lunedì 29 luglio 2024

Giulio Facibeni



 

(Galeata (Fi) 29 luglio 1884 – Firenze2 giugno 1958)
è stato un presbitero e antifascista italiano, fondatore dell'Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa, annoverato tra i giusti tra le nazioni per la sua opera a favore degli ebrei a Firenze durante l'Olocausto. Per la Chiesa cattolica ha il titolo di venerabile.

Nasce in una famiglia modestissima di undici figli, da padre calzolaio e madre casalinga. Completati gli studi ginnasiali e liceali nel seminario di Faenza tra il 1899 e il 1904, dopo la licenza liceale si iscrive alla Facoltà di Lettere dell'Università di Firenze. Si mantiene agli studi prestando la sua opera come assistente presso il semiconvitto delle Scuole Pie Fiorentine degli Scolopi. Il 21 settembre 1907 viene ordinato diacono nella cattedrale di Forlì dal vescovo Raimondo Jaffei; il 21 dicembre dello stesso anno, riceve l'ordinazione sacerdotale a Fiesole da parte del vescovo David Cammilli; perciò, lasciati gli studi universitari, compie le prime esperienze pastorali nelle scuole parrocchiali serali di Santa Maria al Pignone, tra le figlie dei carcerati e gli studenti medi. Nel maggio del 1910 fonda il circolo degli studenti secondari cattolici Italia Nova il cui omonimo giornale diverrà presto l'organo ufficiale degli studenti secondari toscani. Nel luglio 1912 è scardinato dalla diocesi di Sansepolcro e incardinato in quella di Firenze. Nel capoluogo toscano, nell'ottobre del 1912 l'arcivescovo di Firenze Alfonso Maria Mistrangelo invia don Facibeni come vicario nella Chiesa di Santo Stefano in Pane nel quartiere industriale e proletario di Rifredi a Firenze dove subito si distingue per il suo impegno educativo e caritativo. Nel suo servizio pastorale rimane molto legato anche alla sua terra e alla Diocesi di Sansepolcro: nel 1914, ad esempio, è nominato dal vescovo Pompeo Ghezzi a far parte del comitato esecutivo del convegno eucaristico di Galeata. Allo scoppio della prima guerra mondiale, don Facibeni organizza in parrocchia un asilo gratuito per i figli dei richiamati. Inviato egli stesso al fronte nel 1916, presta servizio prima sul fronte dell'Isonzo e poi sul Monte Grappa come cappellano militare nella IV Armata. In questo ruolo si prodiga per sostenere moralmente i soldati, soprattutto i feriti e i moribondi, sia italiani che austriaci, senza badare ai rischi corsi, volendo dimostrare che se il sacerdote predica il sacrificio deve anche compierlo. Il senso della sua azione è bene espresso nelle motivazioni con le quali gli è conferita la Medaglia d'Argento al Valor Militare:

«Con profondo sentimento di pietà e alto concetto della propria missione, durante intere giornate di sanguinosi combattimenti rimaneva costantemente sulla linea di fuoco a prestare con attività indefessa la sua opera pietosa e, dando mirabile esempio delle più nobili virtù, usciva, anche da solo, dalla nostra trincea spingendosi in terreno scoperto e battuto dal fuoco nemico per raccogliere feriti e ricuperare salme di Caduti.»

Molti soldati, morenti, gli raccomandano i loro figli. Nasce così in don Facibeni l'idea di un'Opera di assistenza per gli orfani di guerra, ispirata alla sacra immagine della Madonnina del Grappa. Tornato nel 1919 alla Pieve di Rifredi a Firenze, don Facibeni comincia a entrare in contatto con i molti orfani di guerra ed a promuovere iniziative in loro favore. Di fronte alle difficoltà incontrate nel trovare loro degna sistemazione, nel 1923 don Facibeni matura la sua vocazione e pone la prima pietra dell'Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa, inaugurata ufficialmente il 4 novembre 1924 e alla quale avrebbe dedicato il resto della sua vita. A proposito del luogo dove si trova la Pieve e l'Opera, lo stesso don Facibeni scrive:

«Il Signore ha voluto l'Opera in questo rione operaio, l'ha voluta aliena da umane protezioni e sicurezze e sostenuta dalla preghiera e dal lavoro degli umili, perché fosse apologia vivente della Divina Provvidenza

