venerdì 28 febbraio 2025

Io, con i miei pensieri


Se lascio i miei pensieri
liberi di volare,
oramai sanno da soli
la strada da trovare.

E corrono veloci
perché vanno lontano,
non vogliono star soli
ma mano nella mano.

Io, con i miei pensieri
non posso stare senza
l'amore tuo, di ieri,
rafforza la mia assenza,

Amandoti si tanto,
con la mente, e col cuore,
la fantasia d'incanto
risente il tuo calore.

A te Amore abbracciata
per sempre vorrei stare,
è vita sol sognata;
cosa possiamo fare?

Amiamoci più spesso,
Il mio cuore ti vuole,
devi stringermi adesso
in un prato di viole.

Lucia.

Che gli uccelli dell'ansia

 


Albore

Amo quell'ora in cui il brillio delle stelle è fioco

e respiro infantile a spegnerle è adatto

e il mondo si fa chiaro, a poco a poco

pur se con ciò, non insavisca affatto.

Io più del mattino amo l'albore, quando,

moscerini d'oro confondendo

gli alberi, dai raggi trapassati,

si alzano sulla punta dei piedi.

Amo quell'ora in cui, durante la sgambata,

al vociare di uccelli semidesti, tra i pini,

sul cappello di funghi gridellini

tremola lungo il bordo la rugiada.

Essere un po' a disagio felice senza gente.

Scaltra usanza il celare la propria felicità, ma

fate che si soffermino i felici nell'albore, pure se

dal mattino avrà inizio ogni calamità.

Sono felice che la vita mia come irreale sia

pur tuttavia allegra, coraggiosa realtà,

che invidia non mi diede Dio, né animosità,

che di fango coperto non sono, né di biasimo.

Sono felice che un giorno sarò antenato

di nipoti non più in gabbia. D'essere stato

tradito e calunniato sono felice,

meglio non è quando di te si tace.

Sono felice dell'amore di donne e di compagni,

le loro immagini sono le mie icone.

Che sia ragazza russa la mia sposa sono felice,

di chiudere i miei occhi è degna, ne avrò pace.

Amare la Russia è felicità plurinfelice.

Cucito a lei sono con le mie proprie fibre.

Amo la Russia e il suo potere tutto vorrei amare,

ma ne ho la naisea, vogliatemi scusare.

Amo questo mio mondo verde-azzurro

con le guance imbrattate di sangue.

Irrequieto io stesso. Morirò non per odio,

ma per amore insostenibile dal cuore.

Non ho saputo vivere in modo irreprensibile, da saggio,

ma voi con debito di colpa rammentatevi

il ragazzino con albore di libertà negli occhi,

luminosa più che vivido raggio.

Essere imperfettissimo io sono,

ma, scelta la mia ora preferita - il primo albore,

Dio creerà di nuovo innanzi giorno

gli alberi dai raggi trapassati,

me stesso trapassato dall'amore.

Evgenij Aleksandrovič Evtušenko

Dio e il creato.


Tu sì che  a noi tascondi
e l'occhio ti cerca invano:
Ma l'opre di tua mano
Ti svelano o Signor.
Tutto del Tuo gran nome
in terra, in ciel favella;
risplende in ogni stella,
è scritto in ogni fior.

A. Manzoni

Ad un maldicente

Io di te dico del bene,
tu del mal sempre di me.
Guarda poi quel che ne avviene:
Non si crede nè a te nè a me.

Trovato in un vecchi libro di scuola.

Le virtù


Fare la cosa giusta significa agire in modo etico, rispettoso, onesto, responsabile e saggio. Siete etici? Rispettate gli altri? Mostratevi come siete? Assumetevi le vostre responsabilità? Imparate dalle lezioni della vita? Riflettete. Mettetevi in discussione. Investite in voi stessi ora, non perdete tempo! Fate la cosa giusta. Incorporate queste virtù per essere un essere umano migliore e un esempio migliore per chi vi circonda.
Marco con amor.

28 febbraio Sante Marana e Cira

 

