Sacerdote
Copertino (Lecce), 17 giugno 1603–Osimo (Ancona), 18 settembre 1663
Patronato: Aviatori, Passeggeri di aerei, Astronauti
Etimologia: Giuseppe = aggiunto (in famiglia), dall'ebraico
Come il
francescano spagnolo s. Salvatore da Horta (1520-1567) che creava
molti problemi ai suoi confratelli per i continui prodigi che
operava, così anche s. Giuseppe da Copertino, li creava con il suo
levitare da terra e per le continue estasi. Giuseppe
Maria Desa, figlio di Felice Desa e di Franceschina, nacque il 17
giugno 1603 a Copertino (Lecce) in una stalla del paese. Il
padre, maestro nella fabbricazione dei carri, era persona di fiducia
dei signori locali, che a Copertino possedevano un castello; aveva
sposato Franceschina di famiglia benestante, industriosa e pia, che
aveva portato una discreta dote in ducati; insomma le condizioni
economiche erano soddisfacenti. Poi
il padre Felice, per fare un favore ad un amico, fece da garante per
un affare di mille ducati; a seguito del fallimento dell’amico,
Felice fu denunziato e perse la causa, dovette vendere la casa e
perse il lavoro, finendo in miseria con tutta la famiglia. Proprio quando stava per nascere il sesto figlio Giuseppe, andarono ad abitare in una stalla dove vide la luce il nascituro. Dopo
poco tempo il padre morì per il dispiacere e la vedova rimase sola
con i sei figli senza l’aiuto di nessuno; d’altronde la miseria era
grande in tutto il Salentino, i poveri contadini erano gravati dei più
assurdi balzelli come per esempio, cinque grana per ogni albero, a
causa dell’ombra che faceva sulla terra. La
povera vedova e i figli, vissero anni durissimi, Giuseppe Desa,
incapace d’imparare il mestiere del carpentiere o dello scarparo, faceva
il garzone in un negozio, dove si trovava meglio che a casa, anzi
specifichiamo nella piccola stalla adattata ad abitazione umana. In
paese lo chiamavano “Boccaperta” per la sua abituale distrazione; in
aggiunta, il creditore del padre ottenne dal Supremo Tribunale di
Napoli, che Giuseppe unico figlio maschio di Felice e Franceschina, una
volta raggiunta la maggiore età, fosse obbligato a lavorare senza
paga, fino a saldare il debito del defunto genitore. In
pratica gli si prospettava una vita senza speranza, da considerare
una vera e propria schiavitù; l’unico modo per sfuggire a questa
desolante prospettiva era farsi sacerdote o frate. Sacerdote
non era possibile, in quanto Giuseppe non sapeva niente di lettere e
istruzione, forse frate andava bene, perché occorrevano braccia per
lavorare e su questo non c’era difetto. La
scuola che aveva cominciato a frequentare, la dovette lasciare quasi
subito, a causa di un’ulcera cancrenosa che lo tormentò per cinque
anni e di cui guarì grazie ad un eremita di passaggio che la
massaggiò con dell’olio. A
quasi 17 anni, lasciò la madre e bussò alla porta dei Frati
Francescani Conventuali, convento detto della ‘Grottella’ a due passi
da Copertino, dove un suo zio era stato padre Guardiano, ma dopo un
periodo di prova fu mandato via, per la sua poca letteratura, per
semplicità ed ignoranza”. Passò
allora dai Francescani Riformati, ma anche questi dopo un po’ lo
rifiutarono, si diresse allora dai Cappuccini di Martina Franca, era il
15 agosto 1620, allora erano esigenti in fatto di cultura, vi restò
otto mesi, ma per la sua inettitudine procurava continui disastri,
aggravati da improvvise estasi durante le quali lasciava cadere piatti e
scodelle, i cui cocci venivano attaccati alle sue vesti in segno di
penitenza. Nel marzo 1621 fu
rimandato a casa, sostenendo che non era adatto alla vita spirituale né
ai lavori manuali. Aveva una incapacità naturale e una
preoccupazione soprannaturale, ma mentre la prima era evidente, la
seconda sfuggiva a tutti. Uscito
dal convento rivestito con pochi stracci, perché aveva perso una
parte del suo abito da laico, fu scambiato per un poco di buono,
assalito dai cani di una vicina stalla e quasi bastonato dai pastori;
fu respinto dallo zio paterno e persino la madre lo maltrattò,
rimproverandogli di essersi fatto cacciare dal convento e che per lui
non c’era posto. Grazie
all’interessamento dello zio materno, Giovanni Donato Caputo, riuscì
dopo molte insistenze a farsi accettare di nuovo dai Conventuali della
‘Grottella’, esponendo il suo caso per sfuggire alla condanna del
Tribunale; i frati presero a cuore la situazione e lo ammisero nella
comunità, prima come oblato, poi come terziario e finalmente come
fratello laico, aveva 22 anni e si era nel 1625. Addetto
ai lavori pesanti e alla cura della mula del convento, Giuseppe ben
presto espresse il desiderio di diventare sacerdote, sapeva appena
