martedì 25 luglio 2017

Elias Canetti



Elias Canetti nasce da una famiglia sefardita che parla lo spagnolo del XV secolo. Dopo la morte del padre, insieme ai due fratelli, segue la madre in diverse città d'Europa: Zurigo, Francoforte, Vienna. Nel 1938, dopo l'Anschluss, emigra a Londra rimanendovi fino al 1971 quando decide di tornare a vivere a Zurigo, il "paradiso perduto" della sua adolescenza, dove ci morirà. Durante la giovinezza, le relazioni e i viaggi contribuiscono a formare il suo pensiero, ad affinare il suo spirito, ad aprirlo al mondo, come pure a fargli prendere coscienza del ruolo del sapere in quanto motore della libertà. Nel 1931, due anni prima dell'avvento al potere di Adolf Hitler, fa il suo ingresso nella scena letteraria con lo sbalorditivo "Autodafè", il suo primo e unico romanzo, percorso da venature malinconiche e capace di esplorare a fondo gli abissi della solitudine, tema centrale del libro. Il protagonista è un intellettuale che viene metaforicamente divorato dal rogo dei suoi centomila volumi, inevitabile nemesi del mondo delle idee nei confronti del reale, punizione per l'uomo che sceglie di essere "tutto testa e niente corpo": l'intellettuale appunto. Ma il fuoco del romanzo è anche una chiara, preoccupata quanto visionaria anticipazione allegorica del totalitarismo, premonizione dell'autodistruzione della ragione occidentale. Sul piano espressivo, invece, non esiste migliore illustrazione di quella "lingua salvata" rappresentata dal tedesco, lingua che sua madre gli aveva insegnato per amore della Vienna imperiale, e che per loro rappresentava il centro della cultura europea e che Canetti cercherà di rivitalizzare alla luce dello "sfiguramento" della stessa che a suo dire è stato operato col tempo. Di notevole spessore è anche "Massa e potere" (1960), saggio sulla psicologia del controllo sociale, in questo assai affine, pur nei trentacinque anni di differenza, ad alcune tematiche di "Autodafé". Di rilievo è poi la straordinaria autobiografia, uno dei documenti più intensi del Novecento che, divisa in più volumi ("La lingua salvata", "Il frutto del fuoco" e "Il gioco degli occhi") e uscita fra il 1977 e il 1985 lo consacrano definitivamente come una delle voci più alte della letteratura di ogni tempo. I giurati di Stoccolma se ne accorgono e nel 1981 gli assegnano il più che meritato premio Nobel per la letteratura. Ricevendo il premio, nel discorso di ringraziamento, egli indica come suo "territorio" l'Europa di quattro scrittori di lingua tedesca vissuti nell'Austria di un tempo: Karl Kraus, Franz Kafka, Robert Musil e Hermann Broch, di cui riconosce l'ampio debito, così come nei confronti di tutta la tradizione viennese. Inoltre confesserà apertamente che la passione per la lettura, il gusto per le tragedie greche e i grandi autori della letteratura europea ebbero un'influenza determinante sulla sua opera.

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