Anch’io ti amai,
Venezia, sinistra città
Che ora scatti, irta d’odio,
contro di noi,
come una vecchia podagrosa
scombussolata dal festoso irrompere
di cento scolari in vacanza!
Anch’io languii, stupidamente, estasiato
Nella tua atmosfera d’ospedale,
anch’io mi cullai con delizia
nell’alito sonnifero
dei tuoi neri canali!
Or ti detesto,
lavato dalle mie vecchie fantasie,
e mi ribello con gioia
alle tue mani lugubri d’infermiera!
I tuoi canali son fogne,
le tue case latrine…
il sole nauseato
per poco tempo ancora leccherà
il polveroso zucchero
dei tuoi merletti marmorei!
Cortigiana troppo prodiga
Di piaceri monotoni,
oggi t’accosci estenuata
nel tuo lurido albergo
vantato inutilmente
dal rosso Baedecker tedesco.
E noi finalmente ridiamo
A crepapelle, o Venezia,
del tuo fasto da operetta!
Ciangottii d’acqua sporca,
insidie vili di pozzi,
pugnali di cartone,
maschere scolorite,
serenate di lattemiele
Io più non vedo in te, vecchia Venezia,
che le facciate di cartapesta
dei tuoi palazzi da burattinai!
Io più non vedo sulle tue acque
Che un galleggiar d’alghe
E lungo i tuoi muri, coperti
Di putridi licheni,
lo scivolar di nere gondole sfiancate
come bagasce a nuoto.
Estuario di mota
Che al sol vapora, incensiere
Di tristezza e di noia,
verrà, verrà il giorno
che ti vedrem rosseggiare
finalmente di sangue,
nella ruina delle tue forma antiche!
Non più idilli di pipistrelli e di colombi
Accoglierai,
né più i navigli
del commercio e della guerra
si deturperanno nel tuo specchio fosco!
Ringiovanisci, se puoi,
al soffiar del gran vento futurista
che le dighe infrange
e sconvolge gli stagni del vecchio
sapere,
e le mummie impantana,
e rompe il dorso alle consuetudini,
ed alle tradizioni!
Ruggono i cantieri e li recinge
L’ansito del mare:
disfrenando ritmi possenti;
dai fumaioli eretti
s’effonde l’anima dei forni,
crateri acesi, con giochi di faville;
il maglio vibra i suoi colpi secchi,
con insistenza fatta Volere,
sulle fibre lucenti dei metalli
arroventati nel grembo delle forge
voraci e sanguigne;
la lima stride
un cannone eterno di tagliente ironia;
sbuffano i mantici capaci;
s’accorda l’orchestra dei martelli
al sibilo delle sirene inebriate.
Fontane di luce, argentee cascate,
solchi incendiari, scudi iridescenti,
vertigine di raggi…
Or questo ti concedi, Venezia!
Non più la decrepita Luna
Su te prolungherà le sue lente
Masturbazioni di luce!
La rimpiangi?
Il piccone possente, e, se non basta,
la nitroglicerina
ti rovescino dunque nel mare,
e finalmente scocchi la tua ora di morte,
anima marcia di vecchia beghina!
Venezia, sinistra città
Che ora scatti, irta d’odio,
contro di noi,
come una vecchia podagrosa
scombussolata dal festoso irrompere
di cento scolari in vacanza!
Anch’io languii, stupidamente, estasiato
Nella tua atmosfera d’ospedale,
anch’io mi cullai con delizia
nell’alito sonnifero
dei tuoi neri canali!
Or ti detesto,
lavato dalle mie vecchie fantasie,
e mi ribello con gioia
alle tue mani lugubri d’infermiera!
I tuoi canali son fogne,
le tue case latrine…
il sole nauseato
per poco tempo ancora leccherà
il polveroso zucchero
dei tuoi merletti marmorei!
Cortigiana troppo prodiga
Di piaceri monotoni,
oggi t’accosci estenuata
nel tuo lurido albergo
vantato inutilmente
dal rosso Baedecker tedesco.
E noi finalmente ridiamo
A crepapelle, o Venezia,
del tuo fasto da operetta!
Ciangottii d’acqua sporca,
insidie vili di pozzi,
pugnali di cartone,
maschere scolorite,
serenate di lattemiele
Io più non vedo in te, vecchia Venezia,
che le facciate di cartapesta
dei tuoi palazzi da burattinai!
Io più non vedo sulle tue acque
Che un galleggiar d’alghe
E lungo i tuoi muri, coperti
Di putridi licheni,
lo scivolar di nere gondole sfiancate
come bagasce a nuoto.
Estuario di mota
Che al sol vapora, incensiere
Di tristezza e di noia,
verrà, verrà il giorno
che ti vedrem rosseggiare
finalmente di sangue,
nella ruina delle tue forma antiche!
Non più idilli di pipistrelli e di colombi
Accoglierai,
né più i navigli
del commercio e della guerra
si deturperanno nel tuo specchio fosco!
Ringiovanisci, se puoi,
al soffiar del gran vento futurista
che le dighe infrange
e sconvolge gli stagni del vecchio
sapere,
e le mummie impantana,
e rompe il dorso alle consuetudini,
ed alle tradizioni!
Ruggono i cantieri e li recinge
L’ansito del mare:
disfrenando ritmi possenti;
dai fumaioli eretti
s’effonde l’anima dei forni,
crateri acesi, con giochi di faville;
il maglio vibra i suoi colpi secchi,
con insistenza fatta Volere,
sulle fibre lucenti dei metalli
arroventati nel grembo delle forge
voraci e sanguigne;
la lima stride
un cannone eterno di tagliente ironia;
sbuffano i mantici capaci;
s’accorda l’orchestra dei martelli
al sibilo delle sirene inebriate.
Fontane di luce, argentee cascate,
solchi incendiari, scudi iridescenti,
vertigine di raggi…
Or questo ti concedi, Venezia!
Non più la decrepita Luna
Su te prolungherà le sue lente
Masturbazioni di luce!
La rimpiangi?
Il piccone possente, e, se non basta,
la nitroglicerina
ti rovescino dunque nel mare,
e finalmente scocchi la tua ora di morte,
anima marcia di vecchia beghina!
Armando Mazza
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