Scopo della commemorazione di tutti i defunti in passato era quello di suffragare i morti; di qui le Messe, la novena, l’ottavario,le preghiere al cimitero. Questo scopo naturalmente rimane; ma oggi ne avvertiamo un altro altrettanto urgente:creare nel corso dell’anno un’occasione per pensare religiosamente,cioè con fede e speranza, alla propria morte. Spezzare la congiura del silenzio riguardo a essa. Quando nasce un uomo,diceva sant’Agostino, si possono fare tutte le ipotesi: forse sarà bello, forse sarà brutto; forse sarà ricco, forse sarà povero,forse vivrà a lungo ,forse no. Ma di nessuno si dice:forse morirà, forse non morirà. Questa è la unica cosa assolutamente certa della vita. Quando sentiamo che qualcuno è malato di idropisia (al tempo del santo, questa era la malattia incurabile), diciamo: Poveretto,deve morire; è condannato, non c’è rimedio! ". Ma non dovremmo, aggiunge, dire la stessa cosa di ogni uomo che nasce: " Poveretto, deve morire, non c’è rimedio " ? Un poeta spagnolo dell’Ottocento, Gustavo Bécquer, paragona la vita umana alla onda che il vento spinge sul mare, che avanza vorticosamente senza sapere su quale spiaggia andrà a infrangersi; a una candela prossima a esaurirsi, che brilla in cerchi tremolanti, ignorando quale di essi per ultimo brillerà; e conclude: " Così sono io che mi aggiro per il mondo, senza pensare,da dove vengo, né dove i miei passi mi condurranno". Questa percezione mesta,a volte tragica,della morte è comune a tutti, credenti e non, ma la fede cristiana ha una parola nuova risolutiva, che oggi dovrebbe risuonare nella Chiesa e nei cuori, una cosa semplice e grandiosa:che la morte c’è, che è il più grande dei nostri problemi, ma che Cristo ha vinto la morte! La morte non è più la stessa di prima,un fatto decisivo è intervenuto. Essa ha perso il suo pungiglione, come un serpente il cui veleno è capace solo di addormentare la vittima per qualche ora, ma non di ucciderla. "La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? " ( 1 Cor 15,55). Il cristianesimo non si fa strada nelle coscienze con la paura della morte, ma con la morte di Cristo. Gesù è venuto a liberare gli uomini dalla paura della morte , non ad accrescerla. Ai cristiani angustiati per la morte di alcuni cari, San Paolo scriveva: "Fratelli, non vogliamo lasciarvi nell’ignoranza circa quelli che sono morti,perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza, noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui...Confortatevi, dunque, a vicenda con queste parole " Ma come ha vinto la morte Gesù? Non evitandola o ricacciandola indietro, come un nemico da sbaragliare. Ma subendola, assaporandone tutta l’amarezza. Non abbiamo davvero un sommo sacerdote che non sappia compatire la nostra paura della morte ! Tre volte nei vangeli si leggeche Gesù pianse e, di queste,due furono per un morto. Nel Getsemani egli ha provato, come noi, “ paura e angoscia ” di fronte alla morte. Che cosa è successo, una volta che Gesù ha varcato la soglia della morte? L’uomo mortale nascondeva dentro di sé il Verbo di Dio,che non può morire. Una breccia è stata aperta per sempre attraverso il muro della morte. Grazie a Cristo, la morte non è più un muro davanti al quale tutto si infrange; è un passaggio, cioè una Pasqua. È una specie di “ ponte dei sospiri ”, attraverso il quale si entra nella vita vera,quella che non conosce la morte. Confortiamoci a vicenda, anche noi, con queste parole.
Autore:Domenico Agasso
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