domenica 15 marzo 2020

Hāfez



Per esteso Khāje Shams o-Dīn Moḥammad Ḥāfeẓ-e Shīrāzī
è stato un mistico e poeta persiano. Il canzoniere (Divan) di Hafiz - il cui nome significa "Colui che sa recitare a memoria il Corano" - è un celebre classico della letteratura persiana. Nei suoi ghazal, che la gente più semplice adopera come oracolo (aprendo il libro a caso per leggerne due versi alla volta), si combinano toni diversi, di solito ma non sempre esattamente definiti erotici e mistici, e temi che spaziano da un supposto edonismo al panegirismo. I temi principali delle sue 500 ghazal sono l'amore; la celebrazione del vino e dell'ubriachezza; la messa a nudo dell'ipocrisia di coloro che si autodefiniscono guardiani, giudici ed esempi di rettitudine morale. Adattamenti, imitazioni e traduzioni delle poesie di Hāfez sono state pubblicate in tutte le lingue più diffuse. La vita e le opere di Hāfez sono state oggetto di analisi, commentari ed interpretazioni, e hanno influenzato in modo determinante la poetica persiana successiva al XIV secolo. La sua influenza nella vita degli iraniani è testimoniata dal frequente uso dei suoi poemi nella musica tradizionale persiana, nelle arti visuali e nella calligrafia persiana, e dal fāl-e hāfez; in italiano: «lettura di Hāfez»), una forma di divinazione che consiste nell'apertura a caso delle pagine del canzoniere per trarre dai versi poetici la risposta alla proprie domande. Il mausoleo che contiene la sua tomba si trova a Shiraz: realizzato su progetto dell'architetto francese André Godard, risale al 1935ed è un luogo di rilevante interesse turistico. Hāfez nacque in un periodo in cui la sua città era sottomessa alla signoria del principe ingiuide sunnita Abu Ishaq Inju, vassallo dei Mongoli e protettore dei poeti. A seguito di una sfortunata impresa bellica, il mecenate fu sconfitto e fatto giustiziare dal principe Mobarez al-Din Kirmani, un personaggio descritto come un uomo ascetico e bigotto che fece chiudere le taverne e altri luoghi malfamati di Shiraz - un provvedimento lamentato dal poeta nei suoi componimenti - inaugurando un periodo di austerità di costumi. Successivamente, Hāfez ottenne la protezione del principe e poeta Shah Shoja', figlio gaudente del precedente monarca, da lui stesso spodestato e fatto accecare. Il poeta registra indirettamente anche questo avvenimento, gioendo per la riapertura delle taverne della città decretata dal nuovo signore. Hāfez frequentò soprattutto l'ambiente della corte di Shiraz, città da cui pare si sia allontanato solo per un breve periodo, forse a causa di screzi e incomprensioni con Shah Shoja'. Forse tentò pure di imbarcarsi per l'India, ma secondo fonti tradizionali una tempesta nel porto lo convinse a rinunciare al viaggio. Nella sua poesia si vanta di essere ben noto anche fuori dei territori persiani, dall'Iraq al Bengala, un probabile indizio del fatto che egli godeva di grande fama mentre era ancora in vita. Frequentò altresì gli ambienti religiosi, e in vari componimenti d'occasione (soprattutto in mortem) tessé l'elogio di qadi, dottori e esponenti delle gerarchie religiose della città. Controversa è la questione del suo rapporto con l'ambiente delle confraternite sufi: benché egli amasse presentarsi, nel canzoniere, con un'identità sufi, queste confraternite sono, spesso e volentieri, "bacchettate" nelle poesie per loro ipocrisia o malaffare. Forse insegnò materie religiose nella locale madrasa. In ogni caso, egli mostra nei suoi versi una straordinaria cultura religiosa, attestata peraltro dallo stesso nom de plume - Hāfez - che significa «colui che ha memorizzato [il Corano]». Morì