sabato 21 novembre 2020

Giorgio Amendola

Gioventù e lotta antifascista [modifica]

Sua madre era l'intellettuale lituana Eva Kuhn.

La sua giovinezza fu sconvolta dalla notizia della morte del padre Giovanni Amendola, liberale antifascista aggredito dalle squadre fasciste e deceduto a Cannes nel 1926, in seguito alle percosse ricevute. Dopo questo episodio, Giorgio Amendola aderì al PCI (1929). In seguito iniziò un'attività politica clandestina a Parigi dopo essersi laureato in Legge. Arrestato nel giugno del 1932 mentre era in missione clandestina a Milano, non veniva processato dal Regime per evitare il possibile clamore che ciò avrebbe suscitato. Veniva così inviato, al confino sull'isola di Ponza dove il 10 luglio 1934 Giorgio e la sua fidanzata francese, Germaine Lecocq, si sposarono civilmente. Liberato nel 1937, fuggiva in Francia e poi in Tunisia, per tornare nuovamente in Francia, sul finire del 1939. Rientrava in Italia solo nell'aprile 1943 per partecipare alla Resistenzatra le file del PCI e delle brigate Garibaldi del cui Comando generale entrò a far parte insieme a Luigi Longo, Pietro Secchia, Gian Carlo Pajetta e Antonio Carini. Nel marzo del 1944 fu l'ideatore dell'attacco dinamitardo di via Rasella, eseguita da partigiani comunisti dei Gruppi di Azione Patriottica e a cui tedeschi reagirono con l'eccidio delle Fosse Ardeatine. L'azione fu pianificata in seguito al successo di un attacco sferrato a via Tomacelli, e fu scelta come data simbolica il 23 marzo perché anniversario della fondazione dei Fasci italiani di combattimento. Amendola, in particolare scrisse in seguito: «Pertini, che mordeva il freno e che, nel suo ben noto patriottismo di partito, era geloso delle prove crescenti di capacità e di audacia date dai Gap, chiese che si concordasse un'azione armata unitaria». Pertini, Bauer e Brosio respinsero la proposta di Spataro, ma la giunta non accolse neanche la richiesta di Amendola. La frattura in seno alla giunta fu ricomposta solo pochi giorni dopo, con un comunicato del CLN nazionale in cui si stigmatizzava "la barbara rappresaglia delle Fosse Ardeatine". Per il suo ruolo di membro della giunta militare del CLN, nel 1948 Amendola fu chiamato a testimoniare, insieme a Bauer e Pertini, al processo di Herbert Kappler (il responsabile della strage delle Fosse Ardeatine). Al processo i tre confermarono che l'attacco fu conforme alle disposizioni del CLN. Tale visione fu nuovamente confermata da Pertini in un'intervista del 1977:

  « Le azioni contro i tedeschi erano coperte dal segreto cospirativo. L'azione di via Rasella fu fatta dai Gap comunisti. Naturalmente io non ne ero al corrente. L'ho però totalmente approvata quando ne venni a conoscenza. Il nemico doveva essere colpito dovunque si trovava. Questa era la legge della guerra partigiana. Perciò fui d'accordo, a posteriori, con la decisione che era partita da Giorgio Amendola.»
   

Nel 1945-1946, dopo la liberazione, fu sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei governi Parri e De Gasperi I. Dal 1948 fino alla morte fu deputato per il Partito Comunista Italiano, al cui interno ebbe molti incarichi. È stato a lungo punto di riferimento della corrente riformista del partito, che auspicava una stretta collaborazione con i socialisti. Nel 1971 fu tra i firmatari della lettera aperta pubblicata sul settimanale L'Espresso sul caso Pinelli. Dal 1967 in poi Giorgio Amendola si occupò anche di scrittura: tra le opere più importanti ricordiamo Comunismo, antifascismo e Resistenza (1967); Lettere a Milano (1973); Intervista sull'antifascismo (1976 in cui risponde alle pungenti domande di Piero Melograni; il libro comparirà fra i primi nella serie dei libri-intervista; Una scelta di vita (1976) e Un'isola (1980, considerata la sua opera migliore). Tutti questi libri, autobiografici ed incentrati sul tema dell'antifascismo e della Resistenza, sono pervasi da un sottile sentimento di tristezza e solitudine. Attraverso la propria vicenda, Amendola vuole far capire al lettore cosa prova un uomo che non ha più la libertà e che prova su di sé il dramma del confino, dell'esilio e del carcere. Lo stile usato, semplice e scorrevole, contribuì a una buona diffusione di tutte le opere amendoliane. Secondo alcuni politologi Giorgio Amendola fu precursore di un tentativo di dare vita ad una sinistra di stampo europeo, radicato nella tradizione laica e liberale; lo ha confermato Giorgio Napolitano (sempre definitosi suo "allievo"), quando, nel discorso tenuto a Torino il 15 ottobre 2009, ha affermato che "Giorgio non solo apparteneva alla stessa generazione di Norberto, ma era 'molto legato' - come qualche anno dopo la sua morte Bobbio ricordò - 'alla tradizione antifascista torinese', e non cancellò mai del tutto dalla sua formazione il filone di liberalismo democratico impersonato da Piero Gobetti, né tantomeno 'l'insegnamento di suo padre, che di quella corrente di democrazia liberale era stato' (scrisse sempre Bobbio) 'un teorico e un coraggioso combattente". Il vigoroso convincimento con cui sosteneva l'ammodernamento europeista del PCI e la lotta determinata al terrorismo degli anni Settanta, non lo indussero mai a ripensare criticamente il proprio operato nel corso della guerra partigiana, né fu mai da lui accostato all'azione eversiva del terrorismo di matrice comunista e blanquista attivo in Italia negli Anni di piombo, tracciando una ben precisa linea di differenziazione fra l'Italia fascista post-8 settembre 1943 e le strutture democratiche dell'Italia repubblicana, scaturita proprio dalla Resistenza. Amendola morì a Roma, all'età di settantatré anni, a causa di una malattia. Poche ore dopo il suo decesso, scomparve anche l'amata moglie Germaine Lecocq, conosciuta a Parigi negli anni dell'esilio, che lo aveva aiutato nella redazione del suo ultimo manoscritto. La loro figlia, Ada, era morta nel 1974 all'età di soli trentotto anni.

 

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