Le felci hanno un odore di bruciato
al controfuoco intenso di questo cielo opaco.
Se qua strusci la mano sulle prode
dove le groppe antidiluviane
finiscono in sussulti di acquattarsi
tra menta e ruta, ne accendi il profumo.
Risale il viottolo l’Orsigna
ma non toccare le forme delle rupi
friabili che le radici tengono
come liane, costrette – al vento pendule
che porta prima che all’occhio lo scroscio
d’una gelida vena dentro un botro.
Verdissimo, quasi marcio ripete
il pendio diboscato che a terrazze
sale verso la casa abbandonata
lassù in alto; ma non più in alto.
Non dà farina all’ostia del silenzio
la ruota ferma (anche quassù è domenica),
poco più oltre vi banchetta il corvo
dove il ponte lunghissimo traversa
la sassaia percorsa da più rivi
che s’ignorano limpidi tra loro:
vi solleva le pietre da una lama
d’acqua il pescatore, a piedi nudi,
di pesci addormentati nelle loro
oscure lamine. Áltera le cime
che chiudono la valle ignoto il senso
che Dio non è qui: non lo cercare.
Piero Bigongiari
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