Vergini ed eremite
† Siria, 450 circa

Teodoreto dedica un capitolo (il XXIX) della sua Religiosa Historia a Marana e Cira ancora viventi quando, verso il 440, egli scriveva la sua opera. Anziché riassumere l’inizio defila narrazione in cui l’autore presenta le sue due eroine, converrà usare le sue stesse parole. «Il loro paese (di Marana e Cira) è Berea (odierna Aleppo), dove sono discese da una razza illustre e sono state educate secondo la loro condizione e la loro nascita. Ma disprezzando tutti i vantaggi concessi loro dalla natura, esse si chiusero in un piccolo sito presso la città, facendovi murare la porta. Volendo alcune delle loro domestiche imitarle in questo genere di vita, esse fecero loro costruire una casetta, adiacente al romitorio, in cui ordinarono loro di abitare; osservando i loro atti attraverso una piccola finestra, esse facevano loro fare spesso esercizi di preghiera e le infiammavano nell’amor di Dio... Invece della porta, avevano una piccola finestra attraverso cui ricevevano ciò che era loro necessario per vivere e parlavano con le donne che venivano a visitarle soltanto durante il tempo della «cinquantina» (= tempo pasquale), trascorrendo tutto il resto dell’anno in continuo silenzio, intendo per quanto riguarda Marana, la sola che parli a queste donne. Quanto a Cira, in effetti, nessuno le ha mai udito pronunciare la minima parola. Cira, che è di costituzione più delicata dell’altra, è sempre curvata fino a terra, senza la possibilità di rizzarsi. Esse portano abiti così lunghi che coprono loro i piedi e davanti hanno una specie di velo che scende fino alla cintura e copre completamente il viso, le mani e lo stomaco». Quando Teodoreto scriveva queste righe erano già quarantadue anni che Marana e Cira conducevano questa vita di eremite, rendendola ancor più penosa portando pesanti catene e prolungando talvolta il digiuno sino a quaranta giorni. «Spinte dal desiderio di vedere i luoghi santi che Gesù Cristo ha onorato con le sue sofferenze, esse andarono, a digiuno, fino a Gerusalemme, mangiando soltanto dopo aver adorato Dio, e durante il ritorno ripresero a digiunare, sebbene occorressero non meno di venti giorni per fare un così lungo cammino». Un’altra volta esse andarono allo stesso modo in Isauria per visitare la chiesa di santa Tecla, la protomartire. Col passare del tempo Marana e Cira non rallentarono in questo modo di vita, al contrario, esse andavano con un ardore senza posa rinnovellato verso la corona che il Cristo doveva mettere loro sul capo dopo la loro vittoria. Ignoriamo la data della morte di Marana e Cira essendo Teodoreto la nostra unica fonte. I sinassari bizantini commemorano le due sante eremite al 28 febbraio, ma si tratta di una data scelta arbitrariamente. H. Delehaye ha infatti dimostrato come i trenta asceti (o coppie di asceti) ai quali Teodoreto aveva dedicato un capitolo della sua Religiosa Historia, siano stati introdotti in blocco nei sinassari, nello stesso ordine con cui erano citati dallo stesso Teodoreto, in date che vanno dal 13 gennaio al 1° marzo. In Occidente Marana e Cira non hanno avuto uno speciale culto prima che C. Baronio le introducesse insieme al 3 agosto, data arbitraria quanto le precedenti, nel Martirologio Romano. Nelle adnotationes a questo giorno egli fa direttamente riferimento a Teodoreto, poiché i calendari bizantini che aveva a disposizione (in particolare il cosiddetto Menologio del cardinale Sirleto) non portavano, al 28 febbraio, la memoria di Marana e Cira.


Autore: Joseph-Marie Sauget

Ho scritto un messaggio



Ho scritto un messaggio su di un piccolo foglio di carta sbiadita, lo avvolto e l'ho fermato con un nastro di fortuna, lo inserisco in una bottiglia trovata tra i rovi, chiudo il tappo con forza. Mi avvicino a un fiumiciattolo che scorre vicino, dalle sue acque non tanto limpide traspaiono sassi di mille forme. Lascio cadere quella bottiglia.

La osservo mentre la corrente la spinge verso lontano e rimango assorta appoggiata al ponticello del
ruscelletto. La bottiglia affonda leggermente poi risale in superficie e pian piano sparisce.
Un uomo che ha visto la scena incuriosito mi si avvicina e mi chiede:
"Non sei un naufrago su un isola deserta come mai mandi un messaggio nella bottiglia?".
Io, senza voltare lo sguardo e rispondo: "non è indispensabile trovarsi soli su un isola deserta per aver bisogno d’aiuto".
WEB

giovedì 27 febbraio 2025

Ave Maria




Ave Maria! Quando sull'aure corre
l'umil saluto, i piccioli mortali
scovrono il capo, curvano la fronte
Dante ed Aroldo.
Una di flauti lenta melodia
passa invisibil fra la terra e il cielo:
spiriti forse che furon, che sono
e che saranno?
Un oblio lene de la faticosa
vita, un pensoso sospirar quiete,
una soave volontà di pianto
l'anime invade.
Taccion le fiere e gli uomini e le cose,
roseo 'l tramonto ne l'azzurro sfuma,
mormoran gli alti vertici ondeggianti
Ave Maria.

Giosué Carducci

Affetti di una madre

 Presso alla culla in dolce atto d’amore,

     Che intendere non può chi non è madre,
     Tacita siede e immobile; ma il volto
     Nel suo vezzoso bambinel rapito,
     Arde, si turba e rasserena in questi
     Pensieri della mente inebrïata.

Teco vegliar m’è caro,
     Gioir, pianger con te: beata e pura
     Si fa l’anima mia di cura in cura;
     In ogni pena un nuovo affetto imparo.

Esulta, alla materna ombra fidato,
     Bellissimo innocente!
     Se venga il dì che amor soavemente
     Nel nome mio ti sciolga il labbro amato;

Come l’ingenua gota e le infantili
     Labbra t’adorna di bellezza il fiore,
     A te così nel core
     Affetti educherò tutti gentili.

