domenica 28 febbraio 2021
Un anziano saggio cinese
OMAGGIO ad Enzo Guarini
Diana Dei,
nome d'arte di Agnese Mancinelli
(Roma, 28 febbraio 1914 – Castiglione del Lago, 3 gennaio 1999),
è stata un'attrice italiana.
Dopo aver ottenuto il diploma di pianoforte all'Accademia di Santa Cecilia di Roma, svolse una discreta attività come pianista e concertista con lo pseudonimo Giana Galisa. Durante una tournée in Ungheria conobbe Gyorgy Feldes, che sposò nel 1936. Questo matrimonio ebbe però breve durata: dopo la separazione, richiese l'annullamento del vincolo, che ottenne solo nel 1960. Verso la fine degli anni trenta mostrò interesse per il teatro di rivista e, tra il 1939 e il 1942 comparve, in piccoli ruoli, in qualche film. Nel 1947 avvenne l'incontro con Mario Riva, di cui diventò inseparabile e dal quale ebbe il figlio Antonello (1951-2020), organizzatore e regista di programmi televisivi; insieme a lui e a Riccardo Billi intraprese la carriera teatrale in diversi spettacoli di successo organizzati da Remigio Paone, Pietro Garinei e Sandro Giovannini, tra i quali Col naso lungo e le gambe corte di Nelli e Mangini (1947), Bada che ti mangio! di Michele Galdieri, con Totò e Isa Barzizza (1949), per poi cogliere il successo con La Bisarca (1950). Negli anni cinquanta seguono tre riviste scritte da Vittorio Metz e Marcello Marchesi: Alta tensione (1950), I fanatici (1951) e Caccia al tesoro (1953), quindi Siamo tutti dottori di Age & Scarpelli e Dino Verde (1954), per approdare poi alla commedia musicale con i due successi de La granduchessa e i camerieri insieme a Wanda Osiris (1955) e la satira di costume Gli italiani sono fatti così di Vittorio Metz, Marcello Marchesi e Dino Verde (1956). Sul grande schermo comparve in una ventina di pellicole tra il 1947 e il 1959, molte interpretate insieme a Mario Riva (1913-1960), nelle quali si fece notare per la bella presenza e una spiccata simpatia. Dopo la morte di Mario Riva decise di ritirarsi dalle scene, insegnando dizione e recitazione alla "Scuola di Teatro Mario Riva" da lei fondata in memoria del compagno. Nei primi anni ottanta tornò alla ribalta nel teatro di prosa con due spettacoli, Tre civette sul comò e soprattutto Lady Edoardo, in cui interpretava una delle quattro regine insieme a Paola Borboni, Tina Lattanzi e Zora Velcova. Tornò anche al cinema, interpretando alcune scene con Alvaro Vitali nella serie dei film di Pierino diretta da Marino Girolami, dove ritrovò anche Riccardo Billi, recitando anche con Franco Brusati e Maurizio Nichetti. Negli ultimi anni di vita apparve spesso in televisione come ospite in svariati talk-show e programmi. È morta a 84 anni nella sua casa di Castiglione del Lago mentre trascorreva le vacanze di fine anno insieme al figlio Antonello e ai suoi nipoti. Riposa nel cimitero del Verano nella tomba di Mario Riva.
Il frantoio delle ore
Ogni sera – da dieci anni
qualcuno mi chiude il cancello
e alle diciannove e dieci
comincio a passeggiare nella cella.
Poi siederò al tavolo
sotto la luce
a leggere poesie di Hardy,
a imparare a memoria
il “mestiere di vivere”
del ragazzo Pavese
(“che beveva stupito il mattino”
prima che di colline
si facesse verde grano).
Ma io non so vivere,
io che respiro il sussurro gonfio
di vene umane
con la mente insonne della notte.
Da dieci anni – ogni sera
sento il richiamo del gatto
nel cortile chiuso all’avventura,
e il canelupo magro, sguinzagliato,
giocare con le guardie
sento ogni sera – da dieci anni.
Veterano del “cuore profondo”
ho cuore di cosmonauta
e radar d’amore
al posto degli occhi:
vado captando i pensieri
l’agonia e il pianto
del compagno inquieto.