Nonostante le estreme difficoltà economiche e organizzative, don Facibeni non respinge alcuno che bussi alla sua porta. I dodici orfani ospitati al momento dell'inaugurazione diventano 100 solo quattro anni dopo, e sono 350 nel 1939. Per la sua disinteressata opera caritativa e la sua indipendenza del regime fascista (le cui oppressioni non esita a denunciare pubblicamente), don Facibeni acquista uno status di riconosciuta autorità morale a Firenze tra cattolici e non cattolici. Negli anni della seconda guerra mondiale e in particolare nel corso dell'occupazione tedesca e dell'emergenza bellica, ancora una volta don Facibeni diventa un punto di riferimento fondamentale per la sua opera di assistenza ai profughi e ai ricercati. Le case di ospitalità si moltiplicano in tutta la ToscanaCalenzanoSan MiniatoMontecatini TermeFucecchioRovezzano. Tale opera di assistenza che interessò numerose famiglie e numerosi giovani renitenti alla leva o ricercati, si estese anche agli ebrei perseguitati. Come ebbe a riferire lo stesso Facibeni, in una relazione sul passaggio del fronte inviata alla curia fiorentina il 19 gennaio 1945: "dagli ultimi del 1943 fino alla liberazione [l'Opera] ha ricoverato e provveduto al mantenimento di dieci fanciulli, tre donne, tre giovani e due uomini ebrei". Tra di essi vi sono i fratelli Cesare e Vittorio Sacerdoti (accolti a Montecatini Terme) e Louis e Harry Goldman e Willy Hartmayer, affidati alla cura di don Facibeni da don Leto Casini e della cui salvezza egli si occupa in prima persona a Rifredi. Ricorda Louis Goldman:

«La fama delle buone azioni di Mons. Facibeni si era sparsa fuori dell'orfanotrofio ed egli era stimato e rispettato in tutta Firenze... Era impossibile non essere toccati dalla sua umiltà, gentilezza e salda fede nella Divina Provvidenza... Divenne una abitudine accompagnarlo nei suoi giri per l'orfanotrofio. Spesso egli mi invitava perfino nella sua stanza a fare quattro chiacchiere... Il più delle volte chiacchieravamo toccando una ampia gamma di argomenti, la guerra naturalmente, sempre la guerra: sarebbe mai finita?... Parlavamo anche di argomenti più elevati: natura umana, filosofia, religione... Dalle sue finestre guardavo fuori attraverso il cortile fino alla casetta dove vivevamo Willy ed io. “Poveri ragazzi!” gli sentii sussurrare all'improvviso. Mi voltai e mi resi conto che mi guardava ma proprio allora la sua compassione lasciò il posto al sorriso: “Coraggio, su coraggio”... La cosa più sorprendente era che il Padre, anche nella cordiale intimità dei nostri “téte a téte”, non fece mai il minimo sforzo per allontanarmi dal giudaismo e convertirmi... Mons. Facibeni, al contrario, fece tutto quello che poteva per rafforzarmi nella mia: “Mantieni la tua fede, le tue tradizioni... Anche se ora stai attraversando un difficile periodo della tua vita non rinunciare mai alla tua fede". In una occasione mi disse eccitato: “Ho qualcosa che voglio darti”, e andò a cercarlo tra i molti libri lì nei suoi scaffali, lo trovò e me lo consegnò con ovvio piacere. Un piccolo volume di grammatica della lingua ebraica. Fui toccato dal suo gesto, e alla vista dei caratteri familiari ne restai commosso. Ma lui mi strinse al petto con un abbraccio affettuoso.»

Dalla relazione redatta nel maggio 1945 da Eugenio Artom (rappresentante della comunità ebraica fiorentina nel periodo bellico), risulta anche che "Mons. Giulio Facibeni, Parroco di Rifredi" - assieme alla "Superiora del Monastero della Calza, quella del Monastero di San Ambrogio, [e] il Parroco di S. Francesco di Piazza Savonarola" - fu uno dei religiosi incaricati dai primi mesi del 1944 dal Card. Elia Dalla Costa della "corresponsione materiale" di un sussidio individuale mensile di L. 150 corrisposto clandestinamente dalla DELASEM, che aiutò tanti ebrei fiorentini nascostisi in città. Nel secondo dopoguerra, l'Opera è ormai un'istituzione affermata con oltre 1 200 ospiti. Don Facibeni (“il Padre”, come viene comunemente e semplicemente chiamato da tutti) ne è la riconosciuta guida spirituale nonostante che una forma gravissima della malattia di Parkinson lo costringa ora a dipendere totalmente dall'assistenza altrui. Giungono anche i primi riconoscimenti ufficiali. Nel 1949 don Facibeni e i suoi collaboratori sono ricevuti in udienza da papa Pio XII. Appena nominato Sindaco, nel 1951Giorgio La Pira conferisce a don Facibeni il titolo di cittadino benemerito di Firenze. Il 29 maggio 1955 l'Opera riceve la visita del Presidente della Repubblica ItalianaGiovanni Gronchi. Il 21 dicembre 1957 l'Università di Firenze assegna a don Facibeni la medaglia d'oro per i suoi meriti in campo educativo. Lo stesso anno, nel 50º anniversario della sua ordinazione sacerdotale, Galeata gli conferisce il titolo di cittadino benemerito e nel 1969 intitola a lui il nuovo edificio scolastico. Don Facibeni muore, nel popolare rione fiorentino di Rifredi. Ai suoi funerali l'intera città di Firenze si ferma e si raccoglie con folla immensa.


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