(latino: Titus Flavius Vespasianus;
è stato un imperatore romano della dinastia dei Flavi.
Prima di salire al trono, Tito fu un abile e stimato generale che si distinse per la repressione della ribellione in Giudea del 70, durante la quale venne distrutto il secondo tempio di Gerusalemme. Fu considerato un buon imperatore da Tacito
e da altri storici contemporanei; è noto per il suo programma di opere
pubbliche a Roma e per la sua generosità nel soccorrere la popolazione
in seguito a due eventi disastrosi: l’eruzione del Vesuvio del 79 e l’incendio di Roma dell’80. Celebre è la definizione che diede di lui lo storico Svetonio: Amor ac deliciae generis humani, ovvero "amore e delizia del genere umano", per celebrare i vari meriti di Tito e del suo governo. La famiglia di Tito, la gens Flavia, apparteneva a quella nobiltà italica che, nella prima metà del I secolo, stava via via sostituendo la più antica aristocrazia romana, indebolita dai decenni di guerre civili combattuti nel I secolo a.C. La gens
Flavia, ad esempio, salì da origini umili all'onore della porpora nel
giro di appena tre generazioni. Il bisnonno paterno di Tito, il reatino Tito Flavio Petrone, aveva combattuto come centurione evocato nell'esercito di Gneo Pompeo Magno durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo (49-45 a.C.), ponendo fine ignominiosamente alla propria carriera con la fuga dal campo di battaglia durante la battaglia di Farsalo (48 a.C.); perdonato da Cesare, divenne esattore delle tasse delle vendite all'asta e sposò la ricca Tertulla. Il figlio di Petrone e Tertulla, Tito Flavio Sabino, fu un ricco esattore delle tasse in Asia e un prestatore ad interessi in Helvetia e sposò la nursina Vespasia Polla, figlia del tribuno militare Vespasio Pollione; grazie a questo matrimonio, Sabino si imparentò con l'aristocratica gens Vespasia, garantendo ai propri figli, Tito Flavio Sabino e Tito Flavio Vespasiano, il rango senatoriale. Il figlio minore di Sabino, Vespasiano, sposò Flavia Domitilla maggiore, da cui ebbe Tito Flavio Vespasiano, nato a Roma il 30 dicembre 39; la coppia ebbe anche una figlia nata nel 45, Flavia Domitilla minore, e un altro figlio nato nel 51, Tito Flavio Domiziano. Mentre il padre percorreva la carriera militare partecipando all'invasione romana della Britannia, Tito era educato a corte assieme al figlio dell'imperatore Claudio, Britannico,
di cui era grande amico: quando Britannico morì avvelenato, Tito rimase
a lungo infermo per aver bevuto dello stesso veleno; successivamente
fece erigere alla memoria dell'amico una statua d'oro sul Palatino e una
processionale d'avorio. Durante la sua adolescenza, Tito ricevette
un'educazione militare e una letteraria, che gli permise di diventare
abile nell'esercizio delle armi e nel cavalcare, oltre ad essere un buon
poeta e oratore sia in greco che in latino.Tra il 58 e il 60 fu prima tribuno militare in Germania, dove ebbe per collega Plinio il Vecchio, poi in Britannia, probabilmente in occasione del trasferimento sull'isola di un contingente di rinforzo a seguito della rivolta di Budicca. Attorno al 63
fece ritorno a Roma per intraprendere con successo la carriera forense,
raggiungendo la carica di questore. In questo periodo sposò Arrecina Tertulla, figlia di un ex Prefetto del pretorio di Caligola, Marco Arrecino Clemente. Tertulla morì nel 65 e Tito si risposò con Marcia Furnilla, da cui ebbe una figlia, ma dalla quale divorziò senza risposarsi più. Furnilla apparteneva ad una nobile famiglia, collegata, però, con l'opposizione senatoriale a Nerone, tanto che lo zio di Furnilla, Barea Sorano, e sua figlia Sevilla morirono nelle purghe neroniane seguite alla fallita congiura di Pisone del 65. Nel 67, Vespasiano fu incaricato dall'imperatore Nerone di assumere il comando delle forze romane impegnate a sedare la ribellione dei Giudei (prima guerra giudaica, 66-74). Tito, che all'epoca aveva 28 anni circa, ricevette il comando della Legio XV Apollinaris, che andò a prelevare ad Alessandria d'Egitto e che portò poi in Giudea. I meriti di Tito nella guerra giudaica sono difficili da soppesare, in quanto la principale fonte della guerra, la Guerra giudaica di Giuseppe Flavio, fu scritta dal comandante giudeo della fortezza di Iotapata, assediata e conquistata da Tito nel 67, che strinse poi rapporti di clientela con la dinastia flavia. Tito fu incaricato da Vespasiano di recarsi ad Antiochia a mediare con Gaio Licinio Muciano, governatore di Siria
