
per suggellare con la morte dei giusti

una vita di mortificazione e sacrificio.
Amen.

Gabriele



Gabriele 
è un 
nome proprio di persona italiano maschile.
In 
tedesco, il nome è invece usato al femminile.

Deriva dal nome ebraico גַבְרִיאֵל (Gavri'el), composto da gebher (o gheber, "uomo", a sua volta derivante da gabhar o gabar, "essere forte") combinato con El ("Dio"): può quindi significare "uomo di Dio", "uomo forte di Dio", "forza di Dio", "fortezza di Dio", "Dio è stato forte" e via dicendo; alcuni di questi significati sono analoghi a quello del nome Othniel.

È un nome di tradizione biblica, portato da uno degli arcangeliGabriele, grazie al quale il nome si è inizialmente diffuso; egli è presente sia nell'Antico Testamento (dove appare a Daniele sia nel Nuovo Testamento, nel quale annuncia la nascita di Giovanni e Gesù rispettivamente a Zaccaria  e a Maria ; è presente anche nella tradizione islamica, dove è colui che detta il Corano a Maometto e fa da tramite fra lui e AllahIl nome ha ampia diffusione tra i nuovi nati in Italia: dall'undicesimo posto tra i preferiti nel 2004, è salito al nono nel 2006 fino ad arrivare al sesto nel 2007, 2008 e 2009. È invece recente il suo uso in Inghilterra: sebbene vi fosse diffuso già dal XII secolo, solo dal XX secolo ha acquisito una diffusione degna di nota

Varianti in altre lingue

27 febbraio Sant' Anna Line


Martire
† Londra, Inghilterra, 27 febbraio 1601
Canonizzata il 25 ottobre 1970 da Papa Paolo VI.
Seconda figlia di Guglielmo (o Giovanni) Heigham e di Anna Alien, Anna nacque a Dunmow, nella contea di Essex. Convertitasi al cattolicesimo insieme col fratello Guglielmo, fu con questo disere­data e scacciata di casa dal padre, fiero calvinista, che inutilmente aveva anche tentato di farla apo­statare. Poco dopo Anna sposò Ruggero Line, anche egli cattolico convertito, che per la fede aveva subito la stessa sorte della moglie. Ma ben presto rimase sola e senza risorse perché il marito, arre­stato nel 1586, mentre stava ascoltando la s. Messa, e condannato all'ergastolo, mutato poi in esilio per­petuo, andò a stabilirsi nelle Fiandre, dove visse ancora otto anni poveramente, percependo una pic­cola pensione concessagli dal re di Spagna e di cui inviava parte alla moglie a Londra. Rimasta vedova nel 1594 e molto malandata in salute, Anna più che mai si trovò afflitta dal bisogno, dovendo fidare unicamente nella divina Provvi­denza per il suo sostentamento. Quando nel 1595 il gesuita Giovanni Gerard istituì in Londra una casa di ricovero per i sacerdoti che giungevano nuovi nella città, o che già vi eser­citavano il ministero, Anna fu chiamata a governarla ed amministrarla, mansioni queste che ella svolse giorno per giorno con l'affetto di una madre e la devozione di un'ancella, finché cadde in sospetto dei persecutori, specie dopo la fuga del Gerard dalle prigioni della Torre nel 1597. Costretta per questo a cambiare residenza, andò ad abitare in una casa molto appartata, dove nondimeno, per la delazione di un vicino, venne catturata il 2 febb. 1601 da un manipolo di armati e rinchiusa nelle prigioni di Newgate. Trascinata poco dopo in tribunale, dove fu necessario condurla su una sedia, talmente gravi erano le sue condizioni di salute, venne processata dal giudice Popham, sotto l'imputazione di aver dato rifugio ed assistenza ai preti missionari. Dichia­rata colpevole del reato ascrittole da una giuria com­piacente, fu condannata alla pena capitale, venendo giustiziata al Tyburn il 27 febb. 1601, insieme con il gesuita Ruggero Filcock, suo confessore ed amico, e col benedettino Marco Barkworth. Prima di porgere la testa al capestro, dichiarò ad alta voce rivolta alla folla circostante: « Sono stata condan­nata per aver concesso ospitalità ad un prete catto­lico; eppure sono cosi lontana dal pentirmene che vorrei di tutto cuore averne ospitato un migliaio, invece di uno solo ». Innalzata da Pio XI all'onore degli altari, il 15 dic. 1929 la beata Anna viene commemorata il 27 febbraio.
Autore: Niccolò Del Re

