sabato 16 maggio 2020

L'ombrellaio




 
Chi non conosce il grido dell'ombrellaio?
Chi non ha udito il suo richiamo, lungo, strascicato e quasi dolente che annunzia il mal tempo e incita a premunirsene? « Ombrellaio, donne! ».
Una pausa e poi una cantilena che indugia sulle vocali e le tiene lungamente, col naso:
«Chi ha ombrelli e ombrellini da accomodare... ».
L'ombrellaio gira per le strade del quartiere nelle mattinate autunnali e di primo inverno, durante le ore in cui gli uomini sono al lavoro.
Percorre lentamente le strade, di tanto in tanto a intervalli regolari, ripetendo il suo grido.
Finalmente qualcuna gli fa un cenno da una finestra, poi, discese le scale seguita dalla bambina che ancora non va a scuola, gli affida un parapioggia tartassato da mille acquazzoni, dissestato dal vento, tarmato, contorto.
L'artigiano ambulante si accoccola accanto al portone, con il dorso appoggiato allo stipite; depone accanto a sé la cassetta dove sono posti i ritagli di stoffa, le asticelle sottili di varia lunghezza da inserire nella raggiera dell'ombrello in sostituzione di quelli spezzati o mancanti, e poi refe, forbici, pinze...
Si mette subito al lavoro, alacre e silenzioso, scoraggiando la loquacità della cliente.
Tutt'al più scambia una parola con i maschietti che gli si affollano intorno, i quali sperano di rubargli un'asticella per farne l'arco di una freccia.
È giovane e un po' selvatico, d'aspetto tra rustico e zingaresco.
Di tutti i lavoratori randagi, l'ombrellaio è quello che meno si fa prendere dal gusto della città: è sicuro di non rimanerci, è sicuro di ritornarci.
 
Libero Bigiaretti

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