venerdì 16 settembre 2022

Sandro Baganzani

 

Verona (1889-1950)
Promosso dalla Pro loco di Marano in collaborazione con il Comune e Valpolicella Benaco Banca, nel cortile della tenuta Santa Maria Valverde, località Gazzo di Marano. Ai partecipanti sarà distribuito un opuscolo contenente biografia, fotografie e una trentina di ormai introvabili poesie di questo autore, caduto nell'oblio «pur essendo una delle voci più limpide e genuine della poesia italiana della prima metà del Novecento». Sandro Baganzani, insegnante e preside, fu un notabile della Verona fascista, tanto da ottenere il posto di direttore al giornale L'Arena nel 1928. Ma durò solo un anno: pubblicò una vignetta ironica sul matrimonio disegnata dal pittore Angelo Dall'Oca Bianca, scapolo impenitente. Il regime aveva varato la tassa sul celibato e Baganzani fu silurato. La poesia di Baganzani è malinconica, crepuscolare. «Risente del suo carattere introverso e apparentemente rude». «I temi più ricorrenti sono le persone e le opere dei campi, la terra madre, la caccia, l'amore, la vecchiaia e il pensiero della morte». Baganzani rimase segnato dalla morte prematura di due dei suoi tre figli, avuti dalla moglie Wanda Poli. Aveva partecipato come volontario alla Prima guerra mondiale, ufficiale degli alpini. Ferito due volte, venne preso prigioniero dagli austriaci e mandato al campo di Mauthausen, che poi il nazismo avrebbe reso tristemente noto come uno dei suoi lager. Le memorie di guerra affiorano in altre sue poesie. Della sua opera lo scrittore e critico letterario Lionello Fiumi, che fu suo amico fraterno, diceva: «È un canto in parole di tutti i giorni». Allievo di Giovanni Pascoli a Bologna, Baganzani lo imita. «Come lui», «ama usare termini tecnici molto precisi in ambito botanico e zoologico. Non scrive alberi, ma specifica ciliegi, peschi, olivi, vigne, maraschi, ontani o robinie. Non fiori, ma giacinti, viole, giaggioli, primule o biancospini. E ancora erbe della nostra terra, come insalata cappuccina, radicchi da campo, ortiche. Non scrive uccelli, ma allodole, beccacce, calandre, quaglie e capinere». Ma accanto ecco parole umili, di origine dialettale, «come i quarti per gli appezzamenti di terra; il sengio come parete rocciosa; l'ombrìa...» A congiurare per l'oblio di questo autore è stato il suo coinvolgimento diretto, come si è detto, nel regime fascista: nel 1926 Baganzani comandò la prima centuria della Milizia e guidò l'ufficio stampa del Direttivo federale; nel 1930 fu presidente dell'Istituto di cultura fascista e comandante dei Fasci giovanili. Fu assessore comunale a Verona dal 1923 al 1926, nonché assessore provinciale dal 1927 al 1929. Lasciata la Provincia, nell'anno del siluramento all'Arena, non volle più assumere incarichi pubblici, pur rimanendo iscritto al Partito nazionale fascista. «Ma a noi interessa il poeta, che merita di essere fatto conoscere», conclude Degani. «È il nostro Gozzano».

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