Chiuso a chiave, riascolto
nel frantoio delle ore
le voci deluse della speranza
e l’eco dei tanti messaggi spenti.
Ci ha tradito il vento.
Ci ha tradito il vento
che decora di muschio le pietre
e sottomette gli alberi
al dominio delle stagioni.
Sembra tutto concluso
ora che all’incenso manca
la scintilla, il fuoco,
le braccia disposte
a profumare il giorno.
Nessun’altra fede resta
alla materia grezza di anime
in penosa allegria.
Ma dove, dov’è rimasta
la Parola del Salmo
che invogliava
a sollevare lo sguardo
al cielo troppo nudo?
Tutto piano piano si fa dolore.
Ma non è ancora buio:
lungo tema d’amore,
milioni di morti allineati
si fanno linfa dentro la terra
e si affacciano i bucaneve
dalla fanghiglia dei rospi
e mattini di luce
chiamano in volo verso il sole
uccelli stanchi di palude.
Alfredo Bonazzi
Alfredo Bonazzi
(Atripalda, 28 febbraio 1929 – San Zeno di Cassola, 1º novembre 2015)
è stato un poeta italiano.
Condannato all'ergastolo per l'omicidio di un tabaccaio commesso nel 1960 in viale Zara a Milano, proprio in carcere, Bonazzi scopre l'amore per la cultura e la poesia, che lo porterà a vincere prestigiosi premi nazionali ed internazionali. Nel 1973 il Presidente della Repubblica Giovanni Leone gli concede la grazia, dopo aver passato ventotto anni della sua vita tra carcere, riformatorio e manicomio criminale. Nel 1975 scrive Squalificati a vita, un'inchiesta dove denuncia la tragedia di chi si trova rinchiuso nei manicomi criminali. Bonazzi si è a lungo impegnato come volontario per aiutare i carcerati. La vicenda umana di Alfredo Bonazzi è assi più tormentata di quanto dica la succinta nota biografica. Fu gravemente ferito durante i bombardamenti anglo-americani su Avellino del settembre 1943; fu testimone della violenza alla sorella diciassettenne da parte di un gruppo di soldati di stanza ad Atripalda nel '44; covò un rancore profondo verso le truppe di occupazione americane che si tradusse in azioni di sabotaggio e in veri e propri attentati. Fu questo a portarlo nel 1945 nel riformatorio di Napoli e successivamente ad una 'carriera' criminale, rispetto alla quale l'omicidio del 1960 rappresentò solo il drammatico epilogo. Questa storia è dolorosamente raccontata nel capitolo Il ragazzo di Atripalda, del volume di Alfredo Bonazzi, L'ergastolo azzurro, a cura di Teodoro Giùttari, Città Nuova, 1971, cap. quarto, pp. 97-107. I 28 anni evidentemente cumulano anche gli anni passati in riformatorio e condanne per precedenti reati.
A Maria.
Febbraio
sabato 27 febbraio 2021
Signore, mio Dio
Elizabeth Taylor
Londra,27/02/1932- Los Angeles, USA 23/03/2011
Nasce
a Londra ma è di origine americana perché i suoi genitori si erano
trasferiti in Inghilterra da St. Louis, in Missouri, per aprire una
galleria d'arte. Allo scoppio della II Guerra Mondiale i Taylor tornano
negli Stati Uniti e si stabiliscono a Los Angeles. E' qui che un amico
di famiglia, avendo notato la particolare bellezza della piccola Liz,
suggerisce ai suoi genitori di sottoporla ad un provino per la Universal
Pictures. Viene così messa sotto contratto dalla casa di produzione e
nel 1942 esordisce sul grande schermo con "There's One Born Every
Minute" di Harold Young, ma il contratto con la major termina subito.
