(Napoli, 12 marzo 1853 – 29 novembre 1925),
è stato un attore e commediografo italiano.
Fu il più importante attore e autore del teatro napoletano tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, capostipite della dinastia teatrale degli Scarpetta-De Filippo. Creò il teatro dialettale moderno, ancora oggi in uso, e si specializzò nell'adattare la lingua napoletana in moltissime pochade francesi; alcune delle sue commedie più celebri (tra cui ad esempio Miseria e nobiltà) furono però creazioni originali del suo repertorio. Vanta una carriera lunghissima di commediografo (dal 1875), interrotta bruscamente da una celebre causa intentatagli da Gabriele D'Annunzio nel 1904.Scarpetta fu anche attore cinematografico agli albori della “settima arte”. Egli girò alcuni film per una casa di produzione milanese, la “Musical Film” di Renzo Sonzogno, tratti dalle sue commedie: Miseria e nobiltà (1914, diretto da Enrico Guazzoni), La nutrice (1914, diretto da Alessandro Boutet), Un antico caffè napoletano (1914), Tre pecore viziose (1915) e Lo scaldaletto (1915) diretti da Gino Rossetti. Di questi film ci rimangono solo alcune foto di scena di Scarpetta e di altri interpreti. Ebbe numerosi figli, ben nove (non tutti da lui riconosciuti) Era figlio del funzionario statale Domenico Scarpetta, che tentò più volte di avviarlo agli studi e alla sua carriera, e di Emilia Rendina. Nel 1868, all'età di quindici anni, decise di entrare in una compagnia teatrale, in primo luogo per seguire la sua ambizione, ma anche per poter aiutare la famiglia trovatasi in gravi condizioni economiche per il cattivo stato di salute del padre. Riuscì così a farsi presentare dall'attore Andrea Natale all'impresario Alfonso Ventura, il quale lo scritturò come generico nella compagnia di Antonio Petito, di cui divenne capocomico nel 1879. Dal 1870 cominciò il successo personale con l'interpretazione di Felice Sciosciammocca. Lo stesso Antonio Petito scritturò Scarpetta conformando su di lui il personaggio di Felice Sciosciammocca che accompagnava Pulcinella nelle sue farse. Petito scrisse infatti per Scarpetta alcune farse, fra cui le più note sono: Feliciello mariuolo de 'na pizza e Felice Sciosciammocca creduto guaglione 'e n'anno. che Scarpetta porterà in scena insieme ad alcuni copioni che egli stesso, ormai esperto, aveva approntato. Dopo la morte di Petito, sostituito da De Martino, lasciò il San Carlino. Ambizioso, mirava ad emergere ad ogni costo, preferendo patire la fame piuttosto che sottostare a Davide Petito, nuovo capo della compagnia. Dopo un brevissimo periodo trascorso a Roma, nella compagnia di Raffaele Vitale (uno dei più celebri Pulcinella dell'epoca), prese in affitto con alcuni comici del San Carlino un baraccone sul Molo, il Metastasio, dove rappresentò alcuni suoi lavori. Nel 1878 accettò di far ritorno al San Carlino, sapendo che al suo fianco avrebbe recitato in sottordine il pulcinella Cesare Teodoro; qui ottiene un grande successo con la commedia Don Felice maestro di calligrafia meglio conosciuta come Lu curaggio de nu pompiere napulitano. L'anno successivo fu scritturato per una tournée a livello nazionale. Nel 1880 ottenne un prestito di 5.000 lire dall'avvocato Severo e, grazie alla sua tenacia, riuscì a riaprire e rinnovare il vecchio e glorioso teatro San Carlino, dove debuttò il 1º settembre con la commedia Presentazione di una Compagnia Comica: nelle sue Memorie racconta che «Il pubblico sorpreso e ammirato dall'affiatamento della compagnia, dalla naturalezza della recitazione, dalla inappuntabile proprietà del vestiario, rise e applaudì fragorosamente». Iniziò così una stagione di grandi successi, che lo portarono ben presto a diventare un idolo. Diventato ormai un capocomico di successo, seppur nato da una famiglia modesta arrivò a possedere un palazzo in via dei Mille, costruito dallo stesso architetto del Teatro Bellini, Vincenzo Salvietti, oltre a carrozze e cavalli. Il 15 maggio 1889 ottenne un memorabile successo con 'Na Santarella al Teatro Sannazaro di via Chiaia. Tutta Napoli, elegante e mondana, accorse al piccolo teatro, e con gli incassi della commedia, che gli aprì definitivamente le porte della capitale, si fece costruire una villa sulla collina del Vomero, chiamata appunto Villa La Santarella, dove sulla facciata principale campeggiava la scritta «Qui rido io!» e che vendette nel 1911 perché la moglie aveva paura di abitarci da sola quando il marito era in tournée. Il suo successo più grande, Miseria e nobiltà, che in seguito ebbe tre trasposizioni cinematografiche (memorabile fu quella del 1954 con Totò, Miseria e nobiltà), fu scritto unicamente per permettere la partecipazione alla commedia del figlio dodicenne Vincenzo, che nella prima rappresentazione recitò nel ruolo di Peppiniello. La fondazione del Teatro Salone Margherita, il primo grande varietà napoletano, costruito nei sotterranei della nuova Galleria Umberto I, cominciò a minare le fortune del commediografo, che in risposta alla nuova moda si ripresentò al pubblico con un suo Cafè-chantant, ma il colpo di grazia gli arrivò nel 1904, quando fu protagonista suo malgrado di una delle più clamorose vicende teatrali dell'epoca, quella riguardante Il figlio di Iorio, parodia de La figlia di Iorio di Gabriele d'Annunzio, che gli procurò un cocente insuccesso (D'Annunzio addirittura lo trascinò in tribunale per una memorabile causa durata tre anni, dal 1906 al 1908, che comunque Scarpetta vinse) e tante amarezze. Moltissime sono le critiche di questi anni, soprattutto da parte di Salvatore Di Giacomo e Roberto Bracco; unica voce in sua difesa fu quella di Benedetto Croce. Nel 1909, deluso e amareggiato, si ritirò dalle scene, dopo aver preso parte alla parodia La Regina del Mare, composta dal figlio Vincenzo, al quale egli impose di essere suo continuatore nel ruolo di Sciosciammocca. Nel 1920 scrisse un saggio sui caratteri innovatori dell'arte di Raffaele Viviani. Morì nel 1925, all'età di 72 anni, e i suoi funerali furono imponenti: fu imbalsamato e deposto in una bara di cristallo; riposa nella cappella delle famiglie De Filippo, Scarpetta e Viviani al Cimitero di Santa Maria del Pianto a Napoli. Scarpetta sposò il 16 marzo 1876 la figlia di un modesto commerciante napoletano, la diciottenne Rosa De Filippo, da cui ebbe due figli: Domenico e Vincenzo. Domenico, sebbene riconosciuto da Scarpetta, era probabilmente figlio di una relazione prematrimoniale di Rosa con il re Vittorio Emanuele II. Dalla relazione con la maestra di musica Francesca Giannetti ebbe Maria, che successivamente adottò. Dalla relazione con Luisa De Filippo, nipote della moglie Rosa, ebbe Annunziata (detta Titina), Eduardo e Giuseppe (detto Peppino). Dalla relazione con Anna De Filippo, sorellastra della moglie Rosa, ebbe Ernesto Murolo (riconosciuto da Vincenzo Murolo e Maria Palumbo, e padre di Roberto Murolo), Eduardo (in arte Passarelli) e Pasquale.
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