giovedì 12 ottobre 2017

Gioachino Belli




Giuseppe Francesco Antonio Maria Gioachino Raimondo Belli
(Roma, 7 settembre 1791Roma, 21 dicembre 1863)
è stato un poeta italiano.
Nei suoi 2279 Sonetti romaneschi, composti in vernacolo romanesco raccolse la voce del popolo della Roma del XIX secolo.
Nacque nella famiglia benestante di Luigia Mazio e di Gaudenzio Belli. La famiglia ebbe altri tre figli: uno morto ancora in fasce, Carlo, morto a 18 anni, Flaminia, che si fece suora nel 1827. Nel 1798 i francesi occuparono Roma e i Belli si rifugiarono a Napoli. Ristabilito il potere pontificio, tornarono a Roma, poi nel 1800 si stabilirono a Civitavecchia, dove Gaudenzio Belli aveva ottenuto un impiego ben retribuito al porto. Morì nel 1802 in un'epidemia di tifo petecchiale,lasciando in gravi difficoltà economiche la famiglia, che tornò a Roma. La madre si risposò nel 1806, ma morì l'anno dopo, e dei figli si presero cura gli zii paterni. Giuseppe Gioachino dovette interrompere gli studi per impiegarsi in brevi e mal retribuiti lavori di computista, impartendo anche qualche lezione privata. Ottenne salario e alloggio nel 1812 presso il principe Stanislao Poniatowsky. Fu licenziato l'anno dopo per contrasti, si ipotizza, con Cassandra Luci, l'amante (e, successivamente, moglie) del principe. Giuseppe G. aveva intanto cominciato le prime prove poetiche e letterarie. Nel 1805 aveva scritto le ottave La Campagna, un componimento scolastico sulla bellezza della natura, l'anno dopo una Dissertazione intorno la natura e utilità delle voci, poco più di un sunto del Saggio sull'origine delle conoscenze umane di Condillac, laddove si tratta del linguaggio quale elemento espressivo di mediazione tra la sensazione e il pensiero. Altri suoi scritti su alcuni fenomeni naturali, pur privi di importanza scientifica, danno testimonianza della sua curiosità e del suo spirito di osservazione. Nel 1807 scrisse le Lamentazioni, poemetto di nove canti in versi sciolti, con atmosfere notturne, la Battaglia celtica, entrambe a imitazione del Cesarotti, allora in gran voga, e La Morte della Morte, del 1810, è un poemetto scherzoso in ottave, scritto a imitazione del Berni. Nel 1812 Belli entrò con il nome Tirteo Lacedemonio nell'«Accademia degli Elleni», istituto filo-francese fondato nel 1805. Nel 1813 una scissione portò alla fondazione dell'«Accademia Tiberina», alla quale passò Belli. La nuova Accademia comprendeva gli oppositori dell'Impero, liberali e clericali, ed ebbe tra i membri Mauro Cappellari, futuro papa Gregorio XVI, e il principe Metternich. Quello è anche l'anno delle opere seguenti:
  • poemetto di due canti in terzine, d'imitazione del Monti, Il convito di Baldassare ultimo re degli Assirj,
  • Il Diluvio universale,
  • L'Eccidio di Gerusalemme,
  • La sconfitta de' Madianiti,
  • Salmi tradotti in versi sciolti,
  • sonetti dedicati all'amico Francesco Spada.
Nel 1815 si volse al teatro e scrisse le farse I finti commedianti e Il tutor pittore, e I fratelli alla prova, traduzione di un dramma di Benoît Pelletier-Volméranges. Nel 1816 pubblicò in terzine La Pestilenza stata in Firenze l'anno di nostra salute MCCCXLVIII e nel 1817 A Filippo Pistrucci Romano. Il 1818 entrò nell'«Accademia dell'Arcadia» con il nome Linarco Dirceo. Il 12 settembre 1816 il Belli, che aveva appena ottenuto un impiego all'Ufficio del Registro, e Maria Conti (1780-1837), vedova benestante, proprietaria di terre in Umbria, si sposarono e si stabilirono in casa Conti a Palazzo Poli, presso la fontana di Trevi. Libero da assilli economici, il Belli poté iniziare una serie di viaggi che lo portarono a visitare Venezia, Napoli, Firenze e, fondamentale per il suo sviluppo artistico, Milano, che visitò nell'agosto del 1827 - dopo aver dato le dimissioni dal suo impiego statale - e vi si trattenne a lungo, ospite di un amico, l'architetto Giacomo Moraglia. A Milano, dove tornò nel 1828 e nel 1829, conobbe le opere di Carlo Porta e comprese la dignità del dialetto e la forza satirica che il realismo popolare era capace di esprimere. Dell'Accademia dell'Arcadia fu segretario, dal 1850 presidente. In questa veste fu responsabile della censura artistica e come tale si trovò a vietare le opere di William Shakespeare. Morì a causa di un colpo apoplettico e fu sepolto al Verano (Roma). Nel testamento aveva disposto che le sue opere venissero bruciate, ma il figlio non lo fece, consentendo così che fossero conosciute da tutti e per sempre. Il pronipote e artista, Guglielmo Janni, ne racconterà vita e opere in un opus dattiloscritto di 10 volumi

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