Vedova
† Roma, 384
Etimologia: Lea = leonessa, dal latino
Nella
seconda metà del IV secolo i cristiani di Roma sono ormai molto
numerosi. Ma con qualcuno di troppo. Infatti, in mezzo ai credenti
veri s’infiltrano pure i ceffi untuosi e avidi dei voltagabbana
di sempre, inquinatori della Chiesa. "Con questi qui d’attorno,
essere santi diventa rischioso". Così si sfoga san Girolamo (ca.
347 - 420) che, da buon dàlmata focoso, qualche volta esagera. Ma
qui parla di cose toccate con mano durante il suo soggiorno
nell’Urbe, a contatto con quei gruppi cristiani che al pericolo
di contagio spirituale oppongono la loro fede, approfondita con
lo studio e “predicata” con l’esempio. Questo è il tempo di Roma
sostituita da Milano come capitale effettiva, e ben poco
frequentata dagli imperatori, sempre in guerra ai confini: nel 375
la morte coglie Valentiniano I durante una campagna in Pannonia
(Ungheria); e il suo successore Valente muore nel 378 combattendo i
Visigoti ad Adrianopoli. In
questi tempi vive Lea, che conosciamo soltanto grazie a san
Girolamo. Egli ne parla in una lettera alla gentil donna
Marcella, animatrice del cristianesimo integralmente vissuto, che
ha dato vita a una comunità femminile di tipo quasi monastico
nella sua residenza sull’Aventino. Anche Lea è di famiglia
nobile: rimasta vedova in giovane età, pareva che dovesse poi
sposare un personaggio illustre, Vezzio Agorio Pretestato,
chiamato ad assumere la dignità di console. Ma
lei è entrata invece nella comunità di Marcella, dove si studiano
le Scritture e si prega insieme, vivendo in castità e povertà.
Con questa scelta, Lea capovolge modi e ritmi della sua vita per
diffondere, come diremmo noi, un “messaggio forte”. E Girolamo
dice di lei: "Maestra di perfezione alle altre, più con l’esempio
che con la parola, fu di un’umiltà così sincera e profonda che,
dopo essere stata gran dama con molta servitù ai suoi ordini, si
considerò poi come una serva". Marcella
ha in lei una fiducia totale: tant’è che le affida il compito di
formare le giovani nella vita di fede e nella pratica della
carità nascosta e silenziosa. Sarebbe difficile, scrive Girolamo,
riconoscere in lei l’aristocratica di un tempo, ora che "ha
mutato le vesti delicate nel ruvido sacco", e mangia come
mangiano i poveri che soccorre. Questo
è il suo stile, sotto il segno del riserbo. Agire e tacere.
Insegnare con i fatti. Fa così poco rumore che di lei non si sa
altro, e ignoreremmo perfino la sua esistenza se Girolamo non
l’avesse ricordata in quella lettera, quando lei era già morta (e
sepolta a Ostia). Era il 384, anno della morte di papa Damaso I,
regnando in concordia gli imperatori Teodosio I e Massimo. Più
tardi il primo dei due sconfisse il secondo. E regnò poi da solo,
avendolo fatto uccidere.
Autore: Domenico Agasso
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