De la famosa pasta Maccheronica,
Togliendola al silenzio, e a la rubigine
Per celebrarla su la cetra armonica.
Esci da i regni pieni di caligine
A rallegrar la gente malinconica,
O padre Berni, e la tua lira imprestami,
E le dolci tue grazie in petto destami.
Neppure un dente, i Maccheroni ingozzano;
Non favellano più di certe tattere,
E tutto il mento di butirro insozzano.
Quand’ ecco un uom di giovïal carattere,
Fra quanti begli umori ivi si accozzano,
Ama il silenzio lietamente rompere,
E in cotai voci al fin s’ ode prorompere:
Zughetti, fricassee, torte, pastiglie,
Distruggitrici in questa età de gli uomini,
Io vi reputo men de le quisquiglie,
E fia sempre che v’odii, e che vi abbomini.
Fumino pur le Galliche stoviglie
Ne le cucine sol de’ gentiluomini,
I quai con faccia dimagrata e tisica
Studian de’ cibi la moderna fisica.
Vietano bruscamente gl’Ippocratici
Di cercare le droghe, e di nutrirsene.
Abbianle i cuochi valorosi e pratici,
E godan essi usarle, e sbizzarrirsene.
Via di qua gl’insolenti olii aromatici,
Che presto fanno a maravalle girsene.
Ungano i Maccheroni il nostro esofago
Nemici de la febbre, e del sarcofago.
Con un tal cibo, che rallegra gli animi,
Qual cibo v’è che possa mai competere?
Dunque tra i più famosi e più magnanimi
Eroi s’innalzi Pulcinella a l’etere.
Tacque, ciò detto, e i commensali unanimi
Fecero plauso, anzi godean ripetere:
Muojan le droghe, che di vita privano,
E i Maccheroni eternamente vivano.
Iacopo Vittorelli
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