domenica 25 febbraio 2024

Sii il.........


 

25 febbraio Beata Maria Ludovica (Antonina) De Angelis




Missionaria
Antonina De Angelis, questo il suo nome da laica, nacque il 24 ottobre 1880 a San Gregorio in provincia de L’Aquila; primogenita degli otto figli di Ludovico De Angelis e Santa Colaianni, umili e religiosi contadini, i quali seppero infondere nei numerosi figli, i principi del cristianesimo. Come primogenita Antonina fin da bambina aiutò la madre nell’accudire i suoi fratelli, divenendone così balia, maestra e modello, in pratica una seconda madre. Per questi impegni non riuscì a frequentare con assiduità la scuola, ciò nonostante imparò a leggere e scrivere recandosi a casa di una maestra; sia in famiglia sia in chiesa, imparò il catechismo che non smise mai d’insegnare; altro amore che portò sempre con sé, fu la dedizione ai lavori nei campi; già adolescente aiutava il padre nei lavori agricoli e nella vendita dei prodotti. Nel contempo cresceva robusta e carina e pretendenti al matrimonio non mancarono, anche se Antonina li rifiutò sistematicamente; nel suo animo c’era un’inquietudine, perché avvertiva il desiderio di farsi religiosa, la madre si opponeva perché suo desiderio era di vederla sposata e avere tanti nipoti. Antonina parlò di ciò con il parroco che la guidò e l’aiutò in tutto, tanto da farle conoscere le Suore della Misericordia, e le fornì anche la dote. Il 14 novembre del 1904 entrò come postulante nel noviziato delle Suore della Misericordia, fondate da s. Maria Giuseppa Rossello (1811-1880), nella Casa madre di Savona; nell’anno successivo, con il nome di Maria Ludovica fece la sua prima professione il 3 maggio 1905, ricevendo il mandato missionario. Il 14 novembre 1907 s’imbarcò a Genova per l’Argentina insieme a tanti emigranti, raggiunse Buenos Aires e si soffermò con le consorelle già in missione in quella città fin dopo il Natale, poi si trasferì a La Plata nel piccolo Ospedale de Ninos che consisteva a quel tempo in due sale in legno circondate da una recinzione di filo spinato. Venne assegnata in cucina e nella dispensa, ovviamente per la sua scarsa istruzione non poteva essere né infermiera né maestra; ma s’impegnò a gestire il suo compito in modo così perfetto che fu proposta come amministratrice, carica che mantenne fino ai suoi ultimi giorni. E l’amministrazione dell’Ospedale sarà il campo della sua santificazione, non un chiostro silenzioso, ma il contatto giornaliero con fornitori, nel controllo delle merci, nel disporre il cibo per i bambini ammalati, nel controllare le pulizie, nell’evitare sprechi, nell’incoraggiare il personale dell’Ospedale a svolgere i loro compiti con responsabilità e sollecitudine. In definitiva mettere in pratica, lei quasi analfabeta, le tre caratteristiche principali di ogni buon amministratore: Vedere, prevedere, provvedere. Madre Ludovica lottò per ampliare l’Ospedale, dotandolo di attrezzature moderne e di personale qualificato, stimolando il contributo di tanti benefattori. L’Ospedale per Bambini di La Plata su disposizione del Ministro della Sanità argentino è oggi intitolato “Superiora suor Maria Ludovica”. Fondò inoltre il sanatorio di Punta Magotes a Mar del Plata per assistere i bambini affetti da tubercolosi e dalle malattie respiratorie; desiderando che ai bambini non mancasse nulla, con l’aiuto della Provvidenza acquistò alcuni ettari di terreno a City Bell, costruendo una fattoria e istituendo un centro di produzione di prodotti freschi per i bambini, frutta, verdure, latte, farinacei; compreso un centro di spiritualità con chiesa e parrocchia, catechesi, missioni popolari. Si occupò dei bambini orfani e abbandonati, allevandoli e educandoli, trasformando l’ospedale in un focolare e in una scuola. Come molti santi, suor Ludovica sperimentò ‘la croce’ di Gesù nel corpo e nello spirito, afflitta da malattie, angosciata da incomprensioni e calunnie, fece fronte a ciò con il silenzio, il perdono e la preghiera. Soffrì per molti anni dei postumi di una malattia renale acuta, che nel 1935 le causò l’asportazione di un rene, ipertensione alta e edemi polmonari; l’insonnia l’accompagnò per buona parte della sua vita, occupava quelle ore notturne con la preghiera e con il cucire abiti liturgici per le varie cappelle, oppure girando per le sale di degenza a controllare i piccoli pazienti. All’inizio del 1962 si manifestò un tumore all’addome; accettò con profonda pace la volontà di Dio, dicendo spesso: “Dio lo vuole! Lui sa quello che fa! Sia fatta la Sua volontà!”. Il 25 febbraio 1962 morì a La Plata nell’Ospedale dei Bambini, circondata dall’affetto e dalla riconoscenza della popolazione. Il suo motto più incisivo fu: “Fare del bene a tutti, non importa a chi”; aveva guidato con energia e amore l’Ospedale per 54 anni. Papa Giovanni Paolo II l’ha beatificata il 3 ottobre 2004 in Piazza S. Pietro a Roma.
Autore: Antonio Borrelli