e come tale responsabile della Giudea, affinché i due generali
giungessero a dividersi proficuamente le competenze: Tito riuscì nel
compito, protrattosi fino alla fine del 67, e si unì al padre nella
guerra. Nel 67 Tito partecipò agli assedi di Iotapata e Giaffa, poi combatté intorno a Tiberiade, Taricace e Gamala.Nel 69, l'anno dei quattro imperatori, Vespasiano rientrò a Roma per reclamare il trono, lasciando il figlio in Giudea a porre fine alla rivolta, cosa che Tito fece l’anno successivo: Gerusalemme fu saccheggiata, il Tempio
distrutto, e gran parte della popolazione uccisa o costretta a fuggire
dalla città. Durante il suo soggiorno a Gerusalemme, Tito ebbe una
relazione con Berenice di Cilicia, figlia di Erode Agrippa I. Al suo ritorno a Roma nel 71 fu accolto in trionfo. Fu più volte console
durante il regno del padre, e fu anche Prefetto della Guardia
pretoriana, assicurandone la fedeltà all'imperatore. Tutti i fatti
legati alla rivolta e alla caduta di Gerusalemme sono raccontati dallo
storico ebreo Giuseppe Flavio nella sua opera Guerra giudaica. Tito succedette al padre Vespasiano nel 79, imponendo così, per breve tempo, il ritorno al regime dinastico nella trasmissione del potere imperiale. Svetonio
scrisse come allora molti temettero che Tito si sarebbe comportato come
un novello Nerone, a causa dei numerosi vizi che gli venivano
attribuiti. Al contrario, egli fu un valido e stimato imperatore, amato
dal popolo, che fu pronto a riconoscere le sue virtù. Pose fine ai
processi per tradimento, punì i delatores, e organizzò sontuosi giochi gladiatòrii senza che il loro costo si ripercuotesse sulle tasche dei cittadini. Completò la costruzione del Colosseo e fece costruire delle Terme nel sito dove si trovava la Domus Aurea, restituendo l’area alla città. L'eruzione del Vesuvio del 79 – che causò la distruzione di Pompei ed Ercolano e gravissimi danni nelle città e comunità attorno al golfo di Napoli – ed un rovinoso incendio
divampato a Roma l'anno successivo, diedero modo a Tito di mostrare la
propria generosità: in entrambi i casi egli contribuì con le proprie
ricchezze a riparare i danni e ad alleviare le sofferenze della
popolazione. Questi episodi, ed il fatto che durante il suo principato non fu emessa nessuna sentenza di condanna a morte, gli valsero l'appellativo presso gli storici suoi contemporanei di "delizia del genere umano" (Durante il suo regno dovette anche affrontare la ribellione di Terenzio Massimo, soprannominato il "Falso Nerone" per la sua somiglianza con l’imperatore: Terenzio fu costretto a fuggire oltre l’Eufrate, dove trovò rifugio presso i Parti. Dopo appena due anni di regno, Tito morì per una forte febbre. Secondo Svetonio, potrebbe essere stato colpito dalla malaria assistendo i malati, oppure avvelenato dal suo medico personale Valeno su ordine del fratello Domiziano. Il Talmud,
il cui testo lo ritrae con un carattere presuntuoso e crudele, narra in
dettaglio le origini della sua malattia e il suo epilogo. Alla sua
morte fu deificato dal Senato, e un arco trionfale fu eretto nel Foro Romano
dallo stesso Domiziano per celebrare le sue imprese militari. La sua
reputazione rimase intatta negli anni, tanto da essere poi eletto a
modello dai "Cinque buoni Imperatori" del II secolo (Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio). Ancor
oggi, si usa una frase a lui attribuita ("Ecco una giornata perduta!")
che avrebbe pronunciato al tramonto di una giornata in cui non aveva
avuto occasione di fare del bene.
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