Diacono e martire. sec. III/IV
Patronato: Vicenza, Vinai
Etimologia: Vincenzo = vittorioso, dal latino
Emblema: Palma
Un
diacono così, ora che il diaconato è tornato “di moda” nella Chiesa,
ogni vescovo se lo sognerebbe. Perché, si sa, non tutti i vescovi sono
degli oratori nati e quello di Saragozza, Valerio, è per giunta
balbuziente. Trovare in Vincenzo un diacono ben equipaggiato
culturalmente, dotato nella parola, generoso e coraggioso è per lui un
vero colpo di fortuna. Oggi San Vincenzo è il martire più popolare
della Spagna, ma doveva già esserlo 1700 anni fa se ben tre città,
Valencia, Saragozza e Huesca, si contendono l’onore di avergli dato i
natali. Dagli Atti del suo martirio, che avviene durante la
persecuzione di Diocleziano. Nel clima di terrore che si instaura e
che vede la distruzione degli edifici e degli arredi sacri, la
destituzione dei cristiani che ricoprono cariche pubbliche, l’obbligo
per tutti di sacrificare agli dei, il vescovo Valerio e il diacono
Vincenzo continuano imperterriti nell’annuncio del Vangelo: formano un
connubio indissolubile, nel quale il primo con la sua presenza e con
l’autorità che gli deriva dal ministero episcopale si fa garante di
quello che il secondo annuncia con forza, convinzione e facilità di
parola. Così il governatore di Valencia, Daciano, li fa arrestare
entrambi, ma quando se li trova davanti capisce che il vero nemico da
combattere è il diacono Vincenzo. Manda così il vescovo in esilio e
concentra tutte le sue arti persecutorie su Vincenzo, che oltre ad
essere un gran oratore è anche un uomo che non si piega facilmente. Lo
dice in faccia al governatore: “Vi stancherete prima voi a
tormentarci che noi a soffrire”, e questo manda in bestia il
persecutore, che vede così anche messa in crisi la sua autorità e il
suo prestigio. Perché Vincenzo è una di quelle persone che si piegano
ma non si spezzano: prima lo fa fustigare e torturare; poi lo
condanna alla pena del cavalletto, da cui esce con le ossa slogate;
infine lo fa arpionare con uncini di ferro. Così tumefatto e slogato
lo fa gettare in una cella buia, interamente cosparsa di cocci
taglienti, ma la testimonianza di Vincenzo continua ad essere limpida
e ferma: “Tu mi fai proprio un servizio da amico, perché ho sempre
desiderato suggellare con il sangue la mia fede in Cristo. Vi è un
altro in me che soffre, ma che tu non potrai mai piegare. Questo che
ti affatichi a distruggere con le torture è un debole vaso di argilla
che deve ad ogni modo spezzarsi. Non riuscirai mai a lacerare quello
che resta dentro e che domani sarà il tuo giudice”. Lo sentono
addirittura, anche così piagato, cantare dalla cella e Daciano si
rende conto che quella è una voce da far zittire in fretta, visto che
qualcuno si è già convertito vedendolo così forte nella fede. Muore
il 22 gennaio dell’anno 304 ed anche per sbarazzarsi del cadavere
Daciano deve sudare: gettato in pasto alle bestie selvatiche, il suo
corpo viene alacramente difeso da un corvo; gettato nel fiume, legato
in un sacco insieme ad un grosso macigno, il suo corpo galleggia e
torna a riva, dove finalmente i cristiani lo raccolgono per dargli
onorata sepoltura. Da una delle omelie che Sant’Agostino ogni anno,
il 22 gennaio, dedicava al martire Vincenzo ricaviamo questo
pensiero: “il diacono Vincenzo….. aveva coraggio nel parlare, aveva
forza nel soffrire. Nessuno presuma di se stesso quando parla. Nessuno
confidi nelle sue forze quando sopporta una tentazione, perché, per
parlare bene, la sapienza viene da Dio e, per sopportare i mali, da
lui viene la fortezza”.
Autore: Gianpiero Pettiti
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