Carlo Goldoni

(Venezia, 25 febbraio 1707 – Parigi, 6 febbraio 1793)
è stato un drammaturgo, scrittore e librettista italiano.

Goldoni è considerato uno dei padri della commedia italiana, come recita una targa affissa su Palazzo Poli, a Chioggia, città nella quale visse per qualche tempo e nella quale ambientò una delle sue opere più conosciute: Le baruffe chiozzotte. Annoverato tra le così dette "quattro coroncine", con Giovanni Meli, Carlo Porta, Giuseppe Gioachino Belli (da affiancare alle "tre corone" di Dante, Petrarca e Boccaccio), Carlo Goldoni è stato autore anche di numerosissimi libretti di opera lirica. Nacque a Venezia il 25 febbraio 1707, da una famiglia borghese di origini modenesi (città da cui provenivano i nonni paterni). Trovatosi in difficoltà finanziarie in seguito agli sperperi del nonno paterno Carlo, il padre Giulio si trasferì a Roma, lasciandolo con la madre Margherita Salvioni .Intrapresa la carriera di medico, il padre lo chiamò presso di sé, a Perugia. Si trasferì quindi a Rimini, per studiare filosofia, ma abbandonò lo studio, sia per nostalgia della madre, sia per seguire una compagnia di comici di Chioggia. Ebbe così inizio un periodo piuttosto avventuroso della sua vita, seguendo prima il padre nel Friuli, poi riprendendo gli studi a Modena ed elaborò le prime opere comiche, ancora in forma dilettantesca (Feltre, Il buon padre e La cantatrice). La passione per il teatro caratterizzò la sua inquieta esistenza. Con l'improvvisa morte del padre nel 1731, si dovette prendere carico della famiglia; tornato a Venezia, tentò inizialmente di completare gli studi presso il collegio Ghislieri di Pavia: venne tuttavia espulso, a causa di alcuni versi poco encomiastici scritti per alcune fanciulle per bene della città. Completò quindi gli studi a Padova, ed intraprese la carriera forense. Nel 1734 incontrò a Verona il capocomico Giuseppe Imer e con lui tornò a Venezia dopo aver ottenuto l'incarico di scrivere testi per il teatro San Samuele, di proprietà Grimani. Seguendo a Genova la compagnia Imer, conobbe e sposò Nicoletta Conio. Con lei Goldoni tornò a Venezia.Nel 1738 Goldoni diede al teatro San Samuele la sua prima vera commedia, il Momolo cortesan, con la parte del protagonista interamente scritta. A Venezia, dopo la stesura della sua prima commedia interamente scritta, La donna di garbo (1742-43), fu costretto a fuggire a causa dei debiti. Continuò a lavorare nel teatro durante la guerra di successione austriaca curando gli spettacoli di Rimini occupata dagli Austriaci; poi soggiornò in Toscana. Goldoni non aveva abbandonato i contatti con il mondo teatrale: fu convinto dal capocomico Girolamo Medebach a sottoscrivere un contratto come scrittore per la propria compagnia che recitava a Venezia al teatro Sant'Angelo. Nel 1748 torna a Venezia e fino al 1753 scrive per la compagnia Medebach una serie di commedie, in cui, distaccandosi dai modelli della commedia dell'arte, realizza i principi di una "riforma" del teatro. A questo periodo appartengono L'uomo prudente, La vedova scaltra e tante altre. Realizza inoltre altre sedici commedie, tra cui Il teatro comico, Il bugiardo, e ancora, fino a La locandiera e a Le donne curiose. Dopo aver rotto con il Medebach, Goldoni assume un nuovo impegno nel 1753 con il teatro San Luca, di proprietà Vendramin. Comincia quindi un periodo travagliato in cui Goldoni scrive varie tragicommedie e commedie. Fra le tragicommedie ebbe un gran successo la Trilogia persiana; tra le commedie si possono ricordare La cameriera brillante, ed il capolavoro Il campiello. Goldoni era ormai una celebrità nazionale. Tornato a Venezia, ebbe dei grandi risultati artistici con Gl'innamorati, commedia in italiano e in prosa, con I rusteghi, in veneziano e in prosa e con La casa nova e La buona madre. Nel 1761 Goldoni fu invitato a recarsi a Parigi per occuparsi della Comédie Italienne. Vitale fu l'ultima stagione per il Teatro San Luca, prima della partenza, ove produsse La trilogia della villeggiatura, Sior Todero brontolon, Le baruffe chiozzotte e Una delle ultime sere di carnovale. Giunto a Parigi nel 1762, Goldoni aderì subito alla politica francese, dovendo anche affrontare varie difficoltà a causa dello scarso spazio concesso alla Commedia Italiana e per le richieste del pubblico francese, che identificava il teatro italiano con quella commedia dell'arte da cui Goldoni si era tanto allontanato. Goldoni riprese una battaglia di riforma: la sua produzione presentava testi destinati alle scene parigine e a quelle veneziane. Goldoni insegnò l'italiano alla famiglia reale, alle figlie del re di Francia Luigi XV a Versailles e nel 1769 ebbe una pensione di corte. Tra il 1784 e l'87 scrisse in francese la sua autobiografia, Mémoires. La rivoluzione francese sconvolse la sua vita e, con la soppressione delle pensioni di corte, morì in miseria il 6 febbraio 1793, 19 giorni prima di compiere 86 anni. Le sue ossa sono andate disperse.


