(Napoli, 14 ottobre 1569 – Napoli, 25 marzo 1625)
è stato un poeta e scrittore italiano, suddito del Regno di Napoli.
Figlio
di un giureconsulto, fu avviato riluttante agli studi di legge.
Frequentò giovanissimo letterati e mecenati. Protetto prima dal duca
Ascanio Pignatelli, poi dal duca Innigo de Guevara, dal 1592 entrò al
servizio di Matteo di Capua principe di Conca. Fin da allora la sua più
grande aspirazione era quella di vivere all'ombra di un potente sovrano:
la corte come occasione di fortuna, di avventura, unico spazio che gli
consentisse libero sfogo alle sue doti di artista. Nel 1598 è
imprigionato, forse per aver costretto una ragazza a abortire. Nel 1600 è
di nuovo in prigione per falsificazione di bolle vescovili. Fugge via
da Napoli, è a Roma, al servizio del cardinale Pietro Aldobrandini. Nel
1606 è a Ravenna, nel 1608-1611 a Torino alla corte di Carlo Emanuele
Savoia. E' un periodo di grossi successi, di polemiche ma anche di
tribolazioni. Clamoroso lo scontro con il segretario del duca, il poeta
Gaspare Murtola: Murtola giunse a aggredirlo sulla pubblica via, e per
questo fu incarcerato e allontanato dal regno. Nel 1611, non si sa bene
perché, anche Marino fu imprigionato. In alcune lettere, specie in una
famosa al conte Ludovico d'Aglié del 10 febbraio 1612, descrive con
realismo e amara comicità la sua vita in carcere. Nel 1615 il suo sogno
di poeta cortigiano si realizza. Maria Medici vedova di Enrico IV, lo
invitò alla corte di Francia. Fino al 1623 restò a Parigi, onorato
pagato stimato. Qui raccolse, concluse e organizzò tutta la sua opera.
La salute malferma e i disordini della vita politica francese lo
spinsero a Napoli. Gli onori tributatigli a gara dalle due accademie,
degli Infuriati e degli Oziosi, non riuscirono a fargli dimenticare le
polemiche di molti letterati contro la sua poesia. Tra queste, quella
scatenata da T. Stigliani, che coinvolse A. Aprosio, G. Aleandro, S.
Errico. Il suo "Adone" ebbe anche una dura condanna ecclesiastica.
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