Vergine e dottore della Chiesa,
patrona d'Italia
Etimologia: Caterina = donna pura, dal greco
Emblema: Anello, Giglio
Lo
si dice oggi come una scoperta: "Se è in crisi la giustizia, è in crisi
lo Stato". Ma lo diceva già nel Trecento una ragazza: "Niuno Stato si
può conservare nella legge civile in stato di grazia senza la santa
giustizia". Eccola, Caterina da Siena. Ultima dei 25 figli del
rispettato tintore Jacopo Benincasa e di sua moglie Lapa Piacenti,
figlia di un poeta. Caterina non va a scuola, non ha maestri. Accasarla
bene e presto, ecco il pensiero dei suoi, che secondo l’uso avviano
discorsi di maritaggio quando lei è sui 12 anni. E lei dice di no,
sempre, anche davanti alle rappresaglie. E la spunta. Del resto chiede
solo una stanzetta che sarà la sua “cella” di terziaria domenicana (o
Mantellata, per l’abito bianco e il mantello nero).La stanzetta si fa
cenacolo di artisti e di dotti, di religiosi, di processionisti, tutti
più istruiti di lei. E tutti amabilmente pilotati da lei. Li chiameranno
“Caterinati”. Lei impara faticosamente a leggere, e più tardi anche a
scrivere, ma la maggior parte dei suoi messaggi è dettata. Con essi lei
parla a papi e re, a cuoiai e generali, a donne di casa e a regine.
Anche ai detenuti, che da lei non sentono una parola di biasimo per il
male commesso. No, Caterina è quella della gioia e della fiducia:
accosta le loro sofferenze a quelle di Gesù innocente e li vuole come
lui: "Vedete come è dolcemente armato questo cavaliero!". Nel
vitalissimo e drammatico Trecento, tra guerra e peste, l’Italia e Siena
possono contare su Caterina, come ci contano i colpiti da tutte le
sventure, e i condannati a morte: ad esempio, quel perugino, Nicolò di
Tuldo, selvaggiamente disperato, che lei trasforma prima del supplizio:
"Egli giunse come uno agnello mansueto, e vedendomi, cominciò a ridere; e
volse ch’io gli facessi il segno della croce".Va ad Avignone,
ambasciatrice dei fiorentini per una non riuscita missione di pace
presso papa Gregorio XI. Ma dà al Pontefice la spinta per il ritorno a
Roma, nel 1377. Parla chiaro ai vertici della Chiesa. A Pietro,
cardinale di Ostia, scrive: "Vi dissi che desideravo vedervi uomo virile
e non timoroso e fate vedere al Santo Padre più la perdizione
dell’anime che quella delle città; perocché Dio chiede l’anime più che
le città". C’è pure chi la cerca per ammazzarla, a Firenze, trovandola
con un gruppo di amici. E lei precipitosamente si presenta: "Caterina
sono io! Uccidi me, e lascia in pace loro!". Porge il collo, e quello va
via sconfitto. Deve poi recarsi a Roma, chiamata da papa Urbano VI dopo
la ribellione di una parte dei cardinali che dà inizio allo scisma di
Occidente. Ma qui si ammala e muore, a soli 33 anni. Sarà canonizzata
nel 1461 dal papa senese Pio II. Nel 1939 Pio XII la dichiarerà patrona
d’Italia con Francesco d’Assisi. E nel 1970 avrà da Paolo VI il titolo
di dottore della Chiesa.La festa delle stigmate di S. Caterina è, per il
solo ordine domenicano, il 1° aprile.
Autore: Domenico Agasso
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