Martiri†
Namugongo, Uganda, 3 giugno 1886
Patronato: Uganda
Etimologia: Carlo = forte, virile, oppure uomo libero, dal tedesco arcaico
Emblema: Palma
Fece un
certo scalpore, nel 1920, la beatificazione da parte di Papa Benedetto
XV di ventidue martiri di origine ugandese, forse perché allora,
sicuramente più di ora, la gloria degli altari era legata a determinati
canoni di razza, lingua e cultura. In effetti, si trattava dei primi
sub-sahariani (dell’”Africa nera”) ad essere riconosciuti martiri e, in
quanto tali, venerati dalla Chiesa cattolica. La
loro vicenda terrena si svolge sotto il regno di Mwanga, un giovane re
che, pur avendo frequentato la scuola dei missionari (i cosiddetti
“Padri Bianchi” del Cardinal Lavigerie) non è riuscito ad imparare né a
leggere né a scrivere perché “testardo, indocile e incapace di
concentrazione”. Certi suoi atteggiamenti fanno dubitare che sia nel
pieno possesso delle sue facoltà mentali ed inoltre, da mercanti
bianchi venuti dal nord, ha imparato quanto di peggio questi
abitualmente facevano: fumare hascisc, bere alcool in gran quantità e
abbandonarsi a pratiche omosessuali. Per queste ultime, si costruisce
un fornitissimo harem costituito da paggi, servi e figli dei nobili
della sua corte. Sostenuto
all’inizio del suo regno dai cristiani (cattolici e anglicani) che
fanno insieme a lui fronte comune contro la tirannia del re musulmano
Kalema, ben presto re Mwanga vede nel cristianesimo il maggior pericolo
per le tradizioni tribali ed il maggior ostacolo per le sue
dissolutezze. A sobillarlo contro i cristiani sono soprattutto gli
stregoni e i feticisti, che vedono compromesso il loro ruolo ed il loro
potere e così, nel 1885, ha inizio un’accesa persecuzione, la cui
prima illustre vittima è il vescovo anglicano Hannington, ma che
annovera almeno altri 200 giovani uccisi per la fede. Il
15 novembre 1885 Mwanga fa decapitare il maestro dei paggi e prefetto
della sala reale. La sua colpa maggiore? Essere cattolico e per di più
catechista, aver rimproverato al re l’uccisione del vescovo anglicano e
aver difeso a più riprese i giovani paggi dalle “avances” sessuali
del re. Giuseppe Mkasa Balikuddembè apparteneva al clan Kayozi ed ha
appena 25 anni. Viene sostituito
nel prestigioso incarico da Carlo Lwanga, del clan Ngabi, sul quale si
concentrano subito le attenzioni morbose del re. Anche Lwanga, però, ha
il “difetto” di essere cattolico; per di più, in quel periodo
burrascoso in cui i missionari sono messi al bando, assume una
funzione di “leader” e sostiene la fede dei neoconvertiti. Il
25 maggio 1886 viene condannato a morte insieme ad un gruppo di
cristiani e quattro catecumeni, che nella notte riesce a battezzare
segretamente; il più giovane, Kizito, del clan Mmamba, ha appena 14
anni. Il 26 maggio vemgono uccisi Andrea Kaggwa, capo dei suonatori del
re e suo familiare, che si era dimostrato particolarmente generoso e
coraggioso durante un’epidemia, e Dionigi Ssebuggwawo. Si dispone il trasferimento degli altri da Munyonyo, dove c’era il
palazzo reale in cui erano stati condannati, a Namugongo, luogo delle
esecuzioni capitali: una “via crucis” di 27 miglia, percorsa in otto
giorni, tra le pressioni dei parenti che li spingono ad abiurare la
fede e le violenze dei soldati. Qualcuno viene ucciso lungo la strada:
il 26 maggio viene trafitto da un colpo di lancia Ponziano Ngondwe, del
clan Nnyonyi Nnyange, paggio reale, che aveva ricevuto il battesimo
mentre già infuriava la persecuzione e per questo era stato
immediatamente arrestato; il paggio reale Atanasio Bazzekuketta, del
clan Nkima, viene martirizzato il 27 maggio. Alcune
ore dopo cade trafitto dalle lance dei soldati il servo del re Gonzaga
Gonga del clan Mpologoma, seguito poco dopo da Mattia Mulumba del clan
Lugane, elevato al rango di “giudice”, cinquantenne, da appena tre
anni convertito al cattolicesimo. Il
31 maggio viene inchiodato ad un albero con le lance dei soldati e
quindi impiccato Noè Mawaggali, un altro servo del re, del clan Ngabi. Il
3 giugno, sulla collina di Namugongo, vengono arsi vivi 31 cristiani:
oltre ad alcuni anglicani, il gruppo di tredici cattolici che fa capo a
Carlo Lwanga, il quale aveva promesso al giovanissimo Kizito:
“Io ti prenderò per mano, se dobbiamo morire per Gesù moriremo
insieme, mano nella mano”. Il gruppo di questi martiri è costituito
inoltre da: Luca Baanabakintu, Gyaviira Musoke e Mbaga Tuzinde, tutti del clan Mmamba; Giacomo Buuzabalyawo, figlio del tessitore reale e appartenente al clan Ngeye; Ambrogio Kibuuka, del clan Lugane e Anatolio Kiriggwajjo, guardiano delle mandrie del re; dal cameriere del re, Mukasa Kiriwawanvu e dal guardiano delle mandrie del re, Adolofo Mukasa Ludico, del clan Ba’Toro; dal sarto reale Mugagga Lubowa, del clan Ngo, da Achilleo Kiwanuka (clan Lugave) e da Bruno Sserunkuuma (clan Ndiga). Chi
assiste all’esecuzione è impressionato dal sentirli pregare fino alla
fine, senza un gemito. E’ un martirio che non spegne la fede in Uganda,
anzi diventa seme di tantissime conversioni, come profeticamente aveva
intuito Bruno Sserunkuuma poco prima di subire il martirio “Una fonte
che ha molte sorgenti non si inaridirà mai; quando noi non ci saremo
più altri verranno dopo di noi”. La
serie dei martiri cattolici elevati alla gloria degli altari si chiude
il 27 gennaio 1887 con l’uccisione del servitore del re, Giovanni
Maria Musei, che spontaneamente confessò la sua fede davanti al primo
ministro di re Mwanga e per questo motivo venne immediatamente
decapitato. Carlo Lwanga con i
suoi 21 giovani compagni è stato canonizzato da Paolo VI nel 1964 e sul
luogo del suo martirio oggi è stato edificato un magnifico santuario; a
poca distanza, un altro santuario protestante ricorda i cristiani
dell’altra confessione, martirizzati insieme a Carlo Lwanga. Da
ricordare che insieme ai cristiani furono martirizzati anche alcuni
musulmani: gli uni e gli altri avevano riconosciuto e testimoniato con
il sangue che “Katonda” (cioè il Dio supremo dei loro antenati) era lo
stesso Dio al quale si riferiscono sia la Bibbia che il Corano.
Autore: Gianpiero Pettiti
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