giovedì 22 luglio 2021

Salvator Rosa

 

Autoritratto
(Napoli, 22 luglio 1615Roma, 15 marzo 1673)
è stato un pittore, incisore e poeta italiano di epoca barocca.
Nato partenopeo, attivo a Roma e Firenze (oltre che nella città natia), fu un personaggio eterodosso e ribelle dalla vita movimentata, con atteggiamenti quasi pre-romantici.
Suo padre è l'avvocato Vito Antonio de Rosa, noto nell'ambiente napoletano. La famiglia abita all'Arenella, all'epoca zona fuori dalle mura della città partenopea. I voleri paterni, sin da quando il futuro pittore è appena un bambino, sono orientati verso l'avvocatura o, in alternativa, verso una carriera ecclesiastica. Nel 1621 il piccolo Salvator Rosa perde il padre, che muore; la madre, Giulia Greca, lo abbandona insieme con i suoi fratelli, Giuseppe e Giovanna, alle cure del nonno Vito. Il passo successivo vede Salvator e suo fratello iscritti al convento dei Padri Scolopi, anche se in alcune fonti successive alla vita del pittore, tale collegio viene indicato appartenente alla Congregazione Somasca. Ad ogni modo, sin da subito, il giovane studente rivela la propria passione per il disegno e per l'arte in genere. È suo zio materno ad impartirgli i primi rudimenti di pittura, per poi indirizzarlo prima dal cognato Francesco Fracanzano e poi verso la bottega del pittore Aniello Falcone, la cui influenza si avvertirà nei suoi iniziali lavori. In questa fese di apprendistato, il pittore Rosa ha tra i propri maestri anche Jusepe de Ribera, molto considerato a Napoli. Giovanissimo, Salvator attira le attenzioni degli altri artisti napoletani, grazie al suo luminoso talento. Il pittore Lanfranco allora, vedendolo lavorare, gli consiglia di recarsi a Roma per qualche anno onde ampliare i propri orizzonti artistici frequentando gli ambienti più caldi della pittura. Nel 1634 pertanto si trasferisce nella capitale. L'adesione che compie, dal punto di vista pittorico, in questo periodo, lo lega alla Scuola dei Bamboccianti. Ben presto però ne rinnega gli stilemi, pentendosi di aver preso parte all'indirizzo. Contemporaneamente Rosa si dedica anche alla coreografia, allestendo le scene di spettacoli carnascialeschi di carattere satirico, collaborando con Claude Lorrain e Pietro Testa, artisti barocchi, e facendo la conoscenza del Bernini, con cui è sovente in disaccordo. Entro il 1636 però l'artista ritorna nella sua città, Napoli. Comincia allora a dedicarsi all'esecuzione di paesaggi con scene che rappresentano vere e proprie anticipazioni del romanticismo pittorico, con soggetti movimentati, spesso drammatici. Svende questi dipinti per pochi soldi, senza che il suo enorme talento venga compreso negli ambienti di rilievo, restando all'ombra dei nomi che in quel periodo dominano la scena artistica cittadina, come il suo maestro Ribera, ma anche Battistello Caracciolo e Belisario Corenzio. Nel 1638 viene chiamato a Roma dal cardinale Francesco Maria Brancaccio, da poco tempo nominato vescovo a Viterbo. Per Salvator Rosa è una piccola svolta, perché l'ecclesiastico gli affida la sua prima opera di carattere sacro, all'interno della chiesa Santa Maria della Morte. L'opera che realizza è "L'Incredulità di Tommaso", per l'altare della chiesa; in quest'occasione il pittore fa la conoscenza del poeta Abati, con cui stringe un'amicizia sincera. È proprio il letterato, successivamente, ad incoraggiare Rosa dal punto di vista poetico e letterario. Nell'autunno del 1639 Rosa è a Firenze. Qui vi rimane, secondo le fonti, per circa otto anni, promuovendo l'Accademia dei Percossi che riunisce poeti, letterati e pittori. Si deve sempre a lui se il noto poeta e pittore Lorenzo Lippi abbia deciso di cominciare il suo poema dal titolo "Il Malmantile Racquistato". L'artista partenopeo per un certo periodo alberga a Volterra, presso Ugo e Giulio Maffei, altri accademici. Al contempo, ormai versato in più ambiti artistici, compone le sue celebri "satire", dedicate rispettivamente alla musica, alla pittura, alla poesia e alla guerra. È proprio in questo momento florido della sua vita artistica che il pittore napoletano, per via della scelta dei suoi soggetti bellici e movimentati, viene soprannominato "Salvator delle battaglie", autore come detto di grandiose e sceniche guerriglie per mari e via terra (splendido un suo dipinto custodito al Louvre, dal titolo "Battaglia eroica"). Tuttavia il suo catalogo non si esaurisce all'unico tema della battaglia. Un famoso suo autoritratto, custodito agli Uffizi, è realizzato proprio in questo periodo fiorentino. Inoltre il pittore si dedica anche a soggetti di tipo esoterico e magico, come il dipinto "Streghe e incantesimi", oltre ad opere dal taglio più allegorico e filosofico (si guardi al celebre dipinto "La Fortuna"). Successivamente, Rosa sarebbe rientrato a Roma, luogo poi della sua morte. Qui, ormai apprezzato da tutto l'ambito artistico della capitale, avrebbe prodotto alcuni dipinti con soggetti differenti rispetto al passato. Scompaiono i paesaggi turbolenti, per lasciare il posto a nuovi soggetti di tipo classicheggiante, come il noto "La morte di Socrate". A questo periodo tuttavia, risalgono alcuni suoi capolavori, come il celebre dipinto dal titolo "Lo spirito di Samuele evocato davanti a Saul dalla strega di Endor", poi comperato da re Luigi XIV e dall'afflato mitologico. Resta da aggiungere, in merito alla vita dell'artista di Napoli, una nota dal carattere oscuro, riguardante la sua partecipazione alla così denominata "Compagnia della Morte", un'associazione nata per "uccidere" persone di nazionalità spagnola a seguito di un assassinio subìto da alcuni membri della compagnia. Sebbene poco si sappia del ruolo da lui ricoperto all'interno della società segreta, è indubbio che Rosa vi abbia fatto parte, quasi certamente prima di fare ritorno definitivo nella capitale. Anzi, il suo rientro a Roma, quasi sicuramente sarebbe stato causato dall'arrivo degli austriaci, i quali avrebbero sciolto la cosiddetta "compagnia". Muore a Roma, all'età di 57 anni. Il suo corpo è sepolto in Santa Maria degli Angeli con un monumento eretto dal figlio Augusto.

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