Dalla nostra grezza opacità,
onda scialbata, minore, traspare
come può, almeno una volta e sempre,
il viso amato, rassegnato
alla mineralità della sua morte di rosa,
e neppure lo nomino perché
parente è all’angelo povero
e neppure tu lo leggi fra le righe
questo sonno di giada
perché oscuro è l’evento del morire
alla propria sopravvivenza irritata.
Così resta oscurissimo fiore
inerpicato su burroni celesti
e se esce da queste grate
si ferisce le mani, l’anima
Ercole Ugo D’Andrea
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