Liz viene allora chiamata dalla Metro Goldwyn Meyer che la scrittura per
interpretare il fortunato "Torna a casa Lessie" (1943, regia di Fred
M. Wilcox ), che ottiene grande successo di pubblico. La fama della
giovane attrice viene consolidata l'anno successivo con "Gran premio" di
Clarence Brown e a soli 11 anni Liz Taylor è già una star di
Hollywood. La sua lunga carriera la vede protagonista di film
drammatici, commedie e kolossal diretti da importanti registi. Negli
anni '70 la sua presenza sullo schermo diminuisce sensibilmente e Liz
decide di dedicarsi al teatro, anche se nel 1972 vince l'Orso d'argento
come miglior attrice a Berlino per "Una faccia di c..." di Peter
Ustinov e il David di Donatello come miglior attrice straniera per "X, Y
& Zi" di Brian G. Hutton. Più volte candidata anche al Golden
Globe, solo nel 1985 le viene assegnato il Cecil B. DeMille Award.
Nonostante la lunga carriera artistica, forse su di lei sono state
riempite più pagine di giornali scandalistici che di cinema. Ben otto i
matrimoni alle spalle: oltre ai già citati Burton (dal '64 al '74 e
ancora per meno di un anno dal '75 al '76) e Todd (solo un anno tra il
'57 e il '58), è stata sposata anche con Conrad Hilton Jr., erede del
fondatore della prestigiosa catena di alberghi, ma il matrimonio è
durato solo tre mesi (tra il '50 e il '51, giusto la durata della luna
di miele in Europa) per inconciliabili divergenze (secondo gli atti del
divorzio); con l'attore Michael Wilding (dal '52 al '57) da cui ha
avuto i due figli Michael Howard e Christopher Edward; con l'attore
Eddie Fisher (dal '59 al '64); con il senatore della Virginia John W.
Warner (dal '76 all'82); l'ultimo è Larry Fortensky, un muratore
conosciuto in un centro di disintossicazione per alcoolisti sposato nel
'91 da cui ha divorziato nel '96. Oltre ai due figli avuti da Wilding,
ha due figlie: Elizabeth Frances, avuta da Todd, e Maria, adottata
insi.
OMAGGIO a Mirella Freni
(Modena, 27 febbraio 1935 – Modena, 9 febbraio 2020),
è stata un soprano italiano, attivo dalla fine degli anni cinquanta ai primi anni duemila.
Tanti Auguri a Mal 🍾🥂
In morte di Eliodora
giù all'Ade t'offro in dono, o Eliodora,
queste lacrime mie, lacrime amare,
quello che resta ormai del nostro amore,
e sopra il tuo sepolcro
onorato e compianto
io ne verso il libame,
ricordo dell'affetto e del desìo.
Ahi, misero, e ti chiamo,
misero Meleagro, te che amata
mi sei tra i morti ancora, ed è l'omaggio,
vano omaggio che rendo all'Acheronte.
Ohimè, dov'è il virgulto che fu d'ogni mia brama
termine e segno? L'ha rapito Ade,
Ade me l'ha rapito,
e disfatto ha la polvere il suo fiore.
E tu, o Terra, che dài
ad ogni creatura il nutrimento,
dolce tra le tue braccia, te ne supplico,
o madre,
costei che lascia così largo pianto,
accoglila e radducila al tuo seno.
Autoepitafio
antica patria fra le genti di Siria.
Fui caro alle Muse, nacqui da Eucrates, io Meleagro
che un tempo corsi a gara con le Grazie di Menippo.*
Se sono siriano, perchè ti stupisci? Il mondo, o viandante,
è la nostra patria**, un solo Chaos ha generato tutti i mortali.
Grave d'anni ho inciso queste parole prima di giungere a morte
perchè chi ha per vicina la vecchiaia è prossimo ad Ade.
Ma tu rivolgi il saluto al vecchio ciarliero
e possa tu pure giungere a una vecchiezza ciarliera.
Meleagro di Gàdara
nacque a Gàdara in Palestina intorno al 130 a.C.
morì a Cos intorno al 60 a.C.
fu poeta, filosofo e predicatore cinico.