Acrostico di FAMIGLIA



FAMIGLIA
F elice
A mbiente
M atrimoniale
I mpreziosito
G iornalmente
L avorandoci
I nsieme
A morevolmente
Lucia🐞

sabato 24 febbraio 2024

Vittorio Gassman, (appunto su foglietto volante)



Sempre ti chiamo
quando tocco il fondo, so il numero a memoria
e ti disturbo come un maniaco
abbarbicato al telefono;
lascio un messaggio se sei fuori.
So che a volte cancelli
a qualche fortunato
il debito che tutti con te abbiamo.
La bolletta falla pagare a me,
ma dimmi almeno
che non farai tagliare la mia linea.
Ti prego, quando echeggerà
quell'ultimo e dolorante squillo,
Dio-per-Dio!
non staccare: rispondimi!🙏

Saro Urzì


(Catania, 24 febbraio 1913 – San Giuseppe Vesuviano, 1º novembre 1979),

è stato un attore italiano.
Lasciata la Sicilia in cerca di fortuna, e dopo aver svolto in gioventù varie attività, approda a Roma dove comincia a lavorare nel cinema, dapprima come comparsa, controfigura e acrobata e poi come attore in particine marginali di diversi film degli anni trenta e quaranta, affinando il suo personaggio di caratterista siciliano, talvolta sanguigno e collerico, ma dotato di una grande carica umana. Di questo periodo ricordiamo Campo de' fiori (1943) di Mario Bonnard, La freccia nel fianco (1944) di Alberto Lattuada ed Emigrantes (1948) di Aldo Fabrizi. Nel 1948 Saro Urzì fu notato dal regista genovese Pietro Germi, e viene scelto per interpretare il personaggio del maresciallo nel film In nome della legge, e sul set si crea tra il regista e l'attore un'intesa che porterà Urzì ad essere presente in molte delle pellicole girate da lui, in cui sosterrà ruoli sempre più importanti, fino ad interpretare in Sedotta e abbandonata il personaggio del collerico e autoritario patriarca don Vincenzo Ascalone. La sua interpretazione nel film In nome della legge gli consente di vincere il Nastro d'argento nel 1949 quale miglior attore non protagonista. Successivamente il suo ruolo nel film Sedotta e abbandonata gli frutta il premio come migliore attore al Festival del Cinema di Cannes del 1964, nonché un secondo Nastro d'argento nel 1965. Negli anni sessanta e settanta presta il suo volto e le sue inconfondibili caratterizzazioni in numerosi film, lavorando con i maggiori registi italiani del tempo, come Nanni Loy, Luigi Comencini, Alessandro Blasetti, Carlo Lizzani. Interpretando il personaggio del Brusco, braccio destro di Peppone, ha inoltre preso parte a tutti i cinque film della saga di Don Camillo tratti dai racconti di Giovannino Guareschi, con Gino Cervi e Fernandel. Ha lavorato anche con registi stranieri, quali Joseph Losey e Claude Chabrol ed è apparso nel film Il padrino del 1972, diretto da Francis Ford Coppola e tratto dall'omonimo romanzo di Mario Puzo, nonché nella parodia dello stesso film Il figlioccio del padrino, girato nel 1973 da Mariano Laurenti, al fianco di Franco Franchi. Oltre alle sue numerose apparizioni nel cinema, Saro Urzì ha anche preso parte a programmi televisivi. Nel 1968 apparve nella commedia Johnny Belinda, diretta da Piero Schivazappa.

venerdì 23 febbraio 2024

Gli amici di provata fiducia



Gli amici di provata fiducia tienili attaccati alla tua anima ma non sciuparti la mano a forza di stringerla a ogni compagno.

Offri il tuo orecchio a tutti,
ma a pochi la tua voce.
E soprattutto: sii sincero con te stesso,
e, come la notte segue il giorno,
non potrai essere falso con nessuno..".
Lucia🐞
Frasi estrapolate da una poesia di William Shakespeare.

Stefania Rotolo



(Roma, 23 febbraio 1951 – 31 luglio 1981)
è stata una cantante, conduttrice televisiva e showgirl italiana.

