O Poeti, fratelli, non pallidi alunni d’antiche
muse spigolatori proni di fiacche rime,
ma sì o voi cui parla sue piane parole la Terra
umile e le stelle dicon li eterni veri;
cittadini del mondo, cui son le diverse favelle
bronzo od argento a vostre bene canore tube
date concordi voi, o álacri spiriti, forte
dentro ai metalli l’anima: È l’ora! È l’ora!
L’ora ch’Ei viene. Ei viene, l’errante da secoli; il figlio
de la gran Madre, primo; Ei, l’inesausto core,
l’antichissimo seme, la giovine forza, l’eterna
verginità, il fresco impeto, l’opra rude,
con nel quadrato petto le fiamme de’ sogni, le seti
de le conquiste, i germi d’ogni futuro bene;
certo ed ignaro; colmo di fati; palladio di tutte
speranze il Popol balza a le soglie. È l’ora!
Non altrimenti cupa la forza de’ fiumi dirompe
li argini, sommerge, impetuosa trae,
quella che lenta crebbe fra placide rive, fra molli
clivi, lambendo neri boschi o marmoree case,
poi, d’improvviso, urgendo suo non coercibile pondo,
dal sormontato carcere precipita;
tal, dopo lunga notte di secoli, chiuso alenando
contro suoi ceppi, gonfio di smisurate trame,
dove lo tragge il Tempo, il Fato, la Legge, la Forza,
il Dio, s’avventa per trionfata via.
Viene in suo vasto regno, vien, Demos adolescente,
ei la selvaggia possa, l’aspra centaurea prole!
Adolfo De Bosis
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