In gioventù imitò il suo conterraneo Menippo, seguendo, sia pure distrattamente, la filosofia cinica, e compose le "Càriti", una raccolta di poesie e prose satiriche che è andata perduta. Soggiornò in seguito a Tiro, dove conobbe e amò molte donne, tra cui le più famose, grazie ai suoi epigrammi, sono Eliodora e Zenofila. Da vecchio risiedette nell'isola di Cos, dove, dopo aver amato altre donne, tra cui Fanio, tornò agli studi filosofici della giovinezza e si dedicò alla composizione della "Ghirlanda", un'antologia di epigrammi suoi e di altri 44 poeti, che è alla base delle raccolte della "Ghirlanda" o "Corona", nel quale Meleagro definisce la poesia di ogni poeta con il simbolo di un fiore.Di lui ci sono circa 135 epigrammi, quasi tutti amorosi, per fanciulli e per etere. L'epigramma di Meleagro è di tema prevalentemente erotico-simposiale, ed è dettato, secondo le modalità della grande lirica arcaica di epoca corale, dalle varie occasioni del simposio. Nei versi del poeta di Gàdara trovano espressione tutte le situazioni amorose colte nell'istante in cui si attuano. I sentimenti sono descritti nella loro complessità, nel loro svolgersi e succedersi dinamico, ma anche raffreddati da una certa concettosità e arguzia. Artista fornito di grandi capacità espressive, essenziale e conciso nei suoi momenti più felici, subisce spesso la suggestione di una certa ridondanza verbale e di una certa enfasi anche nell'uso di mezzi retorici, che richiamano lo stile asiano allora di moda
Offro il mio cuore
Ho tanto amore da dare....
c'è qualcuno che lo vuole??
Ho sogni da soddisfare
in un campo di viole.
Non cerco avventure
ma amori epistolari
cose di affetto durature
niente sogni particolari.
Sono una persona strana,
non posso farci niente.
Il passato non si allontana
e vive nel presente.
Vivi l'oggi voi direte ...
non posso.... lo vorrei!
Anche se mi insegnerete
al passato tornerei.
Ci han provato i dottori,
niente no! non si può fare.
Sono troppi i dolori
non si può dimenticare.
Viva chi vive tranquillo
lasciandosi navigare,
io saltello come un grillo
non rinuncio a domandare.
Sono donna e ho vissuto
bene o male lo so io.
Ma nessuno ha provveduto
a capire il mio io.
Lucia
PREGHIERA alla Madonna dei Rimedi
Maria, Madre di Gesù,
vedi da quanti mali sono preso e circondato.
Innumerevoli colpe hanno macchiato l’anima mia,
smoderate passioni minacciano di travolgermi ancora nel peccato,
lusinghe ognor crescenti mi trascinano, incauto,
verso l’errore e la corruzione.
Tu che sei il Rifugio dei peccatori,
l’Aiuto dei Cristiani e la Mediatrice di tutte le grazie,
porgi a me, misero, il rimedio del tuo soccorso.
Madre mia, fiducia mia,
mostra che sei mia Madre infiammando d’amor di Dio il mio cuore.
Cosi sia.
Card. Ruffini
27 febbraio NOSTRA SIGNORA DEI RIMEDI
NOSTRA SIGNORA DEI RIMEDI
27 febbraio 1738 proclamata patrona di Chiclana de la Frontera
Nostra Signora dei Rimedi a Chiclana de la Frontera in Andalusia (Spagna) è una statuina molto piccola, ma dall’alto valore religioso. Secondo la leggenda fu trovata da un pastore attratto da una straordinaria luce sotto una palma.
L’immagine della Vergine Incoronata dei Rimedi si trova nella parrocchia della Santissima Trinità, del XVII secolo. Nel 1500, una luce misteriosa guidò un pastore che si trovava in un luogo conosciuto come Los Palmaretes, per le molte palme, alla piccola immagine in piedi della Vergine. La luce si trovava proprio su di una palma e a i suoi piedi scavando trovò la statuina miracolosa. Un sacrario crebbe intorno a quella che venne chiamata Nostra Signora dei Rimedi.
