domenica 21 marzo 2021

Rosa Balistreri

 

(Licata 21/03/1927 - Palermo 20/09/1990),
nacque da una famiglia molto povera, e visse l'infanzia e la giovinezza nella miseria e il degrado sociale nel quale a quei tempi versava il quartiere Marina di Licata. Il padre, falegname, uomo geloso e violento, amante del gioco e del vino, si contrapponeva a quella della madre, semplice e buona. Rosa fu la primogenita, ebbe due sorelle e un fratello, disabile dalla nascita.Il sostegno della famiglia proveniva da piccoli lavori di falegnameria del padre, che consisteva nel riparare le sedie, che svolgeva andando spesso nei paesi vicini portandosi con se Rosa che aiutava percorrendo in lungo e in largo la città a piedi nudi in tutte le stagioni carica delle sedie che portava ai clienti.Fin da bambina si dedicò alle più umili attività: nella stagione estiva, andava con il padre a spigolare per i campi assolati, portando a casa alcune manciate di grano che sfamavano la famiglia per pochi giorni.In queste difficili condizioni, Rosa scaricava la sua rabbia e il suo disagio cantando a squarciagola lungo le stradine della Marina. Dopo la guerra, Rosa si trasferì per un periodo con la sua famiglia nella vicina Campobello di Licata e con il padre si dedicarono al consueto lavoro di "aggiustatori" di sedie (siggiari). Ancora oggi i più anziani ricordano i canti con quella voce rauca che risuonavano per le strade. Dopo i quindici anni cominciò ad essere chiamata per cantare in chiesa durante battesimi e matrimoni indossando per la prima volta le scarpe. Non potè sposare il cugino Angelino perchè la futura suocera reclamava il corredo che la famiglia di Rosa non poteva permettersi e a sedici anni fu data in sposa a "Iachinuzzu", che lei durante un suo spettacolo a Licata, definì "latru, jucaturi e 'mbriacuni". La vita matrimoniale fu ancora più misera e degradante di quella trascorsa nella sua famiglia d'origine, tanto da portarla, in preda alla disperazione, ad aggredire con una lima il marito nella casa di via Martinez, in seguito alla scoperta della perdita al gioco del corredo della figlia. Credendo di averlo ucciso, andò a costituirsi dai carabinieri, affrontando anche la galera. Dopo sei mesi di prigione, Rosa per mantenere sè stessa e la figliola, andò a lavorare presso una vetreria, lavoro che però fece per poco tempo, a causa delle molestie perpetrate dal padrone. Rosa iniziò così a raccogliere e vendere lumache, capperi, fichidindia e, nel periodo adatto, salava le sarde nei magazzini del Salato. Grazie all'interessamento di un parente si presentò a Rosa l'opportunità di recarsi a Palermo al servizio di una famiglia nobile. Ma la sua vita già difficile le serbava ancora un'esperienza amara e dolente: il figlio dei ricchi padroni la mise incinta e, mossa dalle molte illusioni che nutriva verso il giovane, fu spinta da costui a rubare denari nella casa dei genitori. Scoperta, fuggì a Sondrio presso il sanatorio dove era ricoverata la madre. Fu trovata, arrestata e condannata a sei mesi di carcere che scontò a Palermo. Uscita dalla prigione, disperata, fu costretta, anche se incinta, a vivere da nomade dormendo sui sedili della stazione o alle porte dell'ospedale, fino a quando non fu accolta da un'amica ostetrica che l'aiutò a partorire. Il suo bambino però nacque morto. Ripresasi dalle fatiche del parto, aiutata dall'amica, andò al servizio del conte Testa, acquistando una certa serenità, potè così sistemare la propria figlioletta in collegio a Palermo e imparò a leggere e scrivere. Dopo un breve periodo dovette abbandonare la casa del conte, che tuttavia continuò a proteggerla, procurandole il lavoro di sagrestana e custode della chiesa degli Agonizzanti. Viveva in un sottoscala insieme a suo fratello Vincenzo, invalido, che faceva il calzolaio. Quando la chiesa venne affidata a un nuovo prete, le cose peggiorarono: il prete, infatti, mostrò di avere un interesse "particolare" nei suoi riguardi; Rosa