Così piena e compita
     Avrò l’opra che vuol da me natura;
     Sarò dell’amor tuo lieta e sicura,
     Come data t’avessi un’altra vita.

Goder d’ogni mio bene,
     D’ogni mia contentezza il Ciel ti dia!
     Io della vita nella dubbia via
     Il peso porterò delle tue pene.

 
Oh, se per nuovo obietto
Un dì t’affanna giovenil desìo,

     Ti risovvenga del materno affetto!
     Nessun mai t’amerà dell’amor mio.

E tu nel tuo dolor solo e pensoso
     Ricercherai la madre, e in queste braccia
     Asconderai la faccia;
     Nel sen che mai non cangia avrai riposo.


Giuseppe Giusti

Il mio vate

Chissà se nella vita
ognuno di noi spera
che in cima alla salita
sia sempre primavera.

Mi è successo a un tratto
trovarmi in una rima,
il cuore si è liquefatto,
e son salita in cima.

Questo cuor che sospira
anche se pien d'amore,
non mi sento viva,
stava nel suo torpore.

Le tue rime  o vate
con dolci parole,
per me son serenate
suonate da mandole.

Il cuore mi hai trafitto,
i sensi mi hai rubato,
mi getto a capofitto
con te, vate adorato.

Lucia 1000anni fa

L'odio


 

In ospedale.

Son quì in ospedale
tra tanti poveretti
soffrono e stanno male
dentro ai loro letti.
Avrebbero bisogno
di sol parole buone,
ma è, e resta un sogno
in questa alienazione.
Siam numeri, non persone
purtroppo! E siamo tanti,
nella disperazione
ci sfoghiamo in pianti.
Gesù che sei sì buono
aiuta noi quaggiù
a questo disastro umano
metti una toppa Tù.
Lucia

Preghiera del malato

Rivolgi, Signore,
il tuo sguardo d'amore su di noi:
sulle nostre paure, i nostri egoismi,
le nostre ferite del corpo e dello spirito. Guarisci, con la forza e la consolazione
dello Spirito Santo le nostre infermità.
Rendici capaci di accoglienza reciproca,
di solidarietà gratuita,
di vicinanza amorevole
verso ogni persona sofferente.
Apri i nostri occhi, Signore,
per vedere il tuo volto
in ogni persona che incontriamo;
apri il nostro cuore per amarci gli uni gli altri
come tu ci hai amato, e così manifestare
il Dio della solidarietà e dell'amore.
Web

IL PASSATO

Rivedo i luoghi dove un giorno ho pianto:
un sorriso mi sembra ora quel pianto.
Rivedo i luoghi dove ho già sorriso…
Oh! come lacrimoso quel sorriso!
G.Pascoli

mercoledì 26 febbraio 2025

Buongiorno !!! Buon giorvedì grasso 🌥🍀🎉🎭

 

Come vola il tempo. Il carnevale sta finendo, Natale sembra ieri. Siamo in un vortice, che più che gli anni passano e più gira veloce. Se guardi gli accadimenti del passato resti sbalordita, quando ti dicono quanti anni son passati da quell'accadimento e dici ..non è possibile... si sbagiano...sembra ieri.. invece sono decine di anni. Pazienza dobbiamo spendere bene la nostra vita, perchè non ne abbiamo un'altra, o almeno non ne siamo consapevoli. Oggi è Berlingaccio, chi ha tempo e può, si diverta e non pensi al domani, tanto arriva da solo.
Lucia🐞

I Fiori

Portatemeli tutti i bei fiori:
candidi fior d'acacia e biancospino,
gigli, magnolie, tuberose aulenti,
ed i tremuli fior del gelsomino,
i fiori della siepe e del giardino
bianchi qual neve delle vette algenti.

Poi recatemi i petali più ardenti,
rose rosse, gerani carnicini,
garofani odorosi e porporini,
tulipani vermigli, e melograni
scarlatti come il fuoco dei vulcani.

Poi verdi foglie, tante verdi foglie
di cui si veste a primavera il prato;
di cui l'antico bosco appare ornato
quando rinnova le dimesse spoglie
e del sole ai bei rari fecondi e caldi
brilla come un diadema di smeraldi.

Quì tutti: a ciascuno bianco fiore,
e un fiore rosso ed una verde foglia.
E' un mazzolin che costò gran doglia
a chi nutrì di patria il santo amore!
E fu messo dei martiri sul cuore!

E quando per la fuga dei nemici,
di libertà fioriron le ghirlande,
dalle donne d'Italia, arcifelici,
gettato fu con un tripudio grande
sovra i soldati dei liberatori.

Verde foglia, fior bianco, rosso fiore,
cresca sempre l'italico giardino
i color della speme, dell'amore,
e della fede nel nostro destino.

Guido Fabiani



Dormi Amore



Dormi Amore se vuoi
il sonno di chi ama!
Pensami con l'anima
di chi desidera l'amore!
Senti come brucia per te
questo mio cuore.
Per rallegrarti il sonno,
ti mando un bacio
e un lungo sospiro....
ascolta, stà arrivando.
Aprigli la porta!
Sta cercando un posto
per me nel tuo Cuore.
Lucia.

