Autoritratto
(Napoli, 22 luglio 1615 – Roma, 15 marzo 1673)
è stato un pittore, incisore e poeta italiano di epoca barocca.
Nato partenopeo, attivo a Roma e Firenze (oltre che nella città natia), fu un personaggio eterodosso e ribelle dalla vita movimentata, con atteggiamenti quasi pre-romantici.
(Napoli, 22 luglio 1615 – Roma, 15 marzo 1673)
è stato un pittore, incisore e poeta italiano di epoca barocca.
Nato partenopeo, attivo a Roma e Firenze (oltre che nella città natia), fu un personaggio eterodosso e ribelle dalla vita movimentata, con atteggiamenti quasi pre-romantici.
Suo
padre è l'avvocato Vito Antonio de Rosa, noto nell'ambiente napoletano.
La famiglia abita all'Arenella, all'epoca zona fuori dalle mura della
città partenopea. I voleri paterni, sin da quando il futuro pittore è
appena un bambino, sono orientati verso l'avvocatura o, in alternativa,
verso una carriera ecclesiastica. Nel 1621 il piccolo Salvator Rosa
perde il padre, che muore; la madre, Giulia Greca, lo abbandona insieme
con i suoi fratelli, Giuseppe e Giovanna, alle cure del nonno Vito. Il
passo successivo vede Salvator e suo fratello iscritti al convento dei
Padri Scolopi, anche se in alcune fonti successive alla vita del
pittore, tale collegio viene indicato appartenente alla Congregazione
Somasca. Ad ogni modo, sin da subito, il giovane studente rivela la
propria passione per il disegno e per l'arte in genere. È suo zio
materno ad impartirgli i primi rudimenti di pittura, per poi
indirizzarlo prima dal cognato Francesco Fracanzano e poi verso la
bottega del pittore Aniello Falcone, la cui influenza si avvertirà nei
suoi iniziali lavori. In questa fese di apprendistato, il pittore Rosa
ha tra i propri maestri anche Jusepe de Ribera, molto considerato a
Napoli. Giovanissimo, Salvator attira le attenzioni degli altri artisti
napoletani, grazie al suo luminoso talento. Il pittore Lanfranco
allora, vedendolo lavorare, gli consiglia di recarsi a Roma per qualche
anno onde ampliare i propri orizzonti artistici frequentando gli
ambienti più caldi della pittura. Nel 1634 pertanto si trasferisce
nella capitale. L'adesione che compie, dal punto di vista pittorico, in
questo periodo, lo lega alla Scuola dei Bamboccianti. Ben presto però
ne rinnega gli stilemi, pentendosi di aver preso parte all'indirizzo.
Contemporaneamente Rosa si dedica anche alla coreografia, allestendo le
scene di spettacoli carnascialeschi di carattere satirico,
collaborando con Claude Lorrain e Pietro Testa, artisti barocchi, e
facendo la conoscenza del Bernini,
con cui è sovente in disaccordo. Entro il 1636 però l'artista ritorna
nella sua città, Napoli. Comincia allora a dedicarsi all'esecuzione di
paesaggi con scene che rappresentano vere e proprie anticipazioni del romanticismo
pittorico, con soggetti movimentati, spesso drammatici. Svende questi
dipinti per pochi soldi, senza che il suo enorme talento venga compreso
negli ambienti di rilievo, restando all'ombra dei nomi che in quel
periodo dominano la scena artistica cittadina, come il suo maestro
Ribera, ma anche Battistello Caracciolo e Belisario Corenzio. Nel 1638
viene chiamato a Roma dal cardinale Francesco Maria Brancaccio, da poco
tempo nominato vescovo a Viterbo. Per Salvator Rosa è una piccola
svolta, perché l'ecclesiastico gli affida la sua prima opera di
carattere sacro, all'interno della chiesa Santa Maria della Morte.
L'opera che realizza è "L'Incredulità di Tommaso", per l'altare della
chiesa; in quest'occasione il pittore fa la conoscenza del poeta Abati,
con cui stringe un'amicizia sincera. È proprio il letterato,
successivamente, ad incoraggiare Rosa dal punto di vista poetico e
letterario. Nell'autunno del 1639 Rosa è a
Firenze. Qui vi rimane, secondo le fonti, per circa otto anni,
promuovendo l'Accademia dei Percossi che riunisce poeti, letterati e
pittori. Si deve sempre a lui se il noto poeta e pittore Lorenzo Lippi
abbia deciso di cominciare il suo poema dal titolo "Il Malmantile
Racquistato". L'artista partenopeo per un
certo periodo alberga a Volterra, presso Ugo e Giulio Maffei, altri
accademici. Al contempo, ormai versato in più ambiti artistici,
compone le sue celebri "satire", dedicate rispettivamente alla musica,
alla pittura, alla poesia e alla guerra. È proprio in questo momento
florido della sua vita artistica che il pittore napoletano, per via
della scelta dei suoi soggetti bellici e movimentati, viene
soprannominato "Salvator delle battaglie", autore come detto di
grandiose e sceniche guerriglie per mari e via terra (splendido un suo
dipinto custodito al Louvre, dal titolo "Battaglia eroica"). Tuttavia il suo catalogo non si esaurisce all'unico tema della battaglia. Un famoso suo autoritratto, custodito agli Uffizi,
è realizzato proprio in questo periodo fiorentino. Inoltre il pittore
si dedica anche a soggetti di tipo esoterico e magico, come il
dipinto "Streghe e incantesimi", oltre ad opere dal taglio più
allegorico e filosofico (si guardi al celebre dipinto "La Fortuna"). Successivamente,
Rosa sarebbe rientrato a Roma, luogo poi della sua morte. Qui, ormai
apprezzato da tutto l'ambito artistico della capitale, avrebbe
prodotto alcuni dipinti con soggetti differenti rispetto al passato.
Scompaiono i paesaggi turbolenti, per lasciare il posto a nuovi
soggetti di tipo classicheggiante, come il noto "La morte di Socrate".
A questo periodo tuttavia, risalgono alcuni suoi capolavori, come il
celebre dipinto dal titolo "Lo spirito di Samuele evocato davanti a
Saul dalla strega di Endor", poi comperato da re Luigi XIV e dall'afflato mitologico. Resta
da aggiungere, in merito alla vita dell'artista di Napoli, una nota
dal carattere oscuro, riguardante la sua partecipazione alla così
denominata "Compagnia della Morte", un'associazione nata per "uccidere"
persone di nazionalità spagnola a seguito di un assassinio subìto da
alcuni membri della compagnia. Sebbene poco si sappia del ruolo da lui
ricoperto all'interno della società segreta, è indubbio che Rosa vi
abbia fatto parte, quasi certamente prima di fare ritorno definitivo
nella capitale. Anzi, il suo rientro a Roma, quasi sicuramente sarebbe
stato causato dall'arrivo degli austriaci, i quali avrebbero sciolto
la cosiddetta "compagnia". Muore a Roma,
all'età di 57 anni. Il suo corpo è sepolto in Santa Maria degli Angeli
con un monumento eretto dal figlio Augusto.
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