ALLA LUNA.
Grato al piacer, che move
Da te, vergine Diva, e in sen mi piove,
Te canterò: m’insegna
Deh tu quell’armonía,
Che del pudico indegna
Orecchio tuo non sia,
Che parte stillar possa in cor del Saggio
Di quel dolce, ond’è pieno il tuo bel raggio.
Oh quante volte il giorno
Insultai col desío del tuo ritorno!
L’Ore in oscuro ammanto,
E con vïole ai crini,
T’imbrigliavano intanto
I destrieri divini,
E su l’apparecchiata argentea biga
Il Silenzio salía, tuo fido auriga.
Perchè sola ti vede,
Sola l’ignaro vulgo in ciel ti crede:
Ma il Riposo, la Calma,
Del meditar Vaghezza,
Ogni Piacer dell’alma,
La gioconda Tristezza,
E la Pietà, con dolce stilla all’occhio,
Ti stanno taciturne intorno al cocchio.
Cieco io divenga, s’io
Di levare a te lascio il guardo mio;
O che in cammin notturno
Per fosca ombrata sponda
Vegga il tuo viso eburno
Splender tra fronda e fronda,
O sieda in riva di tranquillo fiume,
Che l’onde sue rincrespi entro il tuo lume.
E allor che infermo e stanco
Trarrò nelle giornate ultime il fianco,
Che al tuo silenzio opaco
Mi fia l’errar fatica,
Mi fia la selva, e il laco
Solo delizia antica,
Nel mio ritiro un de’ tuoi rai discenda,
E sul bianco mio crin dolce risplenda.
Ippolito Pindemonte
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