a Shiraz nel 1389 o 1390. Nel 1935 è stata eretta la tomba di Hafez ad opera dell'architetto francese André Godard. I suoi circa 500 poemi lirici ( ghazal ) sono notissimi in tutti i paesi dell'ecumene persiana, fatti oggetto di studio da numerosi commentatori e spesso appresi a memoria anche dalla gente più umile e meno istruita. Il suo Divan, aperto a caso, è usato ancor oggi come popolare libro di divinazione. Hāfez nei suoi componimenti canta il vino, le gioie e le pene amorose; ma soprattutto egli canta le grazie di un misterioso e innominato "amico" (talora presentato nelle maschere di un bel coppiere, di un mago zoroastriano, di un "turco predone", ma anche in quelle dell'assassino, del medico, del giocatore di polo ecc.) che tipicamente mostra crudeltà e indifferenza nei confronti della lauda incessante del poeta-amante, risultando in sostanza inafferrabile. Quanto Hāfez si riferisse a un amore terreno o a uno divino (mistico) è oggetto di controversia tra gli studiosi. Friedrich Rueckert, in versi spesso citati, esaltò la miracolosa capacità di Hāfez di parlare del "Sensibile" attraverso il "Sovrasensibile" e viceversa; la critica autoctona, che tende a ridurre gli aspetti trasgressivi e anomistici (vino, amore omoerotico) della poesia di Hāfez, accentuandone la lettura in chiave simbolica e misticheggiante, gli assegnò significativamente il titolo di «lingua dell'Invisibile». Oggi - almeno tra gli studiosi occidentali - è tuttavia prevalente una lettura in chiave panegiristica: l'amico cantato sarebbe spesso una sorta di controfigura del principe mecenate di turno. Tra gli studiosi italiani, tuttavia, Giovanni D'Erme, pur sottolineando i forti legami del poeta persiano con il proprio vissuto, ne pone pure in evidenza le forti somiglianze con il codice sapienziale dei trovatori provenzali e degli stilnovisti italiani. Per esempio, alla «Belle Dame sans Merci» dei primi - simbolo di un'inafferrabile Conoscenza definitiva - andrebbe accostato decisamente l'Amico da lui cantato. Alla base di queste somiglianze possono essere posti sia gli ovvi influssi spiegati dal finitimo al-Andalus musulmano, sia l'intensa circolazione delle idee che caratterizzò il Medio Evo e che permise la diffusione su ampie aree di duraturi stilemi letterari. In Occidente, fu conosciuto all'inizio attraverso la traduzione integrale del Divan compiuta da Joseph von Hammer-Purgstall (1812-1813). Fra i maggiori estimatori di Hāfez vi furono, in Germania, il poeta Friedrich Rueckert, altro suo rinomato traduttore, e soprattutto Goethe che si ispirò al poeta persiano nella composizione del celebre "West-östlicher Divan"; il poeta e filosofo americano Ralph Waldo Emerson ebbe modo di conoscerlo attraverso traduzioni tedesche, e una testimonianza del suo entusiasmo è presente nei "Persian Essays". In Italia fu studiato inizialmente dal pioniere dell'iranistica italiana, Italo Pizzi, che tradusse alcune decine di componimenti di Hāfez nella parte antologica della sua monumentale "Storia della poesia persiana" (2 volumi, del 1884). La prima traduzione antologica contemporanea è dovuta all'iranista Carlo Saccone, dell'Università di Bologna (1998); altre versioni sono dovute a Giovanni Maria D'Erme, dell'Università di Napoli "L'Orientale" (2004-2008) e a Stefano Pellò, con Gianroberto Scarcia dell'Università di Venezia (2005). Il manoscritto intitolato "Ghazāliyyāt" (Raccolta di ghazal), conservato in Tagikistan, è stato incluso dall'UNESCO, nel 2003, assieme a "Kulliyyāt" di Ubayde Zākāni, nel programma di tutela archivistica intitolato Memoria del mondo.

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