Venne poi condotta solennemente in processione alla Chiesa del vecchio ospedale della Confraternita di San Martino. Dal 1577 vi si stabilì la vecchia comunità Ospedaliera di monaci agostiniani eremiti. Questi ornati della sacra cintura alla vita, segno distintivo del loro ordine, furono i propulsori e annunciatori di devozione e di culto per questa piccola statua della Vergine.Vennero raccolte le testimonianze di alcuni miracoli operati da questa sacra immagine alla quale venne dato il titolo di Beata Vergine dei Rimedi proprio in seguito ad uno di questi. Nel 1738, una terribile siccità colpì la regione. Il 13 febbraio l’amministrazione comunale decise di indire una novena, portando in processione la statua della Madonna dei Rimedi e Gesù Nazareno dal monastero agostiniano alla chiesa principale per 9 giorni consecutivi. Alla conclusione della rituale, il 24 febbraio, la pioggia cominciò a cadere. Ancora pioveva il 27 febbraio quando il consiglio si riunì per eleggerla patrona di Chiclana de la Frontera. Papa Benedetto XV confermò il suo patrocinio sulla città il 12 giugno 1916 e in ricordo di questa occasione vengono organizzate durante l’estate vari culti e le attività straordinarie. Si può prevedere che questa piccola statuetta della Madonna sia stata nascosta al tempo delle invasioni dei Mori da parte dei primi cristiani spagnoli.
27 febbraio San Gabriele dell'Addolorata
Religioso
Assisi, Perugia, 1 marzo 1838 -
Isola del Gran Sasso, Teramo, 27 febbraio 1862
Etimologia: Gabriele (come Gabrio e Gabriella) = uomo di Dio, dall'assiro o forza, fortezza.
Immaginiamo un giovane studente di quasi diciotto anni. Un ragazzo di famiglia agiata (suo padre era un alto funzionario dello Stato Pontificio), di buona intelligenza, di carattere esuberante, aperto a tutto il fascino che la vita può offrire. Era un bel ragazzo, biondo di capelli, che teneva ben curati, di figura delicata e snella e di carnagione rosea. Come tutti i giovani, ci teneva al proprio look: vestiva infatti bene (oggi si direbbe con abiti griffati), a volte anche in maniera raffinata. Ogni vestito lo portava in maniera signorile e distinta. Era poi un ragazzo di buona compagnia, molto socievole, dalla battuta pronta e intelligente. Aveva anche recitato in qualche accademia, dove aveva incantato tutti con la sua voce dolce, maliosa ed evocatrice. Era ben consapevole di questo dono. Non amava certo la vita chiuso in casa, ma gli piaceva la natura, andare a caccia in allegra compagnia. Non disdegnava né le letture romanzesche, né il teatro e la danza (invidiava il fratello perché il padre gli aveva dato il permesso di... fumare). Aveva un debole per la musica come tanti giovani moderni. Di carattere emotivo, sentimentale: era buono di cuore, facile a commuoversi davanti a spettacoli di miseria. Talvolta però bastava una minima scintilla per far nascere in lui reazioni di ribellioni e d’ira. Ma, a differenza di molti giovani dei nostri giorni, anche cristiani, non si vergognava affatto di andare in chiesa e di pregare. Ultimo particolare non trascurabile, anzi importante per dare il quadro completo del ragazzo: per un po’ di tempo non era rimasto insensibile ad un incipiente amore umano. Abbiamo qui tutti gli ingredienti perché questo ragazzo faccia la sua strada nel mondo, approfittando di tutte le opportunità che la vita, agiata e fortunata, gli offrirà. Invece questo giovane di diciotto anni andò in convento per diventare religioso passionista. Un taglio netto con gli interessi e abitudini, amicizie e progetti precedenti. Che cosa c’è stato all’origine di una tale “rivoluzione personale”? Andiamo con ordine. Prima di diventare Gabriele dell’Addolorata il ragazzo si chiamava Francesco, Possenti di cognome. Era concittadino di Francesco e Chiara di Assisi. Nacque infatti in questa cittadina, in una famiglia numerosa che suo padre Sante e la madre Agnese curavano e allevavano con amore. Il padre poi era un personaggio importante e facoltoso, un uomo in carriera quindi, ma che tuttavia si prese molto a cuore il compito dell’educazione civile e religiosa dei figli, preparandoli alla vita nei suoi aspetti belli e dolorosi. Anche Francesco conobbe ben presto la sofferenza.Questa “devozione” alle sofferenze della Madre di Gesù davanti a Gesù deposto dalla Croce, sono la spiegazione del nome che prese quando diventò religioso, a diciotto anni, nel 1856: Gabriele dell’Addolorata. La perdita della sorella lo determina sempre più fortemente a prendere le distanze dalla vita di società e pensare più seriamente alla vita religiosa. Per Francesco questo lutto familiare grave era già stato un messaggio che lo aveva fatto riflettere sulla propria strada. Ma c’è stato anche qualcosa di soprannaturale, di diretto, una comunicazione in prima persona per Francesco. Da parte della Madonna. Era il 22 agosto 1856. A Spoleto si celebrava una grande processione per solennizzare l’ultimo giorno dell’ottava dell’Assunzione. Anche Francesco era presente, anche lui inginocchiato tra la folla attende il passaggio della Madonna. Lei arriva, e sembra cercare tra la folla qualcuno. L’ha trovato e l’ha guardato. “Appena toccato da quello sguardo, scaturisce dal profondo del suo cuore un fuoco che divampa dolcissimo e inestinguibile. Ogni altro affetto, provato prima, è insipidità a paragone di quella forza d’amore da cui ora è tutto posseduto. Intanto ode distintamente una voce che lo chiama per nome e gli dice: «Francesco che stai a fare nel mondo? Tu non sei fatto per il mondo. Segui la tua vocazione». Nel 1859 Gabriele e i suoi compagni si trasferiscono a Isola del Gran Sasso, in Abruzzo per continuare gli studi in vista del sacerdozio. Intensifica le sue pratiche di mortificazione e di autorinuncia a beneficio degli altri (poveri o compagni), approfondisce la spiritualità mariana, aggiungendo anche il voto personale di diffondere la devozione all’Addolorata. La sua salute però si andava deteriorando, sia per la sua costituzione fisica fragile, sia per la vita rigida della comunità, sia per le sue privazioni volontarie supplementari. La tubercolosi polmonare lo condurrà alla morte, a soli 24 anni. Prima di morire chiese al suo confessore di distruggere il diario in cui aveva scritto le grazie ricevute dalla Madonna. Temeva infatti che il diavolo se ne potesse servire per tentarlo di vanagloria negli ultimi momenti del combattimento finale. Il confessore obbedì a questa sua ultima richiesta di umiltà.
Autore: Mario Scudu
venerdì 26 febbraio 2021
Preghiera della sera
Dio, accogli il nostro canto,
mentre scende la sera.
Dona alle stanche membra la gioia del riposo,
e nel sonno rimargina le ferite dell'anima.
Se le tenebre scendono sulla città degli uomini,
non si spenga la fede nel cuore dei credenti.
A te sia lode, o Padre, al Figlio
e al Santo Spirito nei secoli dei secoli.
Amen.
Milly
pseudonimo di Carolina Francesca Giuseppina Mignone
(Alessandria, 26 febbraio 1905 – Nepi, 22 settembre 1980),
è stata una cantante e attrice italiana. Al cinema spesso è stata accreditata come Milly Monti, mentre in America era nota come Mili Monti. Viene cresciuta dalla madre (il padre abbandona la famiglia nel 1910) insieme alla sorella Gaetana Cesira, detta Mitì, ed al fratello Ottone, detto Totò; da adolescente inizia a lavorare al Teatro Fiandra nella sua città natale, dove debutta come cantante nel 1924;
forma poi un trio con i fratelli, con cui inizia a cantare negli
spettacoli di avanspettacolo e di rivista. In quel periodo frequenta il
principe Umberto di Savoia. Lavora come soubrette con Isa Bluette, Odoardo Spadaro, Umberto Melnati e i fratelli De Filippo, recitando anche in operette come Ottilia nella prima italiana di Al cavallino bianco con il fratello Totò Mignone al Teatro Lirico di Milano nel 1931 ed al Teatro Reinach di Parma nel 1932. Nel 1934 il regista Mario Mattoli
(divenuto poi suo cognato, avendo sposato la sorella Miti, con
conseguente fine dell'esperienza del trio) la chiama per recitare in Tempo massimo (nel cinema aveva già debuttato due anni prima, in 5 a 0 di Mario Bonnard); in seguito lavora con Vittorio De Sica in Amo te sola, sempre di Mattoli.Nello stesso periodo incide i primi 78 giri e ottiene un buon successo soprattutto nel 1929 con Stramilano. opo un periodo trascorso in America, nel dopoguerra torna con successo sulle scene ne L'opera da tre soldi di Bertolt Brecht, allestita dal Piccolo Teatro di Milano con la regia di Giorgio Strehler, in cui si rivela valente interprete drammatica nella parte di Jenny delle Spelonche, in coppia con Tino Carraro (nel ruolo di Mackie Messer). Nel 1957 e nel 1958 alla radio affianca Corrado nel programma Il Caffè dei vecchi amici. Nel 1962 è protagonista, insieme ad Enzo Jannacci, Tino Carraro, Sandra Mantovani e Anna Nogara, dello spettacolo di poesia e musica milanese Milanìn Milanon (in seguito anche pubblicato su disco), elaborato da Roberto Leydi con la regia di Filippo Crivelli e l'accompagnamento musicale del maestro Roberto Negri. Nel 1964 incide la canzone Autunno a Milano, scritta da Piero Ciampi, quindi inserisce nel repertorio brani dei nuovi esponenti del cantautorato italiano (Enzo Jannacci, Fabrizio De André, Mario Pogliotti, Nanni Svampa, Spesso ospite in televisione, dove veniva chiamata ad interpretare canzoni degli anni venti, trenta e quaranta, si ricordano soprattutto le sue apparizioni a fianco di Mina (che diventerà anche la sua discografica, quando Milly inciderà per la PDU). Di rilievo la partecipazione a Studio Uno, nell'edizione del 1965 diretta da Antonello Falqui,
come ospite fissa con la rubrica di canzoni del repertorio tra le due
guerre mondiali, cantate in una magnifica ambientazione a tinta unita
(fondale, vestiti e pianoforte), prima in nero e poi in bianco, talvolta
in duetto con Lelio Luttazzi,
oltre a partecipare alle fantasie musicali a chiusura di ogni puntata.
La sua partecipazione era aperta da una sigla cantata e ballata, ogni
volta diversa ma chiusa sempre con la frase "come nei mille, mille,
mille, ritornelli di Milly", che ricordava con nostalgia la classe delle
canzoni d'amore "di una volta", ma anche l'ironia, talvolta spavalda, e
l'ingenuità dei testi, che la stessa Milly presentava con una breve
introduzione parlata.ecc.). Non abbandona nel frattempo l'attività dal
vivo, esibendosi in molti spettacoli, tra cui il recital L'amore e la guerra, con Achille Millo; torna anche a dedicarsi, seppur sporadicamente, al cinema, (Il conformista, 1970, di Bernardo Bertolucci). Tiene l'ultimo recital a Palermo, il 3 agosto 1980, poco prima della sua scomparsa. Nel 1972 è uscito l'album D'amore e di libertà, il quale fu successivamente ristampato nel 1997 con il titolo di La leggenda di Milly.
L'uomo e la donna.
L'uomo è la più elevata delle creature.
La donna è il più sublime degli ideali.
Dio fece per l'uomo un trono, per la donna un altare.
Il trono esalta, l'altare santifica.
L'uomo è il cervello. La donna il cuore.
Il cervello fabbrica luce, il cuore produce amore.
La luce feconda, l'amore resuscita.
L'uomo è forte per la ragione.
La donna è invincibile per le lacrime.
La ragione convince, le lacrime commuovono.
L'uomo è capace di tutti gli eroismi.
La donna di tutti i martìri.
L'eroismo nobilita, il martirio sublima.
L'uomo ha la supremazia.
La donna la preferenza.
La supremazia significa forza;
la preferenza rappresenta il diritto.
L'uomo è un genio. La donna un angelo.
Il genio è incommensurabile;
l'angelo indefinibile.
L'aspirazione dell'uomo è la gloria suprema.
L'aspirazione della donna è la virtù estrema.
La gloria rende tutto grande; la virtù rende tutto divino.
L'uomo è un codice. La donna un vangelo.
Il codice corregge, il vangelo perfeziona.
L'uomo pensa. La donna sogna.
Pensare è avere il cranio di una larva;
sognare è avere sulla fronte un'aureola.
L'uomo è un oceano. La donna un lago.
L'oceano ha la perla che adorna;
il lago la poesia che abbaglia.
L'uomo è l'aquila che vola.
La donna è l'usignolo che canta.
Volare è dominare lo spazio;
cantare è conquistare l'Anima.
L'uomo è un tempio. La donna il sacrario.
Dinanzi al tempio ci scopriamo;
davanti al sacrario ci inginocchiamo. Infine:
l'uomo si trova dove termina la terra,
la donna dove comincia il cielo.
Victor Hugo
Victor Hugo
E'stato uno scrittore, poeta e drammaturgofrancese, considerato il padre del Romanticismo in Francia. Seppe tenersi lontano dai modelli malinconici e solitari che caratterizzavano i poeti del tempo, riuscendo ad accettare le vicissitudini non sempre felici della sua vita per farne esperienza esistenziale e cogliere i valori e le sfumature dell'animo umano. I suoi scritti giunsero a ricoprire tutti i generi letterari, dalla poesia lirica al dramma, dalla satirapolitica al romanzo storico e sociale, suscitando consensi in tutta Europa. Nasce Besançon nella Franca Contea, dove il padre Léopold-Sigismond Hugo, conte napoleonico e militare dell'esercito di Giuseppe Bonaparte, si trova di guarnigione, e lo segue poi, insieme alla madre Sophie Trébuchet e ai fratelli Abel Hugo e Eugène Hugo, prima a Parigi, poi anche a Napoli e in Spagna. Dal 1813 tuttavia i suoi genitori si separano e la madre, insieme al generale Victor Fanneau de la Horie, si stabilisce a Parigi. Qui Hugo frequenta il Politecnico dal 1815 al 1818, per volere del padre, ma ben presto abbandona gli studi tecnici per dedicarsi alla letteratura.Scrive le Odi, che furono la sua prima composizione letteraria. Insieme ai fratelli fonda il foglio Il conservatore letterario (1819), e nello stesso anno vince un concorso dell'Académie des Jeux floraux. Inizia poi a frequentare il liceo Louis-le-Grand, e partecipa agli incontri del Cenacolo di Charles Nodier, culla del Romanticismo nascente. Scrive poi Odi et poesie diverse (1822) e molti altri scritti, fino a Odi e ballate, che gli valgono una rendita di mille franchi da parte del re Luigi XVIII. Il 12 ottobre del 1822 sposa, nella chiesa di Saint-Sulpice di Parigi, Adèle Foucher, una sua amica d'infanzia; nasceranno cinque figli: Léopold, Léopoldine, Charles, François–Victor, Adèle l'unica a sopravvivere al padre ma che trascorrerà molti anni in una casa di riposo a causa del suo stato mentale alterato. La scoperta, dopo qualche anno, del tradimento della moglie con l'amico di famiglia Sainte-Beuve lo porterà a condurre una vita di libertinaggio; sua amante per circa cinquant'anni sarà Juliette Drouet, un'attrice teatrale conosciuta durante le prove di Lucrezia Borgia, nel 1833. Nel 1843 muoiono tragicamente la figlia Léopoldine e il genero Charles Vacquerie, annegando nel corso di una gita in barca; Hugo apprende la notizia al rientro da una vacanza, leggendola sul giornale Le Siècle. La tragedia, unita all'insuccesso del suo lavoro teatrale I Burgravi del 1845, gli causa una grave depressione che lo tiene lontano dal mondo letterario per dieci anni.Riprende la sua attività letteraria nel segno della satirapolitica, nella raccolta di poemiI castighi (1853).La vita non gli risparmiò i dolori: nel 1855 muore il fratello Abel, nel 1863 la figlia Adèle impazzisce scappando in Canada, nel 1868 muoiono anche la moglie e alcuni nipoti; in tutte queste disgrazie ha però sempre accanto la fedele Juliette.Nel 1876 ritorna a far parte del Senato. Nel 1878 è colpito da una congestione cerebrale, mentre i festeggiamenti per il suo ottantesimo compleanno — pubblicamente celebrati — vengono offuscati dalla morte di Juliette Drouet. Muore il 22 maggio1885, e la sua salma viene esposta per una notte sotto l'Arco di Trionfo e vegliata da dodici poeti.La sua tomba si trova tuttora al Pantheon di Parigi, collocata accanto a quella degli altri due grandi scrittori francesi del XIX secolo, Alexandre Dumas padre ed Émile Zola.
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