Verona (1889-1950)
Promosso
dalla Pro loco di Marano in collaborazione con il Comune e
Valpolicella Benaco Banca, nel cortile della tenuta Santa Maria
Valverde, località Gazzo di Marano. Ai partecipanti sarà distribuito un
opuscolo contenente biografia, fotografie e una trentina di ormai
introvabili poesie di questo autore, caduto nell'oblio «pur essendo una
delle voci più limpide e genuine della poesia italiana della prima
metà del Novecento». Sandro
Baganzani, insegnante e preside, fu un notabile della Verona fascista,
tanto da ottenere il posto di direttore al giornale L'Arena nel 1928. Ma
durò solo un anno: pubblicò una vignetta ironica sul matrimonio
disegnata dal pittore Angelo Dall'Oca Bianca, scapolo impenitente. Il
regime aveva varato la tassa sul celibato e Baganzani fu silurato. La
poesia di Baganzani è malinconica, crepuscolare. «Risente del suo
carattere introverso e apparentemente rude». «I temi più ricorrenti
sono le persone e le opere dei campi, la terra madre, la caccia,
l'amore, la vecchiaia e il pensiero della morte». Baganzani
rimase segnato dalla morte prematura di due dei suoi tre figli, avuti
dalla moglie Wanda Poli. Aveva partecipato come volontario alla Prima
guerra mondiale, ufficiale degli alpini. Ferito due volte, venne preso
prigioniero dagli austriaci e mandato al campo di Mauthausen, che poi il
nazismo avrebbe reso tristemente noto come uno dei suoi lager. Le
memorie di guerra affiorano in altre sue poesie. Della sua opera lo
scrittore e critico letterario Lionello Fiumi, che fu suo amico
fraterno, diceva: «È un canto in parole di tutti i giorni». Allievo
di Giovanni Pascoli a Bologna, Baganzani lo imita. «Come lui», «ama
usare termini tecnici molto precisi in ambito botanico e zoologico. Non
scrive alberi, ma specifica ciliegi, peschi, olivi, vigne, maraschi,
ontani o robinie. Non fiori, ma giacinti, viole, giaggioli, primule o
biancospini. E ancora erbe della nostra terra, come insalata
cappuccina, radicchi da campo, ortiche. Non scrive uccelli, ma
allodole, beccacce, calandre, quaglie e capinere». Ma accanto ecco
parole umili, di origine dialettale, «come i quarti per gli
appezzamenti di terra; il sengio come parete rocciosa; l'ombrìa...» A
congiurare per l'oblio di questo autore è stato il suo coinvolgimento
diretto, come si è detto, nel regime fascista: nel 1926 Baganzani
comandò la prima centuria della Milizia e guidò l'ufficio stampa del
Direttivo federale; nel 1930 fu presidente dell'Istituto di cultura
fascista e comandante dei Fasci giovanili. Fu assessore comunale a
Verona dal 1923 al 1926, nonché assessore provinciale dal 1927 al 1929.
Lasciata la Provincia, nell'anno del siluramento all'Arena, non volle
più assumere incarichi pubblici, pur rimanendo iscritto al Partito
nazionale fascista. «Ma a noi interessa il poeta, che merita di essere
fatto conoscere», conclude Degani. «È il nostro Gozzano».
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