La sua carriera ha avuto inizio come ballerina, aiutata dalla madre, Martha Matoussek, una danzatrice austriaca giunta in Italia per entrare nel corpo di ballo delle Bluebelle, che si esibiva negli show di Erminio Macario. Nel 1964, entra a far parte dei Collettoni di Rita Pavone, nei quali già spiccavano artisti ancora sconosciuti, come Loredana Bertè e Renato Zero (suoi amici cari). Successivamente insieme a loro e ad altri, diventa una delle protagoniste della famosa discoteca romana Piper, dalla quale uscirono famosissimi artisti. Qualche anno dopo verrà notata da Franco Estill, che le propone di unirsi alla sua compagnia di danza, partendo per un tour in Messico. La permanenza dovuta al tour, doveva limitarsi a qualche mese, ma nel frattempo, conobbe l'amore della sua vita, un sassofonista brasiliano, Tyrone Harris. Decide così di seguirlo e di convivere presso Rio de Janeiro, dove allo stesso tempo perfezionò le sue doti di ballerina alla nota escola de samba di Joao Gilberto. Nel 1972 dalla relazione con il sassofonista, nacque Federica, che per motivi non del tutto chiari, il padre non volle riconoscere come figlia. Nel 1975, viene ingaggiata come attrazione nel Cantagiro. Prende parte successivamente, come ballerina nello spettacolo teatrale Felicibumta di Garinei e Giovannini con Gino Bramieri. Intanto nel, partecipa al film La mafia mi fa un baffo di Riccardo Garrone. E, successivamente, il suo debutto televisivo avviene come ospite di un recital di Charles Aznavour col quale duettò dando prova delle sue doti canore. Stefania si era a questo punto legata sentimentalmente a Marcello Mancini, giornalista ed autore televisivo. Allo stesso Mancini venne affidata l'ideazione di un nuovo programma televisivo. In quegli anni, la televisione di Stato era spesso monotona, e vi era il bisogno di ideare qualcosa di nuovo per soddisfare le esigenze dei giovani che rivendicavano uno spazio tutto per loro. Ottenuto un contratto con la Rai si distinse come una delle maggiori protagoniste della scena televisiva di fine anni settanta, conducendo alcuni programmi destinati prevalentemente al pubblico giovanile. Tale programma fu Piccolo Slam nel 1977, in onda sulla Rete Uno, oggi attuale Rai Uno. La conduzione di questo programma venne affidata a Stefania Rotolo e Sammy Barbot, ballerino, cantante e dj di origine caraibica. Entrambi incisero anche la sigla del programma dal titolo omonimo. La trasmissione ebbe un forte successo tanto che vennero raddoppiate le dodici puntate inizialmente previste, poi ne venne programmata una seconda stagione, nella quale venne incisa una nuova sigla dal titolo Go