(San Brizio di Spoleto, 18 marzo 1947 – Milano, 28 maggio 1980)
è
stato un giornalista e scrittore italiano, che venne assassinato in un
attentato terroristico perpetrato dalla Brigata XXVIII marzo, gruppo
terroristico di estrema sinistra.
Walter all'eta di 8 anni si trasferì con la famiglia a Bresso poiché
il padre Ulderico era un ferroviere. La sua carriera di giornalista
cominciò al ginnasio, come redattore del giornale del Liceo Parini di
Milano La zanzara, reso famoso per un processo provocato da un articolo
sull'educazione sessuale. Dopo
il liceo, Tobagi entrò giovanissimo all'Avanti! di Milano, ma vi rimase
solo pochi mesi per poi passare al quotidiano cattolico Avvenire. Sia
all'Avanti! sia all'Avvenire si occupava di argomenti diversi, ma
andava sempre più definendosi il suo interesse prioritario per i temi
sociali, per l'informazione, per la politica e il movimento sindacale, a
cui dedicava molta attenzione anche nel suo lavoro «parallelo», quello
universitario e di ricercatore. Ma
Tobagi non trascurava neppure i temi economici: si misurò con inchieste
in diverse puntate sull'industria farmaceutica, la ricerca, la stampa,
l'editoria, ecc. In quegli stessi anni si mostrò interessato anche alla
politica estera, in particolare all'India, alla Cina, al Medio Oriente,
alla Spagna (alla vigilia del crollo del franchismo), alla guerriglia
nel Ciad, alla crisi economica e politica della Tunisia, alle violazioni
dei diritti dell'uomo nella Grecia dei colonnelli, alle prospettive
politiche dell'Algeria, e così via. Tuttavia,
l'impegno maggiore Tobagi lo dedicò alle vicende del terrorismo, a
cominciare dalla morte di Giangiacomo Feltrinelli e dall'assassinio del
commissario Calabresi. Si interessò, inoltre, alle prime iniziative
militari delle Br, ai «covi» terroristici scoperti a Milano, al rapporto
del questore Allitto Bonanno, alla guerriglia urbana che provocava
tumulti (e morti) per le strade di Milano, organizzata dai gruppuscoli
estremisti di Lotta continua, Potere operaio, Avanguardia operaia. Nel
1972, passò al Corriere della Sera, dove poté esprimere pienamente le
sue potenzialità di inviato sul fronte del terrorismo e di cronista
politico e sindacale. Faceva
il suo lavoro seguito con scrupolo. Un metodo rigoroso, consistente
nell'analizzare essenzialmente i fatti, alieno dalle ipotesi fantasiose e
dalla facile emotività. Forse è per il suo voler innanzitutto «capire»
che Tobagi è stato ucciso. Al
Corriere della Sera Tobagi seguì sistematicamente tutte le vicende
relative agli «anni di piombo»: dai tempi degli autoriduttori che
disturbavano le Feste dell'Unità agli episodi di sangue più efferati con
protagoniste le Br, Prima Linea e le altre bande armate. Analizzando le
vicende luttuose del terrorismo risaliva alle origini di Potere
operaio, con la galassia delle storie politiche e individuali sfociate
in mille gruppi, di cui molti approdati alle bande armate. In
Vivere e morire da giudice a Milano Walter raccontò la storia di Emilio
Alessandrini, 39 anni, sostituto procuratore della Repubblica,
assassinato in un agguato da Prima Linea: un magistrato che si era
particolarmente distinto nelle indagini sui gruppi estremisti di destra
e, successivamente, su quelli terroristi di sinistra. Un giudizio che
doveva trovare una tragica conferma proprio con la uccisione di Tobagi. Negli
ultimi articoli intensificò le analisi su certe realtà urbane a Milano,
a Genova, a Torino («Come e perché un 'laboratorio del terrorismo' si è
trapiantato nel vecchio borgo del Ticinese», «Vogliono i morti per
sembrare vivi», «Bilancio di 10 miliardi all'anno per mille esecutori
clandestini», ecc.). Non trascurò il fenomeno del pentitismo, con tutti
gli aspetti anche negativi, e studiò il terrorista nella clandestinità,
(«C'è una regola dei due anni, termine ultimo oltre il quale non resiste
il Br clandestino»). E siamo dunque a uno dei suoi ultimi articoli sul
terrorismo, un testo che è stato ripubblicato molte volte perché
considerato uno dei più significativi sin dal titolo: «Non sono samurai
invincibili». Tobagi
sfatò tanti luoghi comuni sulle Br e gli altri gruppi armati,
denunciando, ancora una volta, i pericoli di un radicamento del fenomeno
terroristico nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro, come molti
segnali gli avevano indicato. Le
sue opinioni risultano confermate anche in un'altra significativa
intervista al figlio di Carlo Casalegno, Andrea. In quell'intervista,
concessa un mese prima dell'uccisione di Tobagi, Casalegno disse: «Non
sento la benché minima traccia di odio, né provo alcun perdono
cristiano. Sento l'offesa come nel momento in cui è avvenuta».
L'intervistatore chiese se riteneva giusto denunciare i «compagni di
lotta». E Andrea Casalegno rispose senza reticenze: «La denuncia è
importante e va fatta se serve a evitare atti futuri gravi. È un dovere,
perché è assolutamente necessario impedire che vittime innocenti cadano
ancora». La sera
prima di essere assassinato, Walter Tobagi presiedeva un incontro al
Circolo della stampa di Milano. Si discuteva del «caso Isman» e dunque
della libertà di stampa, della responsabilità del giornalista di fronte
all'offensiva delle bande terroristiche. Il dibattito fu piuttosto
agitato e l'inviato del Corriere fu fatto oggetto di ripetute
aggressioni verbali, cosa non nuova, del resto, come ha raccontato il
suo collega ed amico Gianluigi Da Rold. A
un certo punto, durante quel dibattito, Tobagi, riferendosi alla lunga
serie di attentati terroristici, disse: «Chissà a chi toccherà la
prossima volta». Dieci ore più tardi era caduto sull'asfalto sotto i
colpi dei suoi assassini. Lasciava la moglie, Maristella, e due figli,
Luca e Benedetta.
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