Scrivere fa bene all’anima, rilassa la mente, aiuta la memoria.
Mette ordine nei pensieri e deterge. Rende puliti, sul serio. Una sessione di scrittura di mezz’ora è sufficiente per lasciarsi alle spalle una giornata indigesta e i suoi protagonisti.
Per la salute psicofisica la scrittura è l’equivalente delle pulizie di primavera, o di quando fai sparire tonnellate di fogli, carte e cianfrusaglie dalla scrivania o dalla postazione di lavoro.
Mette ordine nei pensieri e deterge. Rende puliti, sul serio. Una sessione di scrittura di mezz’ora è sufficiente per lasciarsi alle spalle una giornata indigesta e i suoi protagonisti.
Per la salute psicofisica la scrittura è l’equivalente delle pulizie di primavera, o di quando fai sparire tonnellate di fogli, carte e cianfrusaglie dalla scrivania o dalla postazione di lavoro.
Queste piccole consapevolezze mi accompagnano da tanto tempo. Da quando ho imparato ad associare lo scrivere di getto pensieri, emozioni, situazioni quotidiane ai momenti in cui – come ho realizzato da adulto – avevo evidentemente bisogno di staccare un attimo, prendere le distanze da ciò che mi circondava, azzerare e ripartire. Leggero e pulito come un sospiro di sollievo.
Ma allora si scrive per stare bene? Non lo so dire: la scrittura è una forma di arteterapia, ma essenzialmente credo che la questione vada affrontata da un altro punto di vista, parlando di scrittura consapevole. Non è propriamente corretto dire che scrivere ci fa guarire o stare meglio con noi stessi e gli altri. Piuttosto, scrivere di getto emozioni o pensieri o tenere un diario
è semplicemente un buon modo per prendersi del tempo, stare con noi
stessi, chiudere il mondo a chiave, tenerlo là fuori per qualche ora e,
soprattutto, disattivare per un po’ il pilota automatico del pensiero,
quel ritornello interiore ci ricorda sempre chi dovremmo essere, chi ci
hanno imposto di essere, come dovrebbero andare le cose, i particolari
del domani ci spaventano e quelli del passato che rimpiangiamo. In
sintesi, non è la scrittura di per sé a farci bene: siamo noi che la
utilizziamo in modo consapevole e spegniamo la mente per un po’. Quando la mente si tranquillizza, o il desiderio di cose irrealizzabili si acquieta, tutto è perfetto. Non può esserci disallineamento, infelicità, incomprensione. Rabbia.
Non è poco. La cosiddetta scrittura espressiva, o l’attività di scrittura creativa associata al racconto autobiografico, ci permette di ricodificare il mondo,
ricostruendo piano piano i nostri paradigmi, ossia le “finestre”
mentali attraverso cui osserviamo noi stessi e ciò che ci circonda.
Pertanto, se è vero che la felicità non è un punto di arrivo ma l’atteggiamento con cui percorrere la strada della vita, possiamo dire che scrivere è tremendamente importante e, se glielo permettiamo, ha un valore terapeutico. Anche se non coltiviamo il segreto sogno di diventare l’Umberto Eco del XXI secolo.
Scrivere ci aiuta a comunicare in modo chiaro, a descrivere emozioni, condividere esperienze e rapportarci agli altri. Ci aiuta a tirare fuori i pensieri dalla testa, a dare loro una forma. A guardarli meglio e a decidere se si tratta di questioni importanti o di dettagli. A definire obiettivi personali e di lavoro. C’è pertanto un legame molto forte tra la scrittura e lo sviluppo dell’intelligenza emotiva.
Scrivere vuol dire coltivare la gratitudine
Tutti vogliamo essere felici, è
un dato di fatto. Ma questo nel 99% dei casi non succede perché pensiamo
che la felicità giochi a nascondino, se ne stia sempre dietro l’angolo,
occultata nel futuro, in un domani indefinito. No. La felicità è una scelta fatta nel presente. Adesso. È una scelta semplice ed estremamente complessa allo stesso tempo. Niente giochi di parole: è semplice perché basta un clic; è difficile perché quel clic passa per il liberarsi da tutto un teatrino di congetture e immagini mentali che non servono, appesantiscono, producono infelicità, invidia, tristezza, frustrazione e conflitto.
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