Era il tramonto: ai garruli trastulli
erano intenti, nella pace d’oro
dell’ombroso viale, i due fanciulli.
Nel gioco, serio al pari d’un lavoro,
corsero a un tratto, con stupor de’ tigli,
tra lor parole grandi più di loro.
A sè videro nuovi occhi, cipigli
non più veduti, e l’uno e l’altro, esangue,
ne’ tenui diti si trovò gli artigli,
e in cuore un’acre bramosia di sangue;
e lo videro fuori, essi, i fratelli,
l’uno dell’altro per il volto, il sangue!
Ma tu, pallida (oh! i tuoi cari capelli
strappati e pésti!), o madre pia, venivi
su loro, e li staccavi, i lioncelli,
ed “A letto„ intimasti “ora, cattivi!„
A letto, il buio li fasciò, gremito
d’ombre più dense; vaghe ombre, che pare
che d’ogni angolo al labbro alzino il dito.
Via via fece più grosse onde e più rare
il lor singhiozzo, per non so che nero
che nel silenzio si sentia passare.
L’uno si volse, e l’altro ancor, leggiero:
nel buio udì l’un cuore, non lontano
il calpestìo dell’altro passeggero.
Dopo breve ora, tacita, pian piano,
venne la madre, ed esplorò col lume
velato un poco dalla rosea mano.
Guardò sospesa; e buoni oltre il costume
dormir li vide, l’uno all’altro stretto
con le sue bianche aluccie senza piume;
e rincalzò, con un sorriso, il letto.
G. Pascoli
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