Sante Rufina e Seconda
Martiri di Roma
† Roma, 260 ca.
Etimologia: Rufina = fulva, rossiccia, dal latino
Seconda = figlia secondogenita, dal latino
Emblema: Palma
Santa
Rufina e santa Seconda sono due martiri realmente esistite in Roma,
esse sono ricordate in numerosi e sicuri documenti, come il
‘Martirologio Geronimiano’, gli ‘Itinerari’ romani, la ‘Notizia’ di
Guglielmo di Malmesbury, inoltre sono menzionate nel famoso
‘Calendario Marmoreo’ di Napoli ed infine nel ‘Martirologio Romano’
che le celebra ambedue il 10 luglio. L’antica
‘passio’ compilata verso la seconda metà del V secolo, ne colloca il
martirio ai tempi di Valeriano e Gallieno, nel 260 ca., e seguendo le
narrazioni agiografiche di altre ‘passio’ di celebri coppie di martiri
romani, le due sante sono presentate come sorelle e fidanzate con due
giovani cristiani. A seguito
delle ricorrenti persecuzioni contro i cristiani, i due fidanzati
apostatarono e quindi le due ragazze si votarono alla verginità. Ma i
due giovani non vollero rinunciare a loro e quindi cercarono di
indurle ad apostatare per proseguire il loro fidanzamento; ma di
fronte ai dinieghi di Seconda e Rufina, le denunciarono al conte
Archesilao, il quale le raggiunse al XIV miglio della Flaminia, mentre
nel tentativo di sfuggire ai persecutori, si allontanavano da Roma, e
le consegnò al prefetto Giunio Donato, che da antichi documenti risulta
essere ‘praefectus urbis’ nel 257. Come
per tanti martiri di quell’epoca, le due sorelle furono sottoposte a
pressioni, interrogatori e proposte di apostatare e di matrimonio, ma
di fronte alla loro resistenza e rifiuto, al prefetto non restò altro
che ordinarne la morte. Allora
Archesilao le condusse al X miglio della via Cornelia in un fondo
chiamato Buxo (oggi Boccea) dove Rufina venne decapitata, mentre
Seconda fu bastonata a morte. Il celebre quadro del XVII secolo,
dipinto da tre celebri pittori e custodito a Milano nella Pinacoteca
di Brera, raffigura la crudele scena del martirio e resta una delle più
significative opere artistiche che le raffigura. I
corpi come d’uso, vennero abbandonati in pasto alle bestie, ma una
certa matrona romana di nome Plautilla ne raccolse i corpi, dopo che le
martiri in sogno le avevano indicato il luogo del martirio e
invitandola a convertirsi; Plautilla le seppellì nello stesso luogo. La
selva luogo del martirio, che era denominata ‘nigra’, in ricordo
delle due martiri Seconda e Rufina e del successivo martirio nello
stesso luogo dei santi Marcellino e Pietro, venne poi chiamata ‘Silva
Candida’. Sulla loro tomba, già
nel secolo IV fu eretta una basilica ad opera di papa Giulio I
(341-353), poi restaurata da papa Adriano I (772-795), mentre papa
Leone IV (847-855) l’arricchì di doni. Dal
secolo V tutta la regione della villa imperiale ‘Lorium’ che
comprendeva la basilica delle due martiri, ebbe un proprio vescovo, il
quale nel 501 si sottoscriveva “episcopus Silvae Candidae” e più tardi
come “episcopus Sanctae Rufinae”. Al
tempo di papa Callisto II (1119-1124) la diocesi venne unita a quella
suburbicaria di Porto e si chiamò di Porto e Santa Rufina. Papa
Anastasio IV (1153-1154) fece trasferire i loro corpi nel Battistero
Lateranense nell’altare di sinistra dell’atrio, di fronte a quello dei
ss. Cipriano e Giustina, dove riposano tuttora; mentre l’antica
basilica sulla via Cornelia andò in rovina e ancora oggi non si
riescono ad identificarne i resti con precisione.
Autore: Antonio Borrelli
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