Ci sarà un buon governo........


 

Ognuno di noi...........

 


26 febbraio Santa Paola di San Giuseppe Calasanzio

(Paola Montal y Fornes) Fondatrice delle Figlie di Maria
Arenys de Mar, Barcellona, 11 ott. 1799 - Olesa di Montserrat, 26 febb. 1889

La vita di Paula Montal fu feconda e profetica, quasi centenaria, si svolse in un contesto storico ampio (1799-1889), un periodo di crisi dell'agitato XIX secolo spagnolo, che si dibatteva tra i postulati dell'Antico Regime e le nuove correnti liberali, con ripercussioni socio-politiche, culturali e religiose assai note. Quattro furono le città specialmente rappresentative nella sua vita, ben radicata nella sua terra e nel suo ambiente storico:

Ad Arenys de Mar (Barcellona), visse la sua infanzia e la sua gioventù (1799-1829). Città della costa, aperta sul mare, cosmopolita ed industriale, lì nacque alla vita, l'11 ottobre del 1799, e nel pomeriggio di quello stesso giorno alla vita della grazia. Si formò in un ambiente familiare cristiano e molto semplice. Partecipò alla vita spirituale della parrocchia. Si distinse per il suo amore verso la Vergine Maria. Da quando aveva 10 anni conobbe la durezza del lavoro per aiutare sua madre, vedova con cinque figli dei quali era la maggiore. In questo periodo, per esperienza propria, constatò che le bambine, le giovani, le donne avevano scarse possibilità di accesso all'educazione, alla cultura... e si sentì chiamata da Dio a svolgere questo compito.

Figueras (Gerona), fu la sua meta. Città di frontiera con la Francia e bastione militare con il suo famoso castello di armi. Accompagnata dalla sua fedelissima amica Inés Busquets, nel 1829, si trasferì nella capitale dell'Ampurdán per aprire la prima scuola femminile, con vasti programmi educativi che superavano abbondantemente il sistema pedagogico per bambini. Si trattava di una scuola nuova. A Figueras, iniziò, quindi, in modo esclusivo, il suo apostolato educativo con le bambine. Lì nacque un carisma nuovo nella Chiesa, un'Opera Apostolica orientata verso l'educazione integrale umana e cristiana delle bambine e delle giovani, verso l'educazione della donna, per salvare le famiglie e trasformare la società. Le sue seguaci si distingueranno perché fanno professione di un quarto voto di insegnamento.

Sabadell (Barcellona), fu la città dove avvenne il trapianto della sua opera educativa nelle Scuole Pie. Sappiamo che almeno a partire dal 1837, si sentì del tutto identificata con il carisma di San Giuseppe Calasanzio e volle vivere la spiritualità e le regole calasanziane. Spinta da questo fine, dopo la fondazione della seconda scuola nella sua città natale (Arenys de Mar, 1842) dove entrò in contatto diretto con i Padri Scolopi di Mataró, aprì una terza scuola a Sabadell nel 1846. E fu provvidenziale la presenza dei Padri Scolopi, Jacinto Felíu ed Agustín Casanovas, nel collegio di Sabadell. Con il loro orientamento ed il loro aiuto, in breve tempo, riuscì ad ottenere la struttura canonica scolopica della sua nascente Congregazione. Il 2 febbraio del 1847, fece professione di Figlia di Maria Scolopia, insieme alle sue prime tre compagne, Inés Busquets, Felicia Clavell e Francisca de Domingo. Nel Capitolo generale, svoltosi a Sabadell, il 14 marzo del 1847, non fu eletta né superiora generale, né assistente generale.

Nel periodo 1829-1859, svolse un'intensa attività, e fondò personalmente 7 scuole: Figueras (1829), Arenys de Mar (1842), Sabadell (1846), Igualada (1849), Vendrell (1850), Masnou (1852) e Olesa de Montserrat (1859). Ispirò ed aiutò la fondazione di altre 4: Gerona (1853), Blanes (1854), Barcelona (1857) e Sóller (1857). Inoltre fu formatrice delle prime 130 Scolopie della Congregazione, che attraversava un periodo di grande attività di vita e di profetismo.

