Maggio è il periodo in cui spesso molti popoli si usa celebrare con riti la fecondità della natura, e in particolare della terra. In effetti è questo il momento in cui, più che in qualunque altro periodo dell'anno, nel mondo vegetale e animale la natura prepara o celebra il suo fecondo connubio. Caratteristici in questo mese sono gli amori degli animali e lo schiudersi dei fiori: i primi si manifestano con canti degli uccelli, nei gridi degli insetti, mentre il mondo vegetale riempie l'aria di profumi e di invisibili pollini fecondi che trasmigrano coinvolgendo, insieme ai canti degli uccelli, la vita stessa dell'uomo che, da parte sua, attraversa la stessa esperienza. Fino ai tempi più remoti l'uomo esternò questa percezione d'un momento particolare, intenso e vitale della natura, in segni esteriori il cui ricordo, o la cui eco, è percepibile anche nelle usanze ancora vive. A Roma, dal 30 aprile al 3 di maggio, si celebravano in onore della dea Flora, antica dea italica della primavera il cui culto i romani derivarono dai sabini, i Ludi floreales o Florealia, istituiti nel 241 aC, giochi che nel loro stesso clima di licenziosità, tradivano il ricordo o la parentela con i culti della fecondità. Anche le feste del maggio, particolarmente sentite nel Medio Evo, hanno all'incirca questo stesso denominatore comune, e anche di queste usanze alcune si sono tramandate fino ai giorni nostri.
Calendimaggio
né chioma di faggio,
né canto d'augello,
né fior di giaggiolo
v'è che mi piaccia,
valente donna gaia,
fin che un lesto massaggio non riceva...
dice questa composizione di Raimbant de Vequeiras poeta 1155/1205. In alcune regioni veniva eletta la regina del Maggio, riconducibile al simbolo della fecondità, in altre parti un re e una regina, nella cui coppia un'immagine concreta della fecondità.
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