Spesso è
ricordata solo per essere la sorella della scienziata, ma la sua
presenza nel Novecento è altrettanto importante. L’artista attraversa il
secolo con uno spirito continuo di ricerca espressiva che la spinge
verso sperimentazioni è fantasiosa e visionaria, e, nello stesso
tempo, estremamente coerente. Si forma in una Torino meravigliosa, ricca
di giovani e di committenti. Ma Torino è anche una città che paga il
prezzo della sua indipendenza con la freddezza e il distacco. In quel
contesto, Paola Levi Montalcini dipinge in modo diverso. La figura è
presente ma è incompiuta, mossa, dinamica, informe. Ottiene imporanti
riconoscimenti da parte di artisti e intellettuali. In una lettera del
1974 Argan
scrive che il suo percorso è «veramente al limite – posto che un limite
ci sia – tra l’arte e la matematica…, il pensiero è uno, l’arte è la
forma del pensiero e il pensiero ha sempre una forma». De Chirico,
nel 1939, scrive una monografia sulla pittrice, in cui riassume la sua
esperienza presso lo studio del maestro tradito ma mai dimenticato del
tutto. In questo modo si chiude la prima fase della sua attività.
Durante la guerra sceglie il silenzio. Il suo lavoro riprende con un
cambiamento significativo che si realizza in un avvicinamento all’astrattismo.
Si nota un indurimento del tratto e una frammentazione del segno che si
può racchiudere nella definizione di "neopicassismo". Fa parte di
questo periodo la frequentazione dell’ Atelier 17 di S. W. Hayter di
Parigi, dove si sperimentano, nel solco dell’eredità surrealista, nuove
soluzioni tecniche e si rinnovano i mezzi espressivi attraverso un
cambiamento dei materiali utilizzati, per indagare le misteriose
connessioni segno-significato, in una ricerca che procede verso la
progressiva dissoluzione dell’elemento significante e verso l’astrazione
del senso. Dopo la morte della madre si trasferisce a Roma. Qui
inaugura la fase delle sperimentazioni fotografiche nel tentativo di
superare il soggettivismo del segno. Importantissimo è il contributo dei
fratelli Piero e Angelo Lentile. I primi Collage di questo periodo sono
costruiti montando le fotografie sulla tela. Il passaggio successivo è
l’aggiunta del colore e l’utilizzo di pannelli serigrafati con
l’applicazione di reti plasmate col fuoco. Queste plasmature venivano
proiettate su parete per fotografarne alcuni particolari. Il limite di
questa tecnica consiste nell’impossibilità di espandere la proiezione
più di una certa dimensione. L’utilizzo delle reti è finalizzato alla
creazione di strutture ambigue, a metà tra l’organico e l’artificiale.
Nel 1967 comincia la produzione delle opere cinetico luminose in perspex
e delle incisioni in rame su lastre segnate dall’acido. Le ultime opere
dell’artista sono strutture realizzate con manubri in alluminio. Il suo
lavoro si basa su dati acquisiti nella cultura e nell’utilizzo di
materiali culturalizzati come il ferro, il rame, l’alluminio, di cui
delega la lavorazione ad artigiani, seguendo il lavoro durante tutte le
sue fasi. La scoperta del computer la porta alla pubblicazione del libro
d’arte Le discordanze, in cui utilizza la computer grafica in modo sperimentale. Parte delle sue opere sono oggi esposte alla Galleria Nazionale di Arte Moderna. Rai Educational le ha dedicato una puntata della serie di documentari Vuoti di memoria. Donne e uomini da non dimenticare,
in cui si ripercorrono le fasi più significative della vita e
dell’opera di Paola Levi Montalcini, da cui ne emerge la sensibilità
schiva, la genialità la forza di carattere fuori dal comune e la sua
personalità appena attenuata da un velo d’inquietudine. Muore il 29
settembre del 2000. Sua sorella dice di lei: «Paola era un universo. Ma
un universo inquieto, perché lei era inquieta».
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