che si rivelò uno dei maggiori successi di Stefania. Sempre nel 1977, venne pubblicato un 33 giri denominato Uragano slam che contiene diverse cover. Inoltre, la sigla tv Go vinse il Telegatto come migliore Sigla Tv, e, il Premio Popolarità di Radio Montecarlo. Alla fine del programma Stefania intraprende un tour dal titolo Uragano slam, che ebbe un elevato successo e dal quale le venne affidato il soprannome di Ragazza uragano. La Rotolo venne poi ingaggiata in autunno da Enzo Trapani per il suo spettacolo Non stop. Incide anche la sigla, dal titolo Spaccatutto. La consacrazione definitiva della showgirl avvenne tuttavia con un'altra trasmissione serale di grande successo, Tilt condotta sulla Rai nel 1979 e diretta dal regista spagnolo Valerio Lazarov. Al suo fianco, il comico Gianfranco D'Angelo. La trasmissione si rivolgeva ad una fascia d'ascolto varia; oltre alle atmosfere dance per i giovani era previsto uno spazio dedicato ai bambini, quello della Baby music, dove Stefania ballava sulle note delle sigle dei cartoni animati più in voga del periodo, accompagnata da Enzo Paolo Turchi. Uno dei brani di questo periodo, che ebbe un notevole successo fu Marameo. La sigla finale di Tilt fu Cocktail d'amore composta da Cristiano Malgioglio che diventò il suo più grande successo discografico e che la pose all'attenzione della critica. Dal 1980 l'artista iniziò ad accusare i sintomi di un tumore uterino molto serio, in seguito alla quale dovette subire un intervento chirurgico che la tenne lontana dalla tv. Dopo la malattia partecipò ad un concerto che si tenne a Bussoladomani presso Viareggio dove in coppia con Renato Zero propose Cocktail d'amore. La malattia, la costrinse ad un forzato riposo. Proprio durante il riposo, la Rai le propose di interpretare la parte di Peter Pan in un musical al fianco di Vittorio Gassman che la rese felicissima. Il tumore era però giunto a uno stadio molto avanzato e non le lasciò scampo. Mentre era ricoverata a Villa Verde, succursale della clinica ginecologica dell'ospedale romano San Filippo Neri, fu colta da una grave crisi. Stefania Rotolo morì la mattina di venerdì 31 luglio 1981 lasciando sgomenti i suoi moltissimi ammiratori di tutte le età, così affezionati al suo sorriso e alla sua gioia di vivere. Il suo corpo è stato tumulato a Roma nel Cimitero di Prima Porta. Dal 1984, le è stato intitolato Il premio Stefania Rotolo, che viene assegnato ai più prestigiosi ballerini. Dopo la dolorosa morte di Stefania, nel 1981, il suo più grande amico, Renato Zero, le dedicò un brano, scritto dallo stesso Zero insieme a Marcello Mancini, dal titolo Ciao Stefania