Olesa de Montserrat (Barcellona), 1859: la sua ultima fondazione personale. Un piccolo e povero paese, ai piedi del Monastero della Vergine di Montserrat, per la quale sentì sempre una grande devozione. Fu la sua fondazione prediletta, in cui rimase fino alla morte (15 dicembre 1859-26 febbraio 1889). Furono 30 anni di grazia per le bambine e per le giovani olesane, che godettero della sua testimonianza cristiana e del suo magistero fecondo; per la città di Olesa di Montserrat, arricchita dall'esempio della sua vita totalmente dedicata e santa: "Le volevano bene tutti e la veneravano...."; e per la Congregazione Scolopica: un sì totale a Dio; la pedagogia scolopica in azione ed il vissuto delle virtù che devono caratterizzare l'educatrice scolopica; ed il tramonto di una via in Dio. Alla sua morte, la Congregazione delle Figlie di Maria Religiose delle Scuole Pie, da lei fondata, era formata da 346 Scolopie che vivevano il carisma educativo scolopico, ereditato dalla loro Fondatrice, in 19 collegi, siti in tutta la geografia spagnola. Il processo canonico per la sua Beatificazione iniziò a Barcellona, il 3 maggio del 1957. Il Papa Giovanni Paolo II la beatificò a Roma il 18 aprile del 1993. Il miracolo per la sua Canonizzazione, compiuto nel settembre del 1993, a Blanquizal, un quartiere molto emarginato e violento di Medellín (Colombia), a favore della bambina di 8 anni Natalia García Mora, fu approvato da Papa Giovanni Paolo II il 1 luglio del 2000. Alla nostra società, lacerata da molte tensioni, e dove il tema dell'educazione integrale per tutti, la promozione della donna, la famiglia, la gioventù, sono temi spinosi ed attuali, spesso irrisolti, la nuova Santa dirige il messaggio della sua vita e della sua opera educativa, messaggio d'amore e di servizio. Il suo carisma nel XIX secolo, è stato annuncio di amore e speranza, specialmente per la donna, che scopre in lei la madre e la maestra della gioventù femminile. Ed oggi continua ad essere urgente e piena di attualità, come lo fu allora. L'opera educativa di Madre Paula Montal Fornés, continua oggi nella Chiesa, in particolare attraverso oltre 800 Religiose Scolopie, distribuite in 112 comunità, che educano circa 30.000 alunni in 19 nazioni dei quattro continenti, per la promozione della donna, in modo che "la civiltà dell'amore" diventi una realtà.

Fonte:
Santa Sede

Non esistono innocenti 😊



martedì 25 febbraio 2025

Dietro ogni essere umano


 

San Marcos La Laguna ( Guatemala)

Un posto molto speciale per me
Ho vissuto qui non molto tempo, ma hanno avuto luoghi, esperienze ed eventi molto importanti:
- ho avuto diverse esperienze mistiche e rivelatrici che mi hanno portato ad un punto di non ritorno: ho lasciato la mia vecchia vita e attività di successo a Ibiza per iniziare una nuova, con scopo e allineata ai miei nuovi valori
- ho iniziato a tenere le mie prime lezioni di Yoga e Meditazione
Ho conosciuto la mia ex moglie con la quale abbiamo condiviso quasi 10 anni
- ho scritto uno dei miei 4 libri: L'oracolo della coscienza
Mia figlia è nata qui, in casa, quasi 14 anni fa
- mi sono certificato come insegnante di yoga
- ho provato per la prima volta KOMBUCHA, questo mi ha ispirato a produrla a La Antigua, visto che non c'era, da lì inizio YOGI SUPER FOODS
Per non parlare delle tante persone care che vivono ancora qui, con le quali segue un legame profondo, anche se di giorno i contatti non sono così seguiti....
Che gioia visitare San Marcos la Laguna e provare questi sentimenti così profondi!
GRAZIE SAN MARCOS LA LAGUNA !!
GRAZIE FRATELLI!!!

Due parole in un orecchio.

Chi vuol essere solo a godere
solo sarà quando deve soffrire.
Che pena è mai possedere
se il cuore non impara e a spartire !
Renzo Pezzani

Gino Pistoni



(Ivrea, 25 febbraio 1924 – Tour d'Héréraz, 25 luglio 1944) è stato un partigiano italiano, morto nel corso della Resistenza.

