(Arezzo, 20 aprile 1492 – Venezia, 21 ottobre 1556)
è stato un poeta, scrittore e drammaturgo italiano.
Fu chiamato Il Divino Pietro Aretino. È conosciuto principalmente per alcuni suoi scritti dal contenuto considerato quanto mai licenzioso (almeno per l'epoca), fra cui i conosciutissimi Sonetti lussuriosi. Scrisse anche i Dubbi amorosi e opere di contenuto religioso. Fu letterato tanto amato quanto discusso, se non odiato (per molti fu semplicemente un arrivista e uno spregiudicato cortigiano). Questa, che oggi potrebbe apparire incoerenza, fu per molti versi un modello dell'intellettuale rinascimentale, autore anche di apprezzati Ragionamenti. Della sua infanzia si sa ben poco. L'unica cosa di cui si avrebbe certezza è che sia nato nella notte tra il 19 e il 20 aprile del 1492, frutto di una relazione fra un povero calzolaio di nome Luca Del Buta (Buta è una località di Arezzo) e una cortigiana, Margherita dei Bonci detta Tita, modella "scolpita e dipinta da parecchi artisti". È stato detto che non volle mai far conoscere il proprio vero nome e le sue vere origini in segno di disconoscimento dei suoi natali. Tuttavia gli piacque definirsi "figlio di cortigiana, con anima di re". Mentre della sua infanzia non si sa praticamente nulla, i suoi biografi riferiscono che quattordicenne o poco più visse a Perugia, dove studiò pittura, frequentando in seguito la locale università. Trasferitosi nel 1517 a Roma, grazie ai buoni uffici di Agostino Chigi (che tenne alla sua corte anche Raffaello), si mise al servizio del cardinale Giulio de' Medici e riuscì ad approdare anche alla corte di papa Leone X. Si trovava nella "città eterna" quando si svolse il conclave del 1522; fu probabilmente in quel periodo che scrisse uno dei suoi primi lavori, le cosiddette Pasquinate, poemetti satirici scritti sulla base delle anonime proteste contro la Curia affisse sul busto in marmo del Pasquino, a piazza Navona. A causa di questi componimenti fu esiliato dal nuovo pontefice, un cardinale fiammingo che prenderà il nome di Adriano VI (da Pietro soprannominato "la tedesca tigna"). Poté far ritorno a Roma soltanto nel 1523, con l'avvento di papa Clemente VII; cominciò a nutrire però una pesante insofferenza nei confronti delle corti e degli ambienti ecclesiastici. Ebbe in dono in quegli anni il famoso Autoritratto del Parmigianino nello specchio convesso e rimase impressionato dall'"invenzione" del giovane artista cosa che il Vasari così commenta: "....mi ricordo, io essendo giovinetto, aver veduto in Arezzo nelle case di esso Messer Pietro Aretino, dove era veduto dai forestieri, che per quella città passavano, come cosa rara. Questo capitò poi, non so come, alle mani di Valerio Vicentino intagliatore di cristallo, et oggi è appresso Alessandro Vittoria, scultore in Venezia". Negli anni veneziani strinse un solido rapporto con Tiziano, dal quale sarà ritratto più volte, e Jacopo Sansovino, un terzetto che ebbe un ruolo determinante nella cultura della Venezia del tempo. Michelangelo lo rappresentò come san Bartolomeo nel Giudizio Universale. Morì a Venezia il 21 ottobre 1556, presumibilmente a causa di un colpo apoplettico. Secondo alcune fonti, egli perì a causa del troppo ridere.
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