mercoledì 21 febbraio 2024

Buonanotte


 

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Margherita Bagni

(Torino, 21 febbraio 1902 – Roma, 2 luglio 1960),
è stata un'attrice e doppiatrice italiana di teatro, cinema e televisione. Figlia degli attori Ambrogio Bagni e Ines Cristina, inizia sin da piccola a frequentare i palcoscenici per poi entrare nella Compagnia di Ermete Zacconi. Nel 1923 sposa un suo compagno di lavoro Renzo Ricci e dal matrimonio nascerà Nora Ricci, futura prima moglie di Vittorio Gassman, anche lei attrice. Nel 1925 il suo nome e quello del marito formano la prima Compagnia Ricci-Bagni, negli anni successivi lavora con Annibale Betrone poi con Elsa Merlini, Ruggero Ruggeri e Gualtiero Tumiati. Sporadiche ma significative le sue presenze nel cinema: inizia giovanissima nel 1917 con il film Gli spettri. Partecipa complessivamente ad oltre 40 pellicole, è presente sul set del sonoro sin dal 1936 (I due sergenti, Trenta secondi d'amore). La sua carriera cinematografica prosegue sino alla fine degli anni cinquanta. Celebre il cameo che la vede nel ruolo della moglie del derubato a bordo dell'autobus 57 nel film Peccato che sia una canaglia. Lavora anche in televisione essendo nel cast di alcuni storici sceneggiati, con la regia di Mario Landi, Anton Giulio Majano e Guglielmo Morandi. Frequenti infine sono i lavori per la radio RAI, in radiodrammi e commedie.

La felicità ci rende gentili.


La felicità ci rende gentili.
Le prove ci rendono forti.
I dolori ci rendono umani.
I fallimenti ci rendono umili.
Ma solo la volontà ci fa andare avanti.

Web

Ora, voi mi avete capito.!!!!!!


Ai milioni di giovani che non sanno cosa sia la fame.
Mi avete compreso.
Non si tratta di asciugare una lacrima,
e neppure d'avere un attimo di pietà:
troppo facile.
Si tratta di prendere coscienza,
di non accettare più.
Non accettare più di essere felici da soli.
Dinanzi alla miseria, alla ingiustizia, alla viltà,
non rinunciate mai. Lottate.
Voi, che siete il domani, esigete la felicità per gli altri;
costruite la felicità degli altri.
Il mondo ha fame di pane e di tenerezza.
Lavoriamo!!!!
Raul Follereau

Se vai.......