Luigi Pistoni nacque da Dante e Maria Ferrando. Iniziò gli studi presso le scuole elementari dell'Opera Pia Morena, gestita dalle Suore di Carità dell'Immacolata Concezione. Proseguì al Collegio "Giusto Morgando" di Cuorgnè, retto dai padri Salesiani, ove frequentò le prime tre classi del Ginnasio. Terminò gli studi al Collegio San Giuseppe di Torino, diretto dai Fratelli delle Scuole Cristiane, diplomandosi ragioniere.Gino si fece conoscere ed apprezzare per il suo impegno costante negli studi e nei doveri umani e cristiani, per le attività sportive e per la cura scrupolosa della propria formazione religiosa. Nel 1942 ebbe una vera svolta per la sua vita, entrando nelle file dell’Azione Cattolica della città di Ivrea. In associazione conobbe figure eminenti nella formazione della gioventù, sacerdoti e laici, che gli furono guida ed assistenti, nella sua attività di giovane impegnato a mettere in pratica il triplice motto dell’AC: Preghiera, Azione, Sacrificio.L'8 febbraio 1944 ad Angelo Aira, dell'AC, scriveva: "Se il Signore ti ha chiamato, non rigettare la sua Grazia, ma rispondi generoso all'appello divino". Un assistente che lo conosceva bene, don Meaglia, scrisse di lui: "È un giovane che ha saputo rispondere generosamente al primo impulso della Grazia, dire di sì a Cristo che gli passava accanto". In occasione del suo ingresso nella "Società Operaia del Getsemani", movimento spirituale di dedizione all'Apostolato fondato da Luigi Gedda all'interno dell'AC, Gino Pistoni scrisse questa preghiera che doveva rimanere segreta: "Il mio cuore oggi eleva a Te, o Signore, un inno di lode e di ringraziamento per le molteplici e sublimi grazie che visibilmente mi hai elargito in abbondanza in questi ultimi anni. Ti ringrazio di avermi chiamato, due anni fa, a far parte dell'Azione Cattolica e di aver dato alla mia vita, prima di allora veramente vuota, uno scopo che la rendesse degna di essere vissuta... Ti chiedo la grazia di dividere con Te le sofferenze del Getsemani; accettale benigno e dammi la forza di sopportarle in espiazione dei peccati miei e dell'umanità intera. Concedimi inoltre la grazia necessaria per vivere una vita interamente e profondamente cristiana, tutta dedita al Tuo servizio e alla salvezza delle anime. Amen". Era segretario diocesano della Gioventù Italiana di Azione Cattolica.Nei giorni terribili della Seconda guerra mondiale, girava in bicicletta per i vari circoli giovanili e, come tanti altri giovani d’Azione Cattolica, avvertì la necessità di servire la causa della giustizia e della libertà, entrando così in una formazione partigiana, non fecendo questa scelta per passione di guerra, né per un particolare odio verso i nemici, ma solo per partecipare alla Resistenza agli invasori e per la difesa dei diritti delle popolazioni occupate. Fra i partigiani mantenne sempre un contegno lineare e irreprensibile, in coerenza con i suoi principi cristiani, suscitando stima e rispetto anche in chi si riteneva non credente. All'inizio del 1944 gli pervenne la chiamata alle armi della Repubblica di Salò. Pistoni si presentò al Distretto di Ivrea e prestò servizio militare dal 30 aprile al 26 giugno del 1944. Il 20 giugno 1944 entrò a far parte, col nome di battaglia di “Ginas”, di una Brigata della 7a Divisione Garibaldi e si diede alla macchia. Il 25 luglio 1944, durante un attacco tedesco delle SS nella bassa Valle del Lys, mentre gli altri partigiani fuggivano, egli si attardò a soccorrere un soldato tedesco ferito a Tour d'Héréraz, venendo colpito da una scheggia di mortaio, che gli recise l’arteria femorale. Restò nella più completa solitudine a dissanguarsi e a consumare la sua agonia, compiendo con le residue capacità, prima di spirare, un vero atto di fede: con le dita intrise di sangue, scrisse sulla tela del tascapane un messaggio-testamento rimasto unico nella storia della Resistenza “Offro la mia vita per l’Azione Cattolica e per l’Italia, W Cristo Re.Il suo cadavere venne ritrovato quattro giorni dopo con accanto, macchiato di sangue, il ‘Piccolo Ufficio della Madonna’; il funerale si tenne in forma privata a causa della guerra; ma la fama della sua santità si estese subito e il suo testamento di sangue, divenne oggetto di scritti di Dirigenti d’Azione Cattolica dell’epoca.Il cippo funebre posto nel luogo della morte, al km 3.6 della S.R. 44, così ricorda il sacrificio di Gino Pistoni: “Su queste rocce dove oggi è gioia e libertà nel tragico mattino del 25 luglio 1944 recisi dal lampo di colpi mortali reclinavano nella morte i venti anni di GINO PISTONI fedele al precetto divino che non esiste amore più grande di chi dà la vita per un amico egli donava la sua per il nemico e sull'umile sacco testimone di nobile lotta col sangue ardente scrisse ITALIA e come fuoco incise VIVA CRISTO RE”[. Nel 1994, a 50 anni dalla sua morte, il Vescovo di Ivrea mons. Luigi Bettazzi avviò la causa di beatificazione. Conclusa la prima fase diocesana, Gino Pistoni è stato dichiarato Servo di Dio e dal 1999 la causa prosegue presso la Congregazione per le Cause dei Santi.

lunedì 24 febbraio 2025

Buongiorno Amici!!!!!! ☁️☔️🍀

Oggi sembra voglia essere la copia di ieri!!!
Ma oramai sognamo la primavera, la mimosa è già pronta per l'8 marzo e i mandorli sono già in fiore. Qualcosa si sta muovendo e la primavera è l'annuncio di rinascita.
Pensiamo positivo che ci conviene di più, poi il tempo o il destino farà la sua parte lostesso , ma meglio se ci trova sorridenti.
Lucia 🐞🍀

25 febbraio San Luigi Versiglia

 

 



Vescovo e martire
Oliva Gessi, Pavia, 5 giugno 1873/ Cina, 25 febbraio 1930
Emblema: Bastone pastorale

