(Genova, 20 aprile 1889 – 10 febbraio 1957)
è stato un poeta in lingua genovese e anche un pittore del Novecento.
Come altri artisti coevi - quali Luigi Navone, Adolfo Lucarini, Edoardo De Albertis ed Eugenio Baroni - non fu mai incline ad assoggettarsi al sistema e alle pressioni del periodo storico - il primo Novecento - in cui si trovò ad operare. Per procurarsi di che vivere lavorò come accordatore di pianoforti; fu grande nella poesia,
ma della sua opera rimangono anche dipinti a olio, disegni e pastelli,
spesso realizzati su materiali di fortuna. Pronipote per via materna del
violinista Camillo Sivori
(la madre si chiamava Gemma Arata, il padre anch'egli Edoardo), il
poeta nacque a Genova, primogenito di sei figli, in Piazza Colombo al n.
26 (una lapide ricorda la sua nascita). Edoardo Firpo fu una persona
schiva e visse sempre nella semplicità, pur entrando in contatto con
molti artisti genovesi e intellettuali dell'epoca, come Guido Gozzano (che conobbe nel suo soggiorno genovese, dal 1907 al 1914), Camillo Sbarbaro, Eugenio Montale, che nel 1935 scrisse la prefazione alla sua seconda opera "O fiore in to gotto", e Giorgio Caproni,
che apprezzava in modo particolare la sua opera. Dopo la I guerra
mondiale conobbe Ivo Rubini, fondatore del Circolo Culturale “All’insegna della Tarasca” di cui Firpo fece parte e che pubblicherà ‘O grillo cantadò. Fine conoscitore della letteratura genovese antica, fu anche membro dell'Associazione "A Compagna"
di Genova, dall'anno di fondazione, nel 1923. Frequentò l'Accademia
Ligustica di Belle Arti e un corso di Filosofia dell'Arte tenuto da
Adelchi Baratono (filosofo e docente di filosofia teoretica
all’Università di Genova). Nonostante i fecondi interessi culturali,
Firpo condusse una vita riservata e segnata dalle difficoltà
economiche, morendo in povertà. Fu un convinto oppositore del fascismo. Una lapide con una sua poesia in memoria dei partigiani è posta sulla chiesa dedicata a Sant'Antonino e situata poco distante dal cimitero monumentale di Staglieno. Arrestato dalle truppe tedesche il 10 gennaio 1945, per aver scritto, in una lettera indirizzata al fratello, una battuta in dialetto sul Duce, venne detenuto nella famigerata Casa dello Studente
di Genova e condannato alla deportazione; un mese dopo venne tuttavia
rilasciato; sul periodo trascorso nel carcere nazifascista scrisse anche
nel suo "Diario", peraltro incentrato sulla vita quotidiana del poeta e
le osservazioni paesaggistiche delle lunghe passeggiate sulle colline
appenniniche sopra Genova, fonte di ispirazione per molte delle sue
profonde e delicate liriche. Morì il 10 febbraio 1957, a seguito di apoplessia, e la sua orazione funebre venne pronunciata dal Sindaco di Genova, Gelasio Adamoli. Sepolto, per sua volontà, sotto a un pino marittimo nel cimitero di Genova-Sant'Ilario.
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