sabato 22 agosto 2020

.Piero Maroncelli

 

Passiamo per le vie da anni senza domandarci chi è il personaggio che le ha dato nome. Io ho un ricordo di gioventù al mare a Viareggio, in una casa in affitto con la mia famiglia in via...........Piero Maroncelli
(Forlì, 21 settembre 1795 – New York, 1º agosto 1846)
è stato un patriota, musicista e scrittore italiano, universalmente conosciuto come Piero, noto anche per essere stato processato in quanto carbonaro e imprigionato allo Spielberg con Silvio Pellico.Piero Maroncelli intraprese varie carriere tra cui quella di musicista, poeta, memorialista e patriota. Nacque da agiati mercanti, Antonio Maroncelli e Maria Iraldi Bonet (o Bonnet), che, accortisi della sua grande disposizione per la musica lo avviarono agli studi, prima a Forlì, poi al conservatorio di Napoli, il più celebre d'allora dove ebbe come maestri Paisiello e Zingarelli e come condiscepoli Mercadante, Nicola Antonio Manfroce, Bellini e Lablache. Affiliato alla loggia massonica "Colonna Armonica", ne venne espulso nel 1813 e due anni dopo aderì alla carboneria, venendone iniziato insieme al fratello Francesco. Dopo la morte di Gioacchino Murat, fucilato il 13 ottobre 1815 al Pizzo in Calabria, Piero Maroncelli tornò a Forlì e andò a perfezionarsi in composizione a Bologna. Qui conobbe la musicista e poetessa Cornelia Martinetti, ostile agli Austriaci e ospitale ai patrioti, con cui si frequentò per circa due anni; in questo periodo Maroncelli era in corrispondenza anche con Sante Agelli. Richiamato dal padre a Forlì, Maroncelli scrisse testo e melodia di un inno sacro, l'Inno a san Giacomo, che venne denunziato per «ribellione ed empietà» non tanto per le parole contenute ma per il sospetto della polizia che Maroncelli fosse un carbonaro, società segreta contro gli Austriaci, in quel periodo occupanti dell'Italia settentrionale. Fu così rinchiuso nella fortezza di Forlì nel 1819 e da lì trasferito a Roma a Castel Sant'Angelo. In questo primo periodo di prigionia, ancora forte d'animo, si lasciò tormentare senza rivelare i nomi dei suoi complici e senza ritrattare i suoi principi liberali. Rilasciato dopo alcuni mesi, "per intercessione di un cardinale e di Teresa Chiaramonti, nipote del papa Pio VII e sposa del conte forlivese Antonio Gaddi", fu ospite a Pavia del fratello Francesco, medico e patriota anch'esso; trasferitosi a Milano, vi si mantenne dando lezioni di musica e lavorando per lo stabilimento musicale Ricordi; scrisse una biografia di Arcangelo Corelli; successivamente, dal novembre 1819 al marzo 1820, si impegnò prima come traduttore presso l'editore Niccolò Bettoni e poi come revisore di bozze per la stampa delle opere di Antonio Marchisio alla tipografia Battelli. Scoppiata la rivoluzione di Napoli che esaltò gli Italiani, Maroncelli si pose in relazione con i più influenti liberali lombardi per far propaganda ad una federazione che comprendesse tutti gli Stati italiani. Maroncelli incontrò Silvio Pellico in casa Marchionni ed ivi nacque la loro amicizia. Pellico fu persuaso e convinto dall'amico ad iscriversi alla carboneria in quanto non ancora membro; perciò quando Maroncelli venne arrestato il 6 ottobre 1820 fu compromesso anch'egli perché il compagno commise l'imperdonabile leggerezza di conservare carte rivelatrici. Con loro vennero scoperti molti altri ma la sua grandezza d'animo permise a Pellico di non serbare rancore nei confronti dell'affiliato nemmeno per le rivelazioni che fece in lunghi interrogatori prima a Milano e poi a Venezia dove i due erano stati trasferiti. Con sentenza del 21 febbraio 1822, avvenuta in pubblico su un patibolo in mezzo alla piazzetta di San Marco di faccia al palazzo ducale, Maroncelli fu condannato a morte ma l'imperatore (probabilmente grazie alle rivelazioni fatte) commutò la pena in 20 anni per lui e in 15 per Silvio Pellico di carcere duro nella fortezza dello Spielberg in Moravia dove giunsero il 10 aprile dello stesso anno. Dopo una gravissima malattia Silvio Pellico ottenne di essere ricongiunto, nel 1823, a Maroncelli, al quale venne diagnosticato un tumore al ginocchio sinistro che non lasciava scelta riguardo all'amputazione dell'arto. Altre malattie lo assalirono nell'umida cella finché giunse la grazia ai due prigionieri, il 10 agosto 1830, dopo un carcere duro di 10 anni. A Mantova il povero mutilato fu separato da Silvio, e ricondotto a Forlì. Ma negli Stati pontifici, per un liberale condannato dall'Austria non spirava buon vento, e dopo alcune settimane gli venne impartito l'ordine di lasciare la famiglia e il Paese. Riparò quindi in Francia dove il governo di Luigi Filippo e la cordialità dei parigini lo accolsero amichevolmente. Ivi si ridestarono le sue speranze per l'indipendenza dell'Italia, quando seppe della sollevazione delle Romagne dagli Austriaci, le minacce d'intervento di questi ultimi e l'occupazione francese di Ancona che ne fu la conseguenza. Gli pareva logico che da ciò dovesse nascere l'abolizione del regime arbitrario negli Stati romani ma ben presto si convinse non solo della inverosimiglianza delle riforme, ma anche della poca fiducia da riporre nelle promesse dei liberali francesi. Pensò quindi di trasferirsi, dopo 3 anni di soggiorno a Parigi. Qui pubblicò le Addizioni alle Mie Prigioni, delle note in aggiunta alle Mie Prigioni scritte da Silvio Pellico e sposò la cantante Amalia Schneider, che gli fu compagna amorosa e devota. Nel 1833 s'imbarcò per gli Stati Uniti al seguito della compagnia d'opera del cavaliere Vincenzo Riva Finoli. Visse stentatamente a New York dando lezioni di musica e d'italiano. Nella città americana ebbe modo di fare amicizia con Lorenzo Da Ponte, librettista, poeta e drammaturgo di origine veneta, trasferitosi negli Stati Uniti. Si spense all'età di 50 anni dopo aver sofferto fino all'ultimo per la ferita mai rimarginata causata dall'amputazione e sopraggiunte turbe mentali che minarono gravemente le sue facoltà intellettuali. Nel 1886 i suoi resti mortali furono riportati a Forlì e, dopo solenni celebrazioni, il patriota fu tumulato nel Pantheon del Cimitero Monumentale cittadino.

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