Fra i martiri canonizzati il 1° ottobre dell’anno giubilare del 2000, papa Giovanni Paolo II ha proclamato santo  monsignor Luigi Versiglia che fu assassinato dalla furia dei briganti, che odiavano i missionari. Luigi a 12 anni venne mandato a Torino a studiare alla scuola di san Giovanni Bosco, il quale, in un fugace incontro nel 1887, gli disse: «Vieni a trovarmi ho qualcosa da dirti», ma don Bosco non potè più parlare con Luigi perché si ammalò e morì. Il giovane era legatissimo alla figura di don Bosco, tanto che, per rispondere alla chiamata vocazionale, decise a 16 anni di emettere i voti religiosi nella congregazione dei Salesiani. Dopo aver completato gli studi superiori, frequentò la Facoltà di Filosofia all’Università Gregoriana di Roma e le ore libere le trascorreva fra i giovani. Venne ordinato sacerdote nel 1895 a soli 22 anni. L’anno dopo fu nominato direttore e maestro dei novizi nella Casa di Genzano di Roma, carica che tenne per dieci anni, durante i quali si distinse per le notevoli capacità formative sui futuri sacerdoti. Fin dal principio la sua aspirazione era quella di raggiungere le missioni per portare Cristo ai popoli, aspirazione che si realizzò a 33 anni, diventando il responsabile dei primi Salesiani che nel 1906, con coraggio e fede indomita, partirono alla volta della lontanissima, per quei tempi molto più di oggi, nazione cinese. Padre Versiglia si stabilì a Macao dove fondò la Casa Madre dei Salesiani, che divenne un attivo centro di apostolato e di fede per tutti i cattolici della città e dove il missionario si occupò con grande amore dei bambini soli. Nella città era da tutti conosciuto come il «padre degli orfani». Aprì la missione di Shiu Chow nella regione del Kwangtung, nel sud della Cina, della quale nel 1920 venne nominato e consacrato primo vescovo e Vicario Apostolico. Fu un vero pastore, completamente dedito ai fedeli e nonostante le molte difficoltà, in un tempo di gravi tensioni sociali e politiche, che culmineranno con la nascita della nuova Repubblica cinese, il Vescovo riuscì a dare una solida struttura alla diocesi, realizzando un seminario, alcune case di formazione, delle residenze, un orfanotrofio, scuole, casa di riposo per anziani e lavorando notevolmente nell’opera catechistica. Monsignor Versiglia fu un vero maestro, padre e pastore dall’enorme anima caritatevole, un punto di riferimento sia per i sacerdoti salesiani che per i cinesi, nel quale riconoscevano la dedizione totale e disinteressata. Intanto la situazione politica in Cina era alquanto agitata: la nuova Repubblica Cinese, nata il 10 ottobre 1911, con il generale Chang Kai-shek, aveva riportato all’unità la Cina, sconfiggendo nel 1927 i signori della guerra che tiranneggiavano varie regioni. Ma la pesante infiltrazione comunista nella nazione e nell’esercito, sostenuta dall’Unione Sovietica di Stalin, aveva persuaso il generale ad appoggiarsi alla destra e a dichiarare fuori legge i comunisti (aprile 1927), avviando così una feroce guerra civile. La provincia di Shiu-Chow di monsignor Luigi Vermiglia era territorio di fitto passaggio e di sosta dei vari gruppi combattenti, perciò divennero frequenti i furti e le violenze perpetrate anche ai danni di coloro che venivano definiti «diavoli bianchi», cioè i missionari, amati dalla gente più povera, che spesso trovava, proprio nelle Missioni, il rifugio da ladri, assassini e dai loro saccheggi. I più temibili erano i pirati e la soldataglia comunista, per la quale la distruzione del Cristianesimo era un dovere programmato. In questo contesto di terrore, le attività missionarie subirono un forte danno, soprattutto quando si trattava di spostasi nei vari e sparsi villaggi: le catechiste e le maestre non si mettevano in viaggio se non accompagnate dai missionari; d’altronde per il pericolo incombente sia sulle vie di terra che sui fiumi, il Vescovo Luigi Versiglia non aveva più potuto visitare i cristiani della missione di Lin-Chow (villaggio di 40 mila abitanti, devastato dalla guerra civile), composta da due piccole scuole e duecento fedeli, Tuttavia, verso la fine del gennaio 1930, il Vescovo, dopo molta attesa, decise di partire per non lasciare più solo il suo piccolo gregge, affidandosi unicamente alla volontà di Dio.

Autore: Cristina Siccardi

☆☆☆ Buonaserata ☆☆☆

☆☆☆ Stelle che brillate nella notte,
cullate i nostri sogni.
Raccontate un amore a chi un amore non ha.☆☆☆ Lucia 🐞

L' incantesimo

Fuoco, nuvole di drago,
dente e coda di leone,
se vuoi diventare un mago
è questa la soluzione.

Ali e zampe di zanzara,
occhi e peli di mandrillo,
dai, facciamo questa gara
per un elisir arzillo.

Mettiam dentro tanto amore,
mischia, mischia l'alambicco,
della tigre il gran furore,
l'elisir sarà più ricco.

Amore mio chi lo beve?
Chi di noi ne ha bisogno?
Quest'amore non è breve,
rificchiamoci nel sogno.

Io la strega innamorata,
e tu mago e gran poeta,
su, finiamo la giornata,
senza la pozione segreta.

L'elisir non ci serve,
c'è un divano quì accanto,
ci buttiam senza riserve
in un estatico incanto.

Lucia

Giovanni Pico della Mirandola

noto come Pico della Mirandola 
(Mirandola, (Mo) 24 febbraio 1463  Firenze, 17 novembre 1494),
è 
 stato un umanista e filosofo italiano

È l'esponente più conosciuto della dinastia dei Picosignori di Mirandola. Figlio più giovane di Gianfrancesco I, signore di Mirandola e conte della Concordia (1415-1467), e di sua moglie Giulia, figlia di Feltrino Boiardo, conte di Scandiano. La famiglia aveva a lungo abitato il castello di Mirandola, città che si era resa indipendente nel XIV secolo, avendo ricevuto nel 1414 dall'imperatore Sigismondo il feudo di Concordia. Pur essendo Mirandola uno Stato molto piccolo, i Pico lo governarono come sovrani indipendenti anziché come nobili vassalli. I Pico della Mirandola erano strettamente imparentati con gli Sforza, i Gonzaga e gli Este; i fratelli e le sorelle di Giovanni si legarono, tramite ulteriori vincoli matrimoniali, con le famiglie regnanti di CorsicaFerraraBolognaMantova e Forlì. Durante la sua vita Giovanni soggiornò in molte dimore.Tra queste, quando visse a Ferrara, la dimora di via del Turco, vicino di casa degli Strozzi e dei Boiardo. Pico compì i suoi studi fra Bologna, Pavia, Ferrara, Padova e Firenze; mostrò grandi doti nel campo della matematica e imparò molte lingue: padroneggiava perfettamente il latino, il greco, l'ebraico, l'aramaico, l'arabo e il francese. Ebbe anche modo di stringere rapporti di amicizia con numerosi personaggi dell'epoca come Girolamo SavonarolaMarsilio FicinoLorenzo il MagnificoAngelo PolizianoEgidio da ViterboGirolamo BenivieniGirolamo BalbiYohanan AlemannoElia del Medigo. A Firenze, in particolare, entrò a far parte della nuova Accademia Platonica. Nel 1484 fu a Parigi, ospite della Sorbona, allora centro internazionale di studi teologici, dove conobbe uomini di cultura come Lefèvre d'ÉtaplesRobert Gaguin e Georges Hermonyme. Divenne celebre in tutta Europa per la sua memoria che, si diceva, fosse talmente fuori dal comune da mandare a memoria l'intera Divina Commedia e molte altre opere letterarie e scientifiche. Nel 1486 fu a Roma dove preparò 900 tesi in vista di un congresso filosofico universale (per la cui apertura compose il De hominis dignitate), che tuttavia non ebbe mai luogo. Si trovò oggetto di alcune accuse di eresia, per le quali dovette fuggire in Francia dove venne anche fatto arrestare da Filippo II presso Grenoble e condotto a Vincennes. Fu tuttavia subito scarcerato, ricevendo anche l'assoluzione di papa Alessandro VI, il quale vedeva di buon occhio la volontà di Pico di dimostrare la divinità di Cristo attraverso la magia e la cabala. Godendo della rete di protezioni dei Medici, dei Gonzaga e degli Sforza, si stabilì definitivamente a Firenze, riprendendo a frequentare l'Accademia di Marsilio Ficino. Morì improvvisamente all'età di trentun anni, per un avvelenamento da arsenico, mentre Firenze veniva occupata dalle truppe francesi di Carlo VIII durante le guerre d'Italia. All'epoca della morte si vociferò che Pico fosse stato avvelenato e che il mandante fosse individuabile in Piero de' Medici, che temeva l'avvicinamento del Pico e del Poliziano, precedentemente suoi amici, alle idee e al governo del Savonarola. Fu sepolto nel cimitero dei Domenicani entro le mura del convento di San Marco. Le sue ossa saranno rinvenute nel 1933 da padre Chiaroni accanto a quelle degli amici Angelo Poliziano e Girolamo Bienivieni. Nel novembre del 2018, 524 anni dopo la sua morte, i risultati di uno studio coordinato del dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa, del Reparto Investigazioni Scientifiche dell'Arma dei Carabinieri di Parma e di studiosi spagnoli, britannici e tedeschi, hanno dimostrato che Pico della Mirandola fu effettivamente avvelenato con l'arsenico. Di Pico della Mirandola è rimasta proverbiale la prodigiosa memoria. Si dice conoscesse a mente numerose opere su cui si fondava la sua vasta cultura enciclopedica, e che sapesse recitare la Divina Commedia al contrario, partendo dall'ultimo verso, impresa che pare gli riuscisse con qualunque poema appena terminato di leggere. Ancora oggi si usa attribuire l'appellativo Pico della Mirandola a chiunque sia dotato di ottima memoria.

Si desta il bimbo

Si desta il bimbo: un bel raggio di sole Lo saluta traverso la finestra, e gli ricorda il bosco e le viole, e le farfalle e i fiori di gines...