Gaio Giulio Fedro
(20/15 a.C. circa – 51 d.C.)
è stato uno scrittore romano, autore di celebri favole, attivo nel I secolo. Fedro rappresenta una voce isolata della letteratura: riveste un ruolo poetico subalterno in quanto la favola non era considerata (analogamente a oggi) un genere letterario "alto" anche se possedeva un carattere pedagogico e un fine morale. Il suo nome greco è Φαίδρος (Phàidros); la forma latina Phaedrus è attestata in Cicerone riferendosi al filosofo epicureo e in particolare, nei titoli – sia pure aggiunti posteriormente – di tre favole e in Aviano. Egli è pertanto identificato comunemente con Phaedrus. Quanto al luogo di nascita, Fedro stesso afferma di essere nato sul monte Pierio, luogo di nascita delle Muse, che al tempo faceva parte della Macedonia; però sembra anche alludere alla Tracia come sua patria, vantata come terra di poeti. È certo che il monte sorgeva in prossimità del confine trace e alla fine del I secolo, una rettifica dei confini delle due province lo ridusse in Tracia. Fedro giunse giovanissimo a Roma come schiavo, forse a seguito della violenta repressione, operata dal console Lucio Calpurnio Pisone, della rivolta avvenuta in Tracia nel 13 a.C. La sua venuta a Roma ancora bambino è stata dedotta dalla sua affermazione di aver letto da bambino il Telephus, una tragedia ora perduta di Ennio. Che egli sia stato uno schiavo familiaris, appartenente cioè alla familia di Augusto, e poi emancipato da questo imperatore è attestato nella titolazione manoscritta della sua opera, Phaedri Augusti liberti Fabulae Aesopiae; si deduce che il suo nome, dopo la liberazione, deve essere stato Caius Iulius Phaedrus, dal momento che i liberti assumevano il praenomen e il nomen del loro patrono. Fedro stesso ci informa, il ministro di Tiberio, Seiano, lo fece processare, sospettandolo di allusioni sgradite ai potenti. Ne uscì tuttavia indenne, forse anche per la caduta in disgrazia e la morte del prefetto, e poté continuare a scrivere indisturbato fino all'impero di Claudio (41-54), grazie a un liberto, Fileto, al quale è dedicato uno dei suoi ultimi componimenti, o forse anche fino all'impero di Nerone (54-68).
(20/15 a.C. circa – 51 d.C.)
è stato uno scrittore romano, autore di celebri favole, attivo nel I secolo. Fedro rappresenta una voce isolata della letteratura: riveste un ruolo poetico subalterno in quanto la favola non era considerata (analogamente a oggi) un genere letterario "alto" anche se possedeva un carattere pedagogico e un fine morale. Il suo nome greco è Φαίδρος (Phàidros); la forma latina Phaedrus è attestata in Cicerone riferendosi al filosofo epicureo e in particolare, nei titoli – sia pure aggiunti posteriormente – di tre favole e in Aviano. Egli è pertanto identificato comunemente con Phaedrus. Quanto al luogo di nascita, Fedro stesso afferma di essere nato sul monte Pierio, luogo di nascita delle Muse, che al tempo faceva parte della Macedonia; però sembra anche alludere alla Tracia come sua patria, vantata come terra di poeti. È certo che il monte sorgeva in prossimità del confine trace e alla fine del I secolo, una rettifica dei confini delle due province lo ridusse in Tracia. Fedro giunse giovanissimo a Roma come schiavo, forse a seguito della violenta repressione, operata dal console Lucio Calpurnio Pisone, della rivolta avvenuta in Tracia nel 13 a.C. La sua venuta a Roma ancora bambino è stata dedotta dalla sua affermazione di aver letto da bambino il Telephus, una tragedia ora perduta di Ennio. Che egli sia stato uno schiavo familiaris, appartenente cioè alla familia di Augusto, e poi emancipato da questo imperatore è attestato nella titolazione manoscritta della sua opera, Phaedri Augusti liberti Fabulae Aesopiae; si deduce che il suo nome, dopo la liberazione, deve essere stato Caius Iulius Phaedrus, dal momento che i liberti assumevano il praenomen e il nomen del loro patrono. Fedro stesso ci informa, il ministro di Tiberio, Seiano, lo fece processare, sospettandolo di allusioni sgradite ai potenti. Ne uscì tuttavia indenne, forse anche per la caduta in disgrazia e la morte del prefetto, e poté continuare a scrivere indisturbato fino all'impero di Claudio (41-54), grazie a un liberto, Fileto, al quale è dedicato uno dei suoi ultimi componimenti, o forse anche fino all'impero di Nerone (54-68).
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