non cedette e fu mandata via, ma prima svuotò le cassette dell'elemosina e così potè comprare un biglietto ferroviario per sè e per suo fratello Vincenzo, senza una destinazione precisa. Il viaggio si sarebbe poi concluso a Firenze e sarebbe ritornata a Palermo solo venti anni dopo, quando ormai la sua vita aveva cambiato corso. A Firenze il fratello Vincenzo aprì una bottega di calzolaio e Rosa trovò lavoro al servizio di una distinta famiglia fiorentina. Rosa conquistò così una certa tranquillità tale da permetterle di richiamare tutta la sua famiglia. La sorella Maria però, sposata, rimase a Licata. Solo più tardi Maria raggiunse Rosa, quando scappò da Licata con i figli per sfuggire alle prepotenze del marito che, raggiuntala, la uccise. A seguito di questa tragedia il padre di Rosa si tolse la vita impiccandosi. Superati questi dolorosi avvenimenti per Rosa iniziò una periodo di serenità: incontrò il pittore Manfredi, con cui visse per dodici anni, che le diede tanto amore e la possibilità di conoscere grandi personaggi della cultura e dell'arte. Tra i tanti conobbe Mario De Micheli che, estasiato della sua voce, le diede la possibilità di incidere il suo primo disco con la Casa Discografica Ricordi, evento che segnò l'inizio della sua vita artistica. A Bologna conobbe il poeta dialettale Ignazio Buttitta (che per lei avrebbe poi scritto numerose liriche) e il cantastorie Ciccio Busacca, con i quali instaurò una sincera amicizia. Grazie a queste frequentazioni ebbe modo di entrare a pieno titolo nel mondo dello spettacolo. Conosciuto Dario Fo partecipò nel 1966 al suo spettacolo "Ci ragiono e canto". La sua attività proseguì con concerti al teatro Carignano di Torino, al Manzoni di Milano e al Metastasio di Prato alternati a esibizioni in varie sedi e a seminari sulla musica popolare in alcune università. Finita l'avventura con il suo Manfredi, che la lasciò per una modella, Rosa cadde in depressione, e tentò il suicidio; fortunatamente fu salvata e dovette richiamare tutte le sue forze e il suo coraggio perchè l'aspettava un'altra prova della sua vita travagliata: la sua unica figlia era fuggita dal collegio e un bel giorno le si presentò incinta. Rosa si "rimboccò le maniche" e chiese aiuto agli amici del partito comunista, che le permisero di esibirsi nelle Feste dell'Unità in varie città. Alla fine degli anni sessanta recitò a Firenze con il Teatro Stabile di Catania, e decise quindi di andare in Sicilia. Rosa tornò così non più come serva, ma come artista affermata circondata da amici importanti, artisti, letterati e politici, e tenne molti spettacoli in diverse città siciliane. Ebbe così modo di tornare nei luoghi della sua infanzia e della sua amara giovinezza, oltre che a Licata fu anche a Campobello di Licata dove tenne uno spettacolo al cine-teatro Italia riscuotendo un grande successo. Stabilitasi definitivamente a Palermo, proseguì la sua attività recitando e cantando al Biondo di Palermo in "La ballata del sale", uno spettacolo appositamente per lei scritto da Salvo Licata. Negli anni ottanta, in giro per l'Italia, partecipò con Anna Proclemer allo spettacolo "La Lupa" tratto dall'omonima novella di Giovanni Verga. Fa parte della sua esperienza teatrale la partecipazione a "La lunga notte di Medea", diretta da Corrado Alvaro e "Le Eumeneidi" a Gibellina; al Biondo di Palermo recitò ancora in "Bambulè" di Salvo Licata. Il 1987 fu per Rosa l'ultima estate artistica come attrice teatrale. Come cantautrice continuò a girovagare per il mondo: in Svezia, in Germania, in America raccogliendo sempre applausi e apprezzamenti. Alla fine degli anni ottanta Rosa si stabilì a Firenze incidendo alcuni dischi e partecipando a diversi spettacoli folk. A Licata tornò un anno prima di morire, Rosa si spense all'ospedale Villa Sofia a Palermo, colpita da un ictus cerebrale mentre partecipava ad uno spettacolo in Calabria.

 

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