leggere e scrivere, ma intraprese gli studi con volontà e difficoltà;
quando dovette superare l’esame per il diaconato davanti al vescovo,
accadde che a Giuseppe, il quale non era mai riuscito a spiegare il
Vangelo dell’anno liturgico tranne un brano, il vescovo aprendo a caso
il libro domandò il commento delle frase: “Benedetto il grembo che ti
ha portato”, era proprio l’unico brano che egli era riuscito a
spiegare. Quando trascorsi i tre
anni di preparazione al sacerdozio, bisognava superare l’ultimo e più
difficile esame, i postulanti conoscevano il programma alla
perfezione, tranne Giuseppe; il vescovo ascoltò i primi che risposero
brillantemente all’interrogazione e convinto che anche gli altri
fossero altrettanto preparati, li ammise tutti in massa, era il 4
marzo 1628. Per la seconda volta
fra Giuseppe, superò l’ostacolo degli esami in modo stupefacente e fu
ordinato sacerdote per volere di Dio. Si
definiva fratel Asino, per la sua mancanza di diplomazia nel trattare
gli altri uomini, per la sua incapacità di svolgere un ragionamento
coerente, per il non sapere maneggiare gli oggetti, ciò nonostante
nel corso della sua vita ebbe tanti incontri con persone di elevata
cultura, con le quali parlava e rispondeva con una teologia semplice
ed efficace. Un professore
dell’Università francescana di S. Bonaventura di Roma, disse: “L’ho
sentito parlare così profondamente dei misteri di teologia, che non lo
potrebbero fare i migliori teologi del mondo”. Ad
un grande teologo francescano che chiedeva come conciliare gli studi
con la semplicità del francescanesimo, rispose: “Quando ti metti a
studiare o a scrivere ripeti: Signor, tu lo Spirito sei / et io la
tromba. / Ma senza il fiato tuo / nulla rimbomba”. Possedeva
il dono della scienza infusa, nonostante che si definisse “il frate
più ignorante dell’Ordine Francescano”; amava i poveri, alzava la
voce contro gli abusi dei potenti, ai compiti propri del sacerdote,
univa i lavori manuali, aiutava il cuoco, faceva le pulizie del
convento, coltivava l’orto e usciva umilmente per la questua. Amabile,
sapeva essere sapiente nel dare consigli ed era molto ricercato
dentro e fuori del suo Ordine. Dopo due anni di terribile aridità
spirituale, che per tutti i mistici è la prova più difficile a
superare, a frate Giuseppe si accentuarono i fenomeni delle estasi con
levitazioni; dava improvvisamente un grido e si elevava da terra
quando si pronunciavano i nomi di Gesù o di Maria, nel contemplare un
quadro della Madonna, mentre pregava davanti al Tabernacolo; una
volta volando andò a posarsi in ginocchio in cima ad un olivo,
rimanendovi per una mezz’ora finché durò l’estasi. In
effetti volava nell’aria come un uccello, fenomeni che ancora oggi
gli studiosi cercano di capire se erano di natura parapsicologica o
mistica; il fatto storico è che questi fenomeni sono avvenuti e in
presenza di tanta gente stupefatta, che s. Giuseppe da Copertino non
era un ciarlatano né un mago, ma semplicemente un uomo di Dio, il
quale opera prodigi e si rivela ai più umili e semplici. Comunque
frate Giuseppe costituì un problema per i suoi Superiori, che lo
mandarono in vari conventi dell’Italia Centrale, per distogliere da lui
l’attenzione del popolo, che sempre più numeroso accorreva a vedere
il santo francescano. Di lui si
interessò l’Inquisizione di Napoli, che lo convocò per capire di che
si trattasse e nel monastero napoletano di S. Gregorio Armeno,
davanti ai giudici, Giuseppe ebbe un’estasi; la Congregazione romana
del Santo Uffizio alla presenza del papa Urbano VIII, lo assolse
dall’accusa di abuso della credulità popolare e lo confinò in un luogo
isolato, lontano da Copertino e sotto sorveglianza del tribunale. Fu sballottolato da un convento all’altro, a Roma, Assisi, Pietrarubbia, Fossombrone e infine ad Osimo (Ancona). Aveva
familiarità con gli animali, con cui conversava e come si era
identificato in fratel Asino, così identificava gli altri uomini nelle
sembianze dell’animale che meglio simboleggiava le sue caratteristiche
di vita. Nel 1656 papa
Alessandro VII mise fine al suo peregrinare da un convento all’altro,
destinandolo ad Osimo dove rimase per sette anni fino alla morte,
continuando ad avere estasi, a sollevarsi da terra e ad operare
prodigi miracolosi. Morì il 18
settembre 1663 a 60 anni; fu beatificato il 24 febbraio 1753 da papa
Benedetto XIV e proclamato santo il 16 luglio 1767 da papa Clemente
XIII.
Riposa nella chiesa a lui dedicata ad Osimo; festa liturgica il 18 settembre.
Autore: Antonio Borrelli
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