mercoledì 29 maggio 2019

Giorgio Labò "Lamberto"


Nacque a Modena dall'architetto Mario Labò ed Enrica Morpurgo. Visse a Genova dove il padre lavorò come architetto. Si iscrisse alla facoltà di architettura presso il Politecnico di Milano ma dovette interrompere gli studi allo scoppio della Seconda guerra mondiale, per arruolarsi nel Genio minatori dove arrivò al grado di sergente. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 entrò a far parte della resistenza con il nome di battaglia di Lamberto, nei partigiani della zona di Poggio Mirteto. A novembre dello stesso anno entrò a far parte dei Gruppi di Azione Patriottica di Roma dove mise a frutto le conoscenze acquisite nel campo degli esplosivi. Partecipò a numerosi sabotaggi e con mezzi di fortuna allestì e gestì insieme a Gianfranco Mattei una santabarbara clandestina a Roma, dove per quattro mesi riuscirono a produrre ordigni esplosivi via via sempre più sofisticati. Il 1º febbraio 1944, tradito, venne catturato dalle SS tedesche, arrestato e tradotto nelle carceri di Via Tasso, per 18 giorni venne tenuto strettamente legato mani e piedi nella cella nr. 31. Nonostante la tortura, che gli portò gli arti alla cancrena, negli interrogatori che subì non rivelò mai nulla.
Il compagno di lotta e di prigionia Antonello Trombadori scriverà:
  « Il martirio della legatura mani e piedi durò diciotto giorni. Le mani strette dietro la schiena; una sull'altra; deve giacere bocconi per evitare che il peso del suo corpo ricada in modo insopportabile sulle mani tumefatte e gonfie per il nodo strettissimo della corda. Le mani sono diventate livide ed enormi per il gonfiore; il difetto di circolazione ha provocato anche sul suo volto gonfiori e rose di sangue. Attorno ai polsi un solco putrido... infezione, cancrena... »
 
 
Il 7 marzo 1944, impossibilitato a scrivere, dettò una lettera al cappellano in cui comunicò la sua morte al Prof. Giulio Carlo Argan, fu poi condotto a Forte Bravetta dove, trascinato a braccia per la sua condizione fisica, venne fucilato da un plotone della Polizia dell'Africa Italiana, senza aver subito alcun processo, insieme ad altri.
Gli fu conferita la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.

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