Ariano di Puglia11/11/1809 Napoli 29/08/1852
Nacque ad Ariano e lì vi rimase per quasi tutta la vita, tranne diversi soggiorni a Napoli dove si recava per motivi di salute e dove morì per un'affezione tifoidea, quando non aveva ancora compiuto 43 anni. Fu il terzo di undici tra fratelli e sorelle. Suo padre, Giovanni, era commerciante di tessuti e da Giovanna Faietra.Fu prete, anche se non pienamente convinto, dato che si parlò di un suo forte amore giovanile per la giovinetta Rosaria Vernacchia, che morì presto, ed il tema d'amore fu molto ricorrente nei suoi canti. Nella sua opera il Parzanese si espresse da romantico e tra i suoi libri preferiti, oltre alla Bibbia e Virgilio, dal quale derivò la chiarezza della forma, si ricordano soprattutto Hugo e Lamartine.Quella del Parzanese fu una delle voci più interessanti e dotate del nostro primo Ottocento. La sua operosità e fecondità fu molteplice in diversi campi. Tradusse dalla Bibbia, da Plauto, da Klopstok, da Byron, da Victor Hugo, postillò Dante; studiò i moderni e i contemporanei, il Monti, il Foscolo, il Manzoni. Fu grande oratore. Fu presto noto per la prontezza con cui improvvisava prediche, poesie e tragedie. A dieci anni cominciò a recitare versi estemporanei, e a sedici, nel teatro comunale di Benevento, improvvisò addirittura una tragedia intitolata "Sedecia". Una volta nominato sacerdote fu un singolare ed eloquente oratore sacro, come dimostrano i "Panegirici", i "Sermoni" e le "Prediche", che ci restano di lui. Quelli che ebbero la fortuna di ascoltarlo, erano soggiogati dalla parola facile e armoniosa e dal fascino della sua alta e bella persona. Poeta dell'amore e della natura, di animo sensibile, amante del bello e dell'arte, trovò nella poesia la forza per reagire alle sofferenze che lo tormentarono fin dalla nascita, ma che non gli impedirono di lasciarci eredi di una attività letteraria tanto intensa da essere giudicata prodigiosa, se si pensa alla sua breve esistenza. Fu dapprima ordinato sacerdote e nominato maestro di grammatica nel seminario di Ariano, a ventiquattro anni ottenne la cattedra teologale e fino al 1837 resse la diocesi di Ariano in qualità di vicario capitolare. Nel 1837, abbandonò l'insegnamento e gli uffici ecclesiastici per dedicarsi interamente ai suoi due amori: la poesia e la predicazione. Come poeta e autore di prosa tentò vari generi, assurgendo ai canti più alti nelle "Armonie italiane" (1841), con cui volle dare un addio alla sua giovinezza, liriche alate e pregevoli che lo portarono addirittura a compararlo a Giacomo Leopardi. Seguirono le sillogi "Canzoni popolari", "I canti del Viggianese", i "Canti del povero", "Dio, Angeli e Santi", "Fiori e stelle", "Il Due novembre", "Idilli e sonetti", tutte comprese nell'edizione delle "Opere complete" (pubblicata ad Ariano nel 1889). Nel 1910, in occasione del centenario della sua nascita, vennero pubblicate sue opere inedite molto pregevoli, la tragedia "Giulietta e Romeo" e il poemetto in tre canti "Ituriele", composto sotto l'influenza del "bardo di Erin" (il poeta irlandese Thomas Moore). Restano ancora inedite le tragedie il "Sordello" ed "Ezzelino", ambedue in prosa. Il 29 agosto 1910 fu eretto in suo onore, in Piazza Plebiscito, un busto di bronzo, opera dello scultore Enrico Mossuti. Successivamente, nell'agosto del 1928, il busto di P.P.Parzanese fu trasferito nel parco della Villa Comunale. Al Parzanese dovrebbe essere riconosciuto un ruolo di poeta raro per l'epoca in cui visse: egli fu tra i pochi a scrivere per il popolo, di cui volle esprimerne i sentimenti e consolarne le sofferenze, una nobile ambizione cui sottomise anche la forma e il contenuto. Il suo stile fu consapevolmente reso semplice proprio perché la povera gente comune potesse fruirne la lettura o goderne l'ascolto mentre la poesia comune di un Foscolo o di un Monti o di un Leopardi certo non era accessibile. Probabilmente pagò questa sua scelta che gli costò l'oblio ai posteri, dopo tanta popolarità in epoca borbonica.Pertanto il Parzanese, fu un poeta coltissimo che tuttavia volle scrivere in un modo che anche gli analfabeti, gli esclusi dal "giocondo banchetto delle muse", "gli idioti" insomma, potessero avere un momento di nobiltà, di bellezza e di ideale. Una poesia educatrice, fu detta. E Parzanese scrisse veri capolavori del genere, come: la Cieca, la Cieca nata, la Pazza, la Morta, la Croce. Negli ultimi anni, tuttavia, cominciò a dire e scrivere cose che non furono affatto gradite. Nel 1848 scrisse l'ode "Italia e Napoli: Dio lo volle! L'Italia s'è desta / e dal fango solleva la testa". Nel 1853 scrisse l'Addio a Partenope, che fu giudicata "la più bella lirica civile", il quadro più vero di quel terribile periodo in cui "per la colpa di avere alma e pensiero" gli intellettuali andavano di prigione in prigione, e nella quale il patriottismo del Parzanese, ormai liberale, non risparmiò neppure il Papa ("Chi ha un trono nel suo tempio / te suo Signor rinnega"). Il nome di Parzanese fu annotato nell'elenco degli "attendibili" e venne coinvolto nel processo degli imputati politici del 1848